IMPERO AMAZZONICO DI PAITITI

IMPERO AMAZZONICO DI PAITITI

IMPERO AMAZZONICO DI PAITITIPaititi è una leggendaria città perduta o regno inca o pre-inca, che si dice essere esistita ad est delle Ande, nascosta da qualche parte nella foresta pluviale del Perù sud-orientale, della Bolivia settentrionale o del Brasile sud-occidentale. La leggenda ha avuto origine dall’interpretazione di alcuni scritti del secolo XVI i cui autori furono Vaca de Castro, Pedro Sarmiento de Gamboa, Juan Alvarez Maldonado. Questi scrittori si riferivano ad un regno situato nella selva bassa amazzonica, forse presso l’attuale frontiera Bolivia-Brasile. La leggenda amazzonica del Paititi continuò nel 1635 quando nelle croniche di Lizarazu, si citava l’Inca Guaynaapoc e il suo ritorno presso il regno di suo padre, Manco, presso il Paititi, oltre il fiume Guaporé (oggi Stato brasiliano della Rondonia). In Perù si è poi sviluppata un’altra leggenda attorno alla storia di Inkarri che, dopo aver fondato Q’ero e Cuzco, si ritirò nella giungla di Pantiacolla per vivere il resto dei suoi giorni nella città di Paititi. Questa leggenda fu divulgata dall’archeologo Oscar Nuñez del Prado nel 1955 in seguito al contatto che ebbe con la comunità di nativi parlanti quechua del paesello di Q’ero (cordigliera delle Ande).

RECENTI SCOPERTE

Nel 2001 l’archeologo italiano Mario Polia scoprì il resoconto del missionario Andrea Lopez negli archivi dei Gesuiti a Roma. In questo documento, risalente al 1600 circa, Lopez descrive una grande città ricca d’oro, argento e gioielli, situata in mezzo alla giungla tropicale nei pressi di una cascata e chiamata Paititi dai nativi. Lopez informava il Papa della sua scoperta. Secondo alcune teorie complottiste, l’esatta posizione della città sarebbe tenuta segreta dal Vaticano.

La più importante indagine su eventuali origini non peruviane del nome “Paititi” e sulla sua posizione originale è stata condotta da Vera Tyuleneva, archivista presso il Coricancha di Cuzco, la quale effettuò spedizioni in Bolivia settentrionale fornendo dettagliati resoconti delle sue scoperte.

I migliori studi legati a Paititi sui siti perduti nelle montagne peruviane e nella giungla sono stati svolti dal dottore, esploratore e medico peruviano Carlos Neuenschwander Landa, dal sacerdote salesiano argentino Juan Carlos Polentini Wester e, nel 2008, dallo psicologo ed esploratore statunitense Gregory Deyermenjian e dall’esploratore peruviano Paulino Mamani.

Il 29 dicembre 2007 una comunità dei pressi di Kimbiri (Perù) trovò strutture erette con grandi pietre simili ad alte mura, che occupavano un’area di 40 000 metri quadri; la chiamarono fortezza di Manco Pata. I ricercatori dell’Istituto nazionale della cultura (INC) di Cuzco hanno messo in dubbio l’opinione del sindaco di Kimbiri, secondo il quale la città avrebbe in passato fatto parte della città perduta di Paititi. Secondo il loro rapporto la struttura in pietra sarebbe semplicemente una formazione di arenaria.

Recentemente la studiosa italiana Laura Laurencich Minelli ha divulgato il libro “Exul immeritus Blas Valera populo suo” del gesuita Blas Valera, ed anche alcuni importanti disegni che vi sono contenuti risalenti al 1618. I disegni sono rappresentazioni della cordigliera dove sarebbe costruita la cittadella del Paititi. La cordigliera viene vista sia dal lato della selva che da quello della sierra. Questi disegni hanno aperto nuove ipotesi sulla reale ubicazione del Paititi.

SPEDIZIONI ALLA RICERCA DI PAITITI

1925: Percy Harrison Fawcett (Mato Grosso, Brasile)

1954-1955: Hans Ertl (Bolivia)

1958-1980 L’esploratore peruviano Carlos Neuenschwander Landa porta a termine una quindicina di esplorazioni e fu il primo a percorrere il Cammino di Pietra, ubicato nella cordigliera di Paucartambo, sullo spartiacque tra la regione di Cusco e la regione di Madre de Dios.

1971: Una spedizione franco-statunitense guidata da Bob Nichols, Serge Debru e Georges Puel risal’ il Rio Pantiacolla da Shintuya. Le guide abbandonarono il gruppo dopo la scadenza dei 30 giorni pattuiti. I tre proseguirono ma non fecero più ritorno. L’esploratore giapponese Yoshiharu Sekino ebbe un contatto con i locali indigeni Machiguenga l’anno seguente, e scoprì che i membri della spedizione erano stati uccisi.

1984-2000: In tutto 12 spedizioni di Gregory Deyermenjian, compresa la documentazione delle rovine inca di Mameria (1984,’85, ’86 e ’89); seconda ascesa dell’Apu Catinti (1986); documentazione delle rovine inca di Toporake (1989); esplorazione e documentazione dei Petroglifi di Pusharo (1991); traversata della “Strada di Pietre inca” oltre il Plateau di Toporake (1993); scoperta delle rovine di Callanga (1994); scoperta e prima ascesa del complesso inca di Callanga, sul picco “Llactapata” (1995); prima visita, esplorazione e documentazione della vera natura delle piramidi di Paratoari a Manu (1996); percorso della “Strada di Pietre” sul Plateau di Pantiacolla, scoperta del “Lago de Ángel” e dei luoghi inca a nord del Río Yavero (1999); completa analisi del fatto che Paititi si dovesse trovare sul Río Choritiari (2000).

1997: Lars Hafskjold partì da Puerto Maldonado, Madre de Dios, Perù. In seguito scomparve all’interno del territorio inesplorato boliviano, all’interno del Parco nazionale Madidi.

Agosto 1998: Il giovane esploratore cileno Camilo Valdivieso effettua i primi studi dei petroglifi di Pusharo, relativi alla città perduta..

2000: Ricerche sul fiume Alto Madre de Dios, condotte da Valdivieso e da un gruppo internazionale.

Giugno 2001: La spedizione del Kota Mama II guidata da John Blashford-Snell trova antiche rovine nella giungla ad est del lago Titicaca in Bolivia, che si credono essere state già esaminate in passato da Hans Ertl.

2002: Camilo Valdivieso raggiunge le vicinanze del fiume Sinkibenia, trovando importanti prove archeologiche della presenza inca nella zona inesplorata.

2002: Spedizione di Jacek Pałkiewicz

Giugno 2004: La squadra esplorativa “Quest for Paititi” di Gregory Deyermenjian e Paulino Mamani scopre rovine inca lungo alcuni rami del Cammino di Pietra, sul picco noto come Ultimo Punto nella parte settentrionale della regione peruviana di Pantiacolla.

2005: Il francese Thierry Jamin ed il franco-peruviano Herbert Cartagena studiano i Petroglifi di Pusharo e affermarono di aver trovato grandi geoglifi nella vicina valle. Pensarono di aver trovato una mappa su cui localizzare Paititi. Ulteriori spedizioni nello stesso anno.

2006: Spedizione Paititi: Oltre il Plateau di Pantiacolla, condotta nel giugno 2006 da Gregory Deyermenjian e Paulino Mamani sul Río Taperachi, a nord di Yavero, trovò quelli che allora erano i più remoti avamposti inca, oltre l'”Último Punto” esplorato nel 2004.

2008: Spedizione Paititi/”Strada di Pietre”, che attraversò la parte meridionale della strada inca lungo la cresta della catena montuosa del Paucartambo, condusse Gregory Deyermenjian e Hermógenes Figueroa Lucana ad una nuova fortezza che, apparentemente, vigilava sull’ingresso della giungla a Callanga.

Fonte: Wikipedia

IL VIAGGIO SPIRITUALE DEL SENSITIVO GEORGE HUNT WILLIAMSON ALLA RICERCA DEL PAITITI

di Yuri Leveratto

IMPERO AMAZZONICO DI PAITITIAll’inizio del 1957 il medium e antropologo statunitense di origine serba George Hunt Williamson (1926-1986), si trovava a Lima, dove conobbe l’esoterico Daniel Ruzo (1900-1991), grande studioso di Marcahuasi, l’altipiano situato a 4000 m.s.l.d.m., indicato come il centro magnetico e gravitazionale del pianeta. Chi era in realtà G.H. Williamson?

G.H. Williamson

Anche se il suo principale interesse era l’attività di contatto extra-sensoriale con “intelligenze superiori”, si distinse anche come antropologo, esploratore e fondatore della paleo-astronautica, ovvero la disciplina che analizza la possibilità che in passato vi siano state delle visite di alieni nel nostro pianeta.

A mio parere G.H.Williamson può essere un definito un sensitivo, anche considerando la sua attività ascetica e spirituale in alcuni monasteri situati nelle Ande, durante gli ultimi venti anni della sua vita.

I due studiosi si intesero subito, probabilmente c’era una percezione di fondo che li legava, ovvero la consapevolezza che anteriormente al diluvio universale (10.000 a.C.) una grande civiltà megalitica si era sviluppata in tutto il pianeta (vedi mio articolo sulle civiltà antidiluviane).

Detta civiltà mondiale aveva in Sud America i suoi centri di conoscenza nelle città megalitiche di Tiwanaku, Sacsayhuamán e Marcahuasi.

Le mura ciclopiche di Sacsayhuamán

Il muro esterno di Tiwanaku

Durante il viaggio a Marcahuasi, G.H. Williamson fu colpito dalle fantastiche statue antropomorfe e sentì il caratteristico rumore di fondo, definibile come un ronzio, che si sente anche in altri luoghi magnetici del Sud America come per esempio l’enigmatica Serra del Roncador (che fu visitata negli ultimi anni XX secolo da Neil Armstrong, il primo uomo che mise piede sulla Luna, in un suo pellegrinaggio spirituale).

La Serra del Roncador

G.H. Williamson continuò il suo viaggio di scoperta e studio viaggiando verso il Cusco, l’antica capitale degli Incas. Il suo scopo era fare luce sulla possibilità che culture pre-incaiche avessero utilizzato la scrittura.

Durante gli anni 50’ del secolo scorso si pensava che gli Incas e i loro predecessori non conoscessero la scrittura. In effetti negli ultimi anni del XX secolo si è dimostrato che ciò non corrisponde esattamente alla verità: nella regione andina era infatti diffuso (solo tra ristrette cerchie di élite sacerdotali), un tipo di scrittura pittografica chiamato quellca, che fu trovata in alcuni oggetti di estremo valore archeologico come la Fuente Magna, il monolito di Pokotia e la pietra di Oruro.

La Fuente Magna

Il dorso del monolito di Pokotia

G.H. Williamson apprese da alcuni capi spirituali quechua che nella giungla del Madre de Dios si trovava un’immensa roccia con degli strani petroglifi che secondo alcuni rappresentavano una forma di arcaica scrittura. Si trattava dei bellissimi petroglifi di Pusharo, divulgati al mondo dal Padre Vicente de Cenitagoya nel 1921. I petroglifi, che furono descritti nuovamente dal ricercatore Jorge Althaus di Cusco nel 1953, e studiati a fondo da Harmut Winkler nel 1957, non sono stati ancora completamente decifrati.

Anche se molti avventurieri li individuano come una probabile mappa che guiderebbe “l’uomo puro di cuore” verso il Paititi, a mio parere sono la rappresentazione simbolica di una specie di “demarcazione territoriale” che antenati degli Arawak intagliarono, intorno al sesto millennio prima di Cristo, nel loro cammino verso l’altopiano andino.

G.H Williamson viaggiò fino all’attuale paesello di Shintuya insieme al suo amico Miguel Acosta di Ayaviri.

Il 10 luglio del 1957 i due viaggiatori giunsero a Pusharo, insieme a due guide Matsiguenkas. Non sappiamo quali furono le conclusioni di G.H. Williamson sugli enigmatici petroglifi di Pusharo, ma è certo che egli sentì qualcosa di particolare in quelle vallate remote.

Dettaglio dei petroglifi di Pusharo

Le guide Matsiguenkas avvisarono il sensitivo statunitense che era molto pericoloso procedere nella stretta valle oltre i petroglifi, in quanto secondo loro era abitata dai bellicosi Kuga-Pacoris, fortissimi nativi alti circa due metri, conosciuti come “i guardiani del Paititi”.

G.H. Williamson era una persona saggia e decise di non procedere, probabilmente perché si rese conto che un mistero così meraviglioso come il Paititi sarà rivelato in modo naturale e senza forzature, solo a tempo debito.

Altri esploratori invece, come lo statunitense Robert Nichols e i francesi Serge Debru e George Puel, che decisero avanzare oltre Pusharo senza l’aiuto di guide Matsiguenkas, nel 1970, furono effettivamente uccisi dai Kuga Pacoris, proprio perché violarono, senza autorizzazione, un territorio sacro, ancestrale e magico.

G.H. Williamson si ripropose di tornare a cercare il Paititi nel corso della sua esistenza, magari non in modo fisico, ovvero senza pretendere di viaggiarvi con il corpo, ma tentando di percepirne l’essenza con la mente.

In effetti il viaggio personale di G.H. Williamson alla ricerca del Paititi non terminò al suo ritorno al Cusco.

In realtà per il sensitivo esoterico statunitense quella data, quel 10 luglio del 1957, fu solo l’inizio di un lungo viaggio spirituale che lo portò a cercare se stesso e la vera natura dell’essere umano.

La ricerca esoterica ed archeologica di G.H. Williamson continuò in Europa, nell’anno successivo. Nel 1958 s’incontrò infatti con lo studioso italiano Costantino Cattoi. Quest’ultimo aveva documentato a fondo l’antica città etrusca di Capena, l’arcaica Cosa, nell’Ansedonia e il sito di Lilibeo (oggi Marsala, in Sicilia).

L’antica città di Lilibeo (presso Marsala, Sicilia)

L’arcaica città di Cosa (presso Ansedonia)

I due studiosi concordarono sul fatto che l’antica civiltà megalitica antidiluviana si era sviluppata in tutto il pianeta e in particolare dal Medio Oriente fino all’altipiano andino. L’osservazione e lo studio delle antiche città tirreniche, sarde e pelasgiche, comparate alle città megalitiche andine sopraccitate, e la constatazione che in detti siti archeologici si percepisce (anche con strumenti scientifici), un elevata attività magnetica, proprio come a Marcahuasi, portò i due ricercatori alla conclusione che la civiltà tirrenica-pelasgica-sarda doveva avere avuto dei rapporti con la civiltà megalitica americana, che si sviluppò posteriormente al diluvio.

Il profeta di Marcahuasi

Ecco come G.H. Williamson spiega le scoperte di Costantino Cattoi, nel suo libro Road in the Sky: “Recentemente ho ricevuto lettere da Roma che rivestono un’estrema importanza in relazione alle scoperte di Marcahuasi. Il professor Costantino Cattoi e sua moglie, Maria Mataloni Cattoi, entrambi ricercatori, scienziati ed archeologi, scrivono di aver scoperto in alcune zone una strana concentrazione sotterranea d’energia elettro-magnetica. Inoltre essi hanno scoperto che, dove esiste una tal energia, si trovano figure gigantesche simili a quelle di Marcahuasi. Egli ha studiato e fotografato centinaia di figure simili per oltre 40 anni ed ha scoperto leoni, dragoni e persino ciclopi con un occhio solo. Di nuovo ci ricordiamo di Marcahuasi e della razza degli antenati a sud del lago Titicaca”.

Di ritorno negli Stati Uniti G.H. Williamson iniziò uno dei periodi più intensi della sua vita dal punto di vista della ricerca archeologica e spirituale.

Ebbe contatti con H.L.Cayce, il figlio di Edgar Cayce, dal quale ricevette alcuni documenti riservati del grande medium che si riferivano al passato occulto dei primi popoli del Sud America e dei loro rapporti con gli altri popoli della Terra. Viaggiò quindi in Giappone dove studiò a fondo la cultura Jomon, e nello Yucatan, dove studiò la civiltà Maya e documentò delle camere cerimoniali sotterranee nel sito di Loltun (la cosiddetta caverna del fiore di pietra). Nel 1962 G.H. Willimson e il professor Vicente Vasquez, scoprirono la caverna di X-Kukikan, dove furono trovate evidenze di contatti tra gli antenati dei Maya e i popoli indigeni del Sud Est degli attuali Stati Uniti.

A questo punto G.H. Williamson cambiò il suo nome in Michel D’Obrenovic Obilic Von Lazar (nome della sua famiglia d’origine, uno dei casati reali serbi del XIX secolo), e iniziò a frequentare un monastero situato in una remota valle nelle Ande, nel nord del lago Titicaca.

Tornò varie volte negli Stati Uniti e continuò la sua attività di ricercatore, studioso d’antiche civiltà antidiluviane e contattista. Si è speculato molto sugli ultimi anni di vita di G.H. Williamson e sui motivi che lo portarono ad isolarsi nelle montagne andine, avvicinandosi ad uno stile di vita quasi ascetico, dove si dedicava al contatto con “intelligenze superiori” per mezzo di “canalizzazione vocale di natura telepatica” (dal suo libro “Secret of Andes”).

Probabilmente il suo viaggio ai petroglifi di Pusharo lo aveva colpito molto.

G.H. Williamson era convito che alcune di queste “intelligenze superiori”, con le quali aveva avuto dei contatti telepatici, denominate in spagnolo “la hermandad blanca” (la fratellanza bianca), si fossero rifugiate nel Paititi, sia per tramandare le tradizioni antiche che per difenderlo da eventuali attacchi d’intrusi.

Personalmente considero il Paititi come lo scrigno d’oro dove sono nascoste le nostre origini e il nostro futuro e credo che anche per G.H Williamson fosse molto di più di un luogo fisico. Era inoltre consapevole del fatto che solo quando i tempi saranno maturi l’uomo potrà conoscere appieno ogni suo segreto più nascosto.

G.H. Williamson era poi pienamente convinto che la nostra attuale civiltà si è sviluppata molto male, e che solo dopo innumerevoli tragedie e indicibili sofferenze si potrà tornare a quell’età dell’oro, dove regnerà l’equilibrio tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi presenti sul pianeta Terra.

Si ringraziano i ricercatori Maurizio Martinelli e Marco Zagni per le notizie biografiche su George Hunt Williamson – Michel D’Obrenovic e Costantino Cattoi.

L’autore insieme ad un nativo Matsiguenkas ai petroglifi di Pusharo

(YURI LEVERATTO– 2009 Copyrights)

Fonte: WWW.CERCHINELGRANO.INFO

PAITITI LA SCOPERTA

COMUNICATO

Attraverso l’approfondimento di un particolare asterismo e seguendo le indicazioni date nelle sue opere da Leonardo da Vinci, suo preminente oggetto di studio, Riccardo Magnani ha portato alla luce i resti della più leggendaria delle città: l’Eldorado.

Ubicati nella intricata selva amazzonica, al confine tra Perù, Brasile e Bolivia, i resti individuati dal ricercatore lecchese non danno adito a dubbio alcuno, e confermano tutte le mezze verità che ogni leggenda porta con sé; la città megalitica, riemersa seguendo la logica dell’astronomia replicata in terra dagli antichi abitanti della terra, infatti, incarna perfettamente i dettami leggendari di tre miti corrispondenti: Paititi per i nativi, l’Eldorado dei Conquistadores spagnoli e Akakor, la città sotterranea narrata dal giornalista freelance Karl Brugger, misteriosamente assassinato negli anni ’80.

IMPERO AMAZZONICO DI PAITITIIl sensazionale ritrovamento porta alla luce i resti di una vera e propria città, costituita da diverse unità caratteristiche come nella logica urbanistica di un tempo, come si evince chiaramente dalle immagini riportate, rappresentate distintamente almeno da un piazzale cerimoniale principale, un tempio dedicato al culto del sole, alcuni piazzali minori e tre distinte formazioni piramidali a gradoni, e molto altro ancora; ognuna di queste opere è caratterizzata da dimensioni decisamente extra-large, fatto questo che fa pensare a una civiltà megalitica pre-incaica antichissima, con ogni probabilità coeva a Nazca e Tiwanaku.

Purtroppo questo ritrovamento porta con sé non poche spinose problematiche, che hanno definitivamente convinto lo studioso italiano ad accelerare la comunicazioni di questa sua preziosa scoperta; la città ritrovata, infatti, si trova all’interno di una riserva in cui gli indigeni della comunità Nahua-Nanti sono stati confinati, e tra questi si contano numerosi gruppi di “incontattati”. La stessa zona è oggetto da qualche anno di estrazione di gas naturale, nonostante le leggi contrarie del 2003 della Corte Suprema peruviana, e questo rappresenta una grave minaccia per uno degli ultimi patrimoni incontaminati del nostro pianeta, oltre che naturalmente per le popolazioni dei nativi e il ritrovamento annunciato. Per questo motivo, attraverso questa comunicazione, il prof. Magnani auspica di poter sollecitare un immediato intervento delle autorità governative peruviane (peraltro già avvisate dal medesimo della scoperta), dell’Unesco e dell’Onu, nonché l’intervento di fondi pubblici e privati per una campagna di scavi ufficiale che metta al riparo questo sensazionale ritrovamento da speculazioni individuali di ogni genere e preservi le popolazioni locali e questo lembo di foresta incontaminata, prezioso polmone del nostro intero pianeta.

Lecco, 24 Febbraio 2013

PAITITI ELDORADO AKAKOR: IL MITO DIVIENE REALTÀ

di Riccardo Magnani

IMPERO AMAZZONICO DI PAITITICome spesso accade nel mondo della ricerca, una singola intuizione può essere la chiave per aprire porte di conoscenza inattese. Studiando approfonditamente Leonardo da Vinci come forse fino ad oggi nessuno studioso era riuscito a fare, è stata proprio una intuizione, una delle tante, a permettermi di realizzare la più inaspettata e per questo ancor più bella delle mie scoperte.

L’intuizione di cui parlo è legata all’importanza delle tre costellazioni che formano il triangolo estivo, ovvero Cigno, Lira e Aquila; in particolar modo è legata alla costellazione della Lira, unitamente al fatto che Leonardo giunse a Milano alla corte degli Sforza nel 1483 accompagnato dalla curiosa definizione di “eccellente suonatore di Lyra”.​

Spesso il confine che delimita sotto il profilo nominale la cronaca storica dal mito o dalla leggenda è la presenza o meno di elementi documentali di confronto reali e oggettivi. Succede così che scoprendo una partitura musicale del più grande genio della storia (fig. 1)

IMPERO AMAZZONICO DI PAITITI (la stessa musica è nascosta nell’Ultima Cena tra l’altro) e ritrovando una definizione di Cicerone nel De Republica (“E gli uomini che sanno imitare sulla lira il concerto dei cieli hanno ritrovato il cammino che adduce a questo regno sublime”), accade che si aprano inaspettatamente all’intuito umano porte di conoscenza altrimenti inaccessibili alla sua ragione.

Scriveva Lin Yu-t’ang: “Un buon viaggiatore è colui che non sa dove sta andando”.

Secondo quanto sostenuto in questa definizione, io devo essere un ottimo viaggiatore, visto che mi stupisco sempre di dove mi ritrovi quando apro gli occhi rapito dalle intuizioni che incessantemente guidano il mio incedere. Il luogo in cui mi sono risvegliato un pomeriggio del mese di settembre dello scorso anno, preparando una delle conferenze di presentazione dei due libri in cui annunciavo le mie scoperte in ambito leonardesco, però non me lo sarei mai e poi mai aspettato.

Percorrendo l’ipotesi condivisa anche dall’amico Andrew Collins secondo la quale le tre piramidi di Giza replicherebbero l’allineamento non della cintura della costellazione di Orione, così come sostiene Robert Bauval, con il quale avevo appena fatto una conferenza in Toscana, bensì delle tre stelle della costellazione del Cigno, e verificando che proprio a tale costellazione si riferisce il Cartone di Sant’Anna di Leonardo (Fig. 2),

IMPERO AMAZZONICO DI PAITITIvolli verificare qualche altro sito antico nell’intento di trovare ulteriori conferme al fatto che questa costellazione avesse una importanza particolare per i nostri antenati, attenti particolarmente agli accadimenti astronomici e alla precessione degli equinozi. Decisi così di analizzare i siti di interesse archeologico la cui datazione è più controversa, tanto da mettere in discussione tutta l’impalcatura accademica fino ad oggi assunta, e in particolare le Linee di Nazca e la Porta del Sole di Tiwanaku (questa per un’ulteriore corrispondenza con Leonardo da Vinci, in realtà), ipotizzandole coeve ma di molto anteriori ad altri siti più moderni, come ad esempio Macchu Pichu e Cusco.

Quel pomeriggio di settembre, dunque, mi ritrovai a fare la più banale delle azioni: presi un’immagine del Perù da Google Earth e vi sovrapposi un’immagine del Triangolo Estivo, che vi ripropongo (Fig. 3).

Il triangolo estivo è un asterismo formato da 3 stelle molto brillanti che, nell’emisfero boreale, appaiono appena dopo il tramonto da giugno ai primi giorni di gennaio; le tre stelle sono Deneb, della costellazione del Cigno, Altair della costellazione dell’Aquila e Vega, della costellazione della Lira. In corrispondenza del triangolo estivo giace la Via Lattea, dove un gruppo di nebulose (Fenditura del Cigno) ne oscura la sua parte centrale e dove è riscontrata dagli scienziati una altissima concentrazione di energia. Molti dei siti archeologici più antichi si rivolgono a questo preciso riferimento astronomico, in effetti.

Per un ordine geometrico di distanze e proporzioni, mi venne naturale posizionare Deneb (Cigno) su Nazca e Altair (Aquila) su Tiwanaku; la restante stella che compone il triangolo, ovvero Vega, della costellazione della Lira, quella legata alla musica di Leonardo e narrata da Cicerone, identificava (e identifica tutt’ora) un preciso punto all’interno della foresta amazzonica peruviana.

Curiosamente, e forse non incidentalmente, questa stessa sovrapposizione fa sì che l’intera cordigliera delle Ande replichi in terra rispetto ai tre punti così identificati la Via Lattea, allo stesso modo in cui questa attraversa le tre stelle del triangolo estivo.

I bambini sono curiosi, e a volte i ricercatori intuitivi lo sono ancor di più, soprattutto alla presenza di queste numerose coincidenze, quindi volli andare a vedere cosa si celava in quel punto della foresta che mi veniva suggerito dal raffronto intuitivo messo in atto, nascosto tra alberi rigogliosi che sfiorano il cielo e un terreno quasi inaccessibile.

Rimasi totalmente colpito e affascinato nel vedere sotto i miei occhi qualcosa che non sembrava a prima vista naturale, ovvero qualcosa che ricordava una Huaca, cioè quello che in termini quechua, l’antica lingua inca, è un luogo votato al culto: un innaturale sopralzo squadrato con iscritto al suo interno, seppur celato dalla fitta vegetazione, un altro manufatto squadrato ed uno forse circolare (forse un orologio solare, a ricordare quello del Sacsayhuamán di Cusco (Fig. 4 e 5).

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A quel punto, mi venne spontaneo allargare il mio interesse a tutta quanta la zona circostante, colmandomi di incredulità per tutto quello che sempre più emergeva sotto i miei occhi, così diverso da quello che poteva essere scambiato per un semplice abbaglio o auto-condizionamento: un piazzale cerimoniale (Fig. 6),

come tanti legati alla cultura pre-incaica peruviana, altri piazzali più piccoli, con scale di accesso laterali (Fig. 7),

piramidi squadrate a gradoni, in numero di tre (Fig. 8 e 9),

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vagamente a ricordare la disposizione delle piramidi di Giza e il Cartone di Sant’Anna oggetto della mia iniziale intuizione e tanto simili a una analoga formazione che si trova in Cusco (Fig. 10)

e naturalmente molto, moltissimo altro (Fig. 11)

dislocato in un’area di almeno 800 km quadrati a nord e a sud del fiume Timpia.

Sotto i miei occhi, proprio là dove mi suggeriva di guardare quell’involontaria e intuitivamente casuale sovrapposizione tra il triangolo estivo e una mappa satellitare del Perù è apparsa una città, o meglio, quelli che apparentemente e con scarso margine di errore appaiono essere dei luoghi di culto di una antica città megalitica. Nulla a che vedere con le relativamente moderne cittadelle di Macchu Pichu e Choquequirao, o con i vari ritrovamenti sporadici lungo la Valle Sacra degli Inca o di Miraflores, per intenderci.

Il gioco a quel punto è stato semplice.

Le coordinate erano tracciate, e non si poteva più sbagliare: esiste solo una città, ritenuta leggendaria in quanto mai identificata, ipotizzata essere ubicata al confine tra Perù, Brasile e Bolivia: il mito della Ciudad Perdida (la Città Perduta), che da sempre ha affascinato e attirato i ricercatori di tutto il mondo, stimolato la fantasia non solo delle majors hollywoodiane, ma anche la letteratura, la fumettistica, la grafica dei video giochi e molto altro ancora.

Citando Platone, è proprio il caso di dire che “L’astronomia costringe l’anima a guardare verso l’alto e ci conduce da questo mondo a un altro.”

Per la precisione dovrei parlare di più miti, al plurale. I miti in questione, infatti, sono quelli anticipati nel titolo di quest’opera, ovvero: Paititi, Eldorado e Akakor.

Il primo mito è legato alle radici storiche di un popolo antico, pre-incaico, arroccato per qualche motivo intuibile sulle Ande peruviane; il secondo mito è legato ai resoconti di chi quel popolo è andato a conquistarlo, violentandolo e spogliandolo della propria identità più profonda, ovvero i cardini della propria cultura millenaria: i Conquistadores spagnoli; il terzo mito è legato a qualcosa di più recente, ovvero il racconto di un giornalista freelance tedesco del canale televisivo ARD, Karl Brugger, che forse proprio a motivo di questo racconto perse la vita su una spiaggia brasiliana negli anni ’80 del secolo scorso.

Ebbene, tutti e tre questi miti leggendari in realtà rimandano proprio a quella città che si nascondeva sotto il fitto della vegetazione amazzonica, fintanto che l’intuizione non mi ha condotto a identificarla.

Akakor, il leggendario regno sotterraneo raccontato al giornalista tedesco Karl Brugger da un indigeno di sangue misto di nome Tatunca Nara (che ha ispirato un episodio della saga di Indiana Jones), viene collocato dal suo narratore tra Brasile e Perù, nelle profondità della selva amazzonica, presso le sorgenti del fiume Purus, uno degli affluenti del Rio delle Amazzoni (Fig. 12).

Per quanto attiene al mito dell’Eldorado, riportato in Occidente attraverso i racconti dei Conquistadores spagnoli e dei cronisti dell’epoca, fortunatamente le indicazioni erano e sono più vaghe e discordanti, così da non permettere fino ad oggi una sua identificazione precisa. Va però detto che tutti i racconti dei cronisti dell’epoca sono concordi nel descrivere questa leggendaria città come il luogo in cui gli Inca si ritirarono dinanzi alle truppe spagnole di Pizarro, portando con sé ori e preziosi, collocandola in una imprecisata area nella foresta amazzonica, a 10 giorni di cammino da Cusco in direzione Est. Questo, fortunatamente, è il motivo che fino ad oggi ha tenuto lontano i ricercatori da questa città leggendaria, portando tutti quanti a cercarla a Est di Cusco, nei pressi di Pantiacolla e dei petroglifi di Pusharo.

Per quanto invece attiene al mito di Paititi, non occorre qui ricordare cosa essa rappresenti in riferimento alla cultura pre-incaica e al suo leggendario creatore Inkarri; voglio invece porre l’attenzione su due ritrovamenti recenti, più utili alla breve trattazione con cui vi sto annunciando questa mia scoperta.

Il primo ritrovamento a cui mi riferisco è stato effettuato nel 2001 dall’archeologo italiano Mario Polia, che scoprì negli archivi dei Gesuiti a Roma il resoconto del missionario Andrea Lopez. In questo documento, risalente al 1600 circa, Lopez descrive una grande città ricca d’oro, argento e gioielli, situata in mezzo alla giungla tropicale nei pressi di una cascata e chiamata Paititi dai nativi; il secondo ritrovamento è invece quello fatto recentemente dalla studiosa italiana Laura Laurencich Minelli, che ha divulgato il libro Exul immeritus Blas Valera populo suo del gesuita Blas Valera, compresi due importanti disegni che vi sono contenuti risalenti al 1618. I disegni sono rappresentazioni stilizzate di un particolare della cordigliera dove, secondo il gesuita oriundo Blas Valera, sarebbe ubicata la cittadella del Paititi.

Questi due disegni sono a me cari perché, al pari del modo in cui Leonardo da Vinci ritrae la mia città nello sfondo della Gioconda, hanno la particolarità di presentare la cordigliera vista sia dal lato della selva che da quello della sierra (Figg. 13 e 14).

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Questi disegni, secondo gli studiosi, hanno aperto nuove ipotesi sulla reale ubicazione del Paititi, che come detto finora era sempre stata cercata ad est di Cusco, nella zona di Pantiacolla, dove sia le piramidi poi rivelatesi naturali e sia i petroglifi di Pusharo giustificavano forse agli esploratori un approfondimento d’ispezione.

Quest’ultimo ritrovamento espressione della testimonianza di Blas Valera ci permette di apprezzare una somiglianza assai intrigante con la formazione di montagne posta esattamente al centro dell’area in cui ho individuato il ritrovamento annunciato, che sta esattamente tra il Rio Timpia e un suo emissario (Fig. 15),

con un esplicito richiamo ai manufatti riportati in Figg. 4 e 6, tra gli altri. E’ curioso notare che la visione del Paititi dal lato della selva (quindi direzione nord-sud, Fig. 13), infatti, presenta sia il piazzale cerimoniale (Fig. 6) e sia la potenziale Huaca del Sol (Fig. 4), mentre la visione dal lato della sierra (per questo marroncina, e quindi direzione sud-nord, Fig. 14) presenta in cima alla montagna l’avvoltoio (espressione della costellazione della Lira, tra l’altro) e una serie di figure al livello del fiume, probabilmente una serie di petroglifi simili a quelli di Pusharo.

Appare dunque confortante, a conferma del fatto che con ottima approssimazione ci troviamo dinanzi alla Città Perduta, non solo il fatto che l’individuazione del sito sia determinata attraverso un preciso riferimento astronomico, molto importante per le antiche culture coeve a Tiwanaku e alle linee di Nazca, così come per altri insediamenti megalitici che esulano dalle datazioni moderne tipo Stonehenge in Inghilterra, Gobekli Tepe in Turchia o Carahunge in Armenia, ma è confortante anche il fatto che essa coincida con l’area in cui, dal punto di vista leggendario, questa città chiamata in svariati modi sia di fatto sempre stata idealmente ubicata.

Chiaramente solo una seria e articolata campagna di scavi in loco potrà dare la certezza assoluta dell’effettivo ritrovamento, e per questo motivo, a questo punto, devo svelare che questa non è l’unica scoperta legata all’eccezionale ritrovamento che vi sto annunciando.

Per questo motivo, oggi, avrei voluto al mio fianco i rappresentanti del Ministero della Cultura, da me più volte sollecitati, e dell’Istituto Nazionale di Cultura peruviani, ma per quanto ora andrò a esporre non mi è possibile attendere oltre.

L’area in cui si trova questo mio ritrovamento è situata al confine con un’area che, in Perù, tutti ben conoscono come Lotto Camisea 88, interessata dalle contestatissime perforazioni per l’estrazione di gas naturale, che rischiano seriamente di compromettere il delicato equilibrio di uno degli ultimi ecosistemi incontaminati del nostro pianeta. A questo si aggiunga il fatto ancor più rilevante che sia l’area di concessione per l’estrazione del gas e sia la città ritrovata insistono sul territorio che da sempre appartiene ai nativi, ovvero la Riserva dei Nahua-Nanti, oggi interessata anche da una nuova concessione che porta un nome funesto, per quanto in passato ha comportato proprio per i nativi indiani della zona: l’area Fitzcarrald (Figg. 16, 17, 18, 19).

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In questa riserva, destinata dal governo peruviano ai nativi, esistono ancora oggi molte unità di incontattati, cui già da tempo alcune associazioni internazionali stanno volgendo la propria attenzione al fine di preservarli e garantire loro una sopravvivenza oggi gravemente minacciata dalle attività di sondaggio e estrazione di gas e petrolio e da tagliatori di legna alla ricerca del prezioso mogano rosso.

Molti accampamenti di questi incontattati sono stati da me identificati proprio all’interno del territorio su cui insistono le rovine oggetto di questa mia comunicazione, quasi avessero voluto mantenere saldo e alimentare un ideale cordone ombelicale con le radici etniche e culturali da cui discendono, senza mai abbandonarlo, come dimostra questa immagine (Fig. 20)

raccolta a soli 4 km da quello che dovrebbe essere il piazzale cerimoniale dell’Inti Raymi (Fig. 6). Di questi accampamenti ne ho individuati almeno una quindicina, tutti situati tra un edificio e l’altro, come parzialmente racconta l’immagine successiva. (Fig. 21).

L’altissima posta in gioco è quindi comprensibilmente alta, e gli innumerevoli interessi coinvolti da questa mia scoperta e dal modo allargato con cui ho voluto darne conoscenza non dovrebbero lasciare nessun individuo abitante il nostro pianeta indifferente, poiché riguarda la storia di tutti noi, la terra che ci ospita e conseguentemente il nostro futuro. Non avrebbe avuto senso denunciare questo ritrovamento in altro modo, se non dando rilievo più all’oggetto ritrovato che non al prestigio del suo ritrovatore.

Diceva Oscar Wilde: “Solo conoscendo il nostro passato possiamo conoscere il nostro futuro”.

Se vogliamo consegnare ai nostri figli un futuro migliore, dobbiamo preservare ciò che più di ogni altra cosa è legata al nostro passato e a quel patrimonio infinito di conoscenze che abbiamo sacrificato in nome di un progresso che forse si presenta tale nelle sue manifestazioni materiali, ma che in realtà è un regresso vero e proprio nel rapporto subordinato con cui l’uomo dovrebbe porgersi al cospetto della natura, se vuole preservare in salute lo straordinario pianeta che ci ospita.

Per questo motivo ho voluto interrompere i tempi di attesa, rispettando però quelle che erano le scadenze annunciate al Governo peruviano, affinché possano essere attivate da subito tutte le iniziative per mettere in sicurezza l’area innanzitutto, al fine di evitare che male intenzionati o cercatori di tesori senza scrupoli possano invadere e compromettere l’integrità della zona individuata, ma soprattutto possano costituire una pericolosa minaccia per gruppi di individui che, non avendo mai avuto contatti diretti con alcuna forma di realtà civilizzata, possano essere da queste gravemente compromessi.

Invoco inoltre l’intervento dell’Unesco, di cui la Riserva Nahua-Nanti è patrimonio prezioso, e l’ONU affinché una campagna di scavi venga condotta a livello intergovernativo e, poiché per decisione della Corte Suprema del 2003 il territorio interessato appartiene per legge ai nativi, venga ad essi concesso il massimo della tutela e dell’attenzione, affinché cessino disboscamenti, sondaggi ed estrazione di gas naturali e petrolio e sia preservata immediatamente la zona da attività di esplorazione senza coordinamento, perché anche solo un raffreddore, per queste persone, può essere letale.

Spero altresì che a seguito di questo mio annuncio, si possa creare come detto un coordinamento intergovernativo, finanziato con sponsorizzazioni pubbliche e private, auspicando, come detto da subito, un intervento diretto del governo peruviano, affinché l’area sia protetta dalla naturale curiosità di studiosi e cercatori di tesoro senza scrupoli, fintanto che non sia data l’opportunità, come per altri siti, di una visita organizzata e regolamentata.

Oggi ci troviamo dinanzi a quello che è probabilmente uno dei più antichi e incontaminati ritrovamenti archeologici della nostra storia, e preservandolo e rispettandolo come esso merita forse avremo fatto un grande, un grandissimo passo verso quella riconversione di uno stile di vita ormai insostenibile e che oggi si dimostra fallimentare nelle sue strutture portanti, anche e forse soprattutto attraverso le continue manifestazioni che la natura, per troppo tempo violentata e inascoltata, ogni giorno ci manifesta.

Per questo motivo, e solo per questo, ho deciso di dare a questo mio ritrovamento l’annuncio pubblico nella forma in cui lo state vedendo, affinché ad altri sia impedito penetrare in quella zona senza una completa e responsabile tutela del patrimonio e delle popolazioni interessate, e poter riconsegnare alla conoscenza una pagina importante della storia dell’uomo, in cui i cicli delle stagioni e il ritmo della vita era scandito senza eccezioni dall’unica legge realmente sovrana, la legge naturale: “ La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.” (Galileo Galilei)

Vorrei allora chiudere questa mia comunicazione con un invito, che al tempo stesso rappresenta un augurio per tutti noi e che spero divenga un motto per la direzione che in futuro governi e governati facciano propria; l’invito è la contrazione assoluta di uno dei più bei scritti mai consegnatici da quello che è ritenuto essere il Sommo Poeta, e ci ricorda cosa realmente scandisce le nostre stagioni: “Nel mezzo del cammin di nostra vita … tornammo a riveder le stelle

Solo allora avremo un futuro decoroso da consegnare ai nostri figli.

Video: Riccardo Magnani – Bagnacavallo 2013 – subENG – YouTube

IMPERO AMAZZONICO DI PAITITI 12 Riccardo Magnani nasce a Lecco il 25 gennaio 1963. Laureato in Economia e Commercio, da alcuni anni si dedica con profitto allo studio di Leonardo da Vinci, divenendo autore di diverse pubblicazioni nelle quali espone le sue innumerevoli e innovative letture dell’opera leonardesca e rinascimentale in genere. La creazione di questo sito è dedicata all’esclusiva pubblicazione della sua più recente scoperta, ovvero la Ciudad Perdida nel cuore dell’Amazzonia peruviana: il regno del Paititi, l’Eldorado tanto decantato dai Conquistadores spagnoli ma fino ad oggi mai realmente individuato da alcun ricercatore al mondo.

Fonte: WWW.PAITIT2013.COM/RESTAURANT | LA SCOPERTA

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One thought on “IMPERO AMAZZONICO DI PAITITI

  1. In settembre 2019 sono stato in Perù. A Cusco ho visitato il sito megalitico di Saqsaywaman. Ho fotografato il Tempio del Sole con al centro l’Orologio Solare circolare, sulla cima della collina più alta di Saqsaywaman che domina Cusco. Ha certamente delle analogie con la Montagna Quadrata.
    Ho visitato Puka Pukara. Dalla collina più alta ho fotografato la strada che va verso Pisac, sul fiume Urubamba e che forse fu una via di fuga, inizialmente verso Nord-Est, degli Inca dagli Spagnoli. Ma a quel punto puoi anche seguire la corrente del fiume verso Nord-Ovest fino a Machu Picchu, ed oltre, a Nord, verso la bassa Amazzonia (Regno del Paititi ?)

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