IL SIMBOLISMO DELLA COLONNA

IL SIMBOLISMO DELLA COLONNA

LE DUE GRANDI COLONNE DEL TEMPIO DI SALOMONE

Due pilastri decorati furono collocati nel portico del tempio come sacri obelischi.

Preludio: Gli Israeliti In Egitto

I due grandi pilastri che il re Salomone eresse nel portico all’ingresso del tempio di Gerusalemme erano obelischi sacri, che furono simboli della massima importanza per gli israeliti. Per comprendere quanto fossero importanti il Tempio e le sue due Colonne nella vita degli israeliti dall’inizio del primo millennio a.C, il precedente millennio nella storia degli israeliti deve essere visto nella giusta prospettiva. Di particolare importanza furono i forti legami culturali e intellettuali sviluppatisi tra gli israeliti e gli egiziani durante i 430 anni circa in cui gli israeliti vissero nella regione del delta dell’Egitto prima del loro esodo. La storia degli israeliti registra che subirono la schiavitù nell’ultimo secolo della loro residenza in Egitto, ma la loro schiavitù non fu dura se confrontata con gli abituali standard di quell’epoca. La parola ebraica per schiavo è Ayin Beth Daleth, o “eved” in inglese, una variante di Ayin Waw Beth Daleth, o “oved” in inglese, la radice della parola usata quando ci si riferisce ad un lavoratore in generale. Il linguaggio ebraico è più strettamente correlato all’occidentale lingua semitica di Ugarit nel nord della Siria. La scrittura ebraica fu derivata dal fenicio intorno al 710 a.C .

Come Heth Beth Resh, o “habiru” in inglese, il nome “Ebreo” originariamente non aveva una connotazione etnica o razziale, ma significava letteralmente essere legato o unito insieme. La parola deriva da Heth Pe Resh, o “hapiru” in inglese, una parola di origine arabica che significa letteralmente uno “scavatore”, originariamente riferito ai servitori stranieri, in particolare gli Hurriti indo-ariani che migrarono nella Mezzaluna Fertile dal nord durante il terzo millennio a.C . Gli habiru erano una classe di persone che si guadagnavano da vivere svolgendo lavori manuali, spesso sotto contratto. Un cognomen interessante nei testi biblici è il gentile “ibri”, anch’esso significante “ebreo”, che è usato come patronimico per Abramo e la sua linea diretta di discendenti. L’utilizzo di “ibri” nell’Antico Testamento è costantemente etnico, il che suggerisce che l’espressione potrebbe aver avuto una sfumatura dispregiativa. Tuttavia la designazione ibri divenne in seguito un epiteto esclusivo, rivendicato con orgoglio da quegli ebrei il cui patrimonio culturale e religioso non era stato modificato dalle successive influenze della dominazione greca e romana iniziata nel 336 a.C. con Alessandro Magno e proseguita fino a che l’imperatore romano Caracalla estese la cittadinanza a tutti i residenti liberi in tutto il Mediterraneo nel 212 d.C .

In Esodo (1:7-14) ci viene detto perché gli Israeliti furono ridotti in schiavitù e quale lavoro era loro richiesto:

E i figli d’Israele furono fecondi e crebbero abbondantemente e si moltiplicarono e divennero troppo potenti; e il paese ne fu pieno. Ora sorse un nuovo re sull’Egitto, che non aveva conosciuto Giuseppe. E disse al suo popolo: . . . trattiamo con saggezza con loro: . . . Pertanto hanno posto su di loro dei sovrintendenti per affliggerli con i loro gravami. E costruirono per il faraone le città del tesoro di Pithom e Raamses . . . E gli Egiziani obbligarono i figli d’Israele a servire con rigore; e resero la loro vita amara con una dura schiavitù, nella malta e nel mattone e in ogni sorta di servizio nei campi; . . .”

Pertanto, sebbene gli israeliti fossero principalmente relegati a lavorare la terra e costruire città durante il loro periodo di schiavitù, i mezzi di sussistenza della maggior parte di loro non differivano sostanzialmente da quelli che erano stati in precedenza. Il loro ricordo della loro schiavitù e della sua conclusione è rivelato nell’esortazione data in Deuteronomio (15:15), che dice: “Ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha riscattato“.

Non c’è dubbio che l’esposizione degli israeliti alla cultura egizia, per più di quattro secoli, influenzò profondamente le loro vite e fu un elemento importante nella formazione della loro religione. Ciò fu particolarmente significativo riguardo a Mosè. È generalmente accettato dagli storiografi biblici che Mosè sia stato educato alla corte del faraone, dove ricevette un’istruzione sostanziale e gli si attribuisce il merito di aver ottenuto la “sapienza degli egiziani”. L’influenza culturale degli egiziani sugli israeliti non cessò mai durante il loro periodo di schiavitù. In effetti, continuò a farsi sentire molto tempo dopo l’esodo degli israeliti sotto la guida di Mosè.

Fino a pochi decenni fa l’inizio dell’Esodo era datato intorno al 1440 a.C . Tuttavia, indagini archeologiche più recenti hanno consentito di correlare meglio gli eventi biblici con altri documenti rilevanti, di quanto fosse possibile utilizzando solo le genealogie bibliche, sulla base delle quali l’Esodo che proclamò la fondazione di Israele come nazione iniziò probabilmente intorno al 1280 a.C. durante il regno del faraone Ramses II. Così il “nuovo re d’Egitto, che non conobbe Giuseppe”, menzionato nei passi di Esodo (1:7-14) citati sopra, sarebbe stato il faraone Seti I che, secondo la cronologia più recente, avrebbe regnato dal 1312 a.C. al 1298 a.C . Mosè sarebbe nato all’inizio del regno di Seti I, durante il periodo in cui era in vigore l’editto del faraone secondo cui ogni figlio ebreo doveva essere gettato nel fiume alla nascita. Ramses II fu il faraone che successe a Seti I e regnò per sessantasette anni.

Precursori del Tempio di Gerusalemme

Poiché gli egiziani avevano svolto un ruolo così significativo nello sviluppo degli israeliti, è comprensibile perché per secoli si fosse ipotizzato che il tempio del re Salomone a Gerusalemme sarebbe stato basato su un modello di origine egiziana. Tuttavia, la ricerca moderna ha rivelato che la disposizione del tempio di Gerusalemme era essenzialmente la stessa del modello che era stato adottato nei molti più antichi templi costruiti in Siria, Iraq e nelle regioni adiacenti. Poiché quei templi più antichi erano i veri predecessori del tempio di Gerusalemme, una certa loro conoscenza stabilirà una migliore comprensione del significato delle due grandi colonne che il re Salomone eresse al portico o ingresso al tempio di Gerusalemme. Gli estesi scavi archeologici che sono stati condotti in Iraq e in Siria sin dagli anni ’30 forniscono una forte evidenza che il tempio di Re Salomone non aveva un retaggio egiziano, ma che fu in realtà una continuazione di una linea di tradizione che era stata saldamente stabilita nei paesi che si affacciano sull’estremità orientale del Mar Mediterraneo, molto prima che il tempio di Gerusalemme fosse costruito.

Le indagini hanno dimostrato che questa linea di tradizione riflette cambiamenti significativi negli atteggiamenti umani verso la divinità, che avevano avuto luogo durante un periodo di circa 2000 anni prima che iniziasse la costruzione del tempio di Gerusalemme. Il primo tempio scoperto in questa linea di tradizione fu un piccolo santuario adiacente all’antico palazzo reale di Tell Ta’Yinat nel nord della Siria, che fu portato alla luce all’inizio degli anni ’30. Questo ritrovamento è stato seguito dalla scoperta di un tempio cananeo nella stessa linea di tradizione, portato alla luce durante gli scavi archeologici in corso nell’antica città bassa di Hazor negli anni ’50, nel nord della Palestina. Hazor era stata occupata solo per circa 500 anni quando fu completamente distrutta e bruciata. La distruzione di Hazor avvenne circa 500 anni prima che iniziasse la costruzione del tempio di Gerusalemme, ma Hazor non fu mai più abitata.

Durante gli anni ’70, nel corso degli scavi che vennero condotti sulle rive del fiume Eufrate prima di costruire il muro della diga che forma il lago “El-Assad”, furono scoperti quattro templi simili, che erano stati costruiti a Emar tra 200 e 400 anni prima che il tempio a Gerusalemme fosse edificato. Da allora sono stati scoperti altri templi di design simile a Ebla e Moumbaqat in Siria, antecedenti il tempio di Gerusalemme di circa 800 anni. I templi conosciuti di questo tipo più antichi finora scoperti sono tre, situati a Tell Chuera, che si trova ai piedi delle montagne del Tauro dell’Asia Minore, tutti risalenti al 2500 a.C. circa. I templi in Siria e Palestina non sono come i templi egizi di quel periodo, ma le loro caratteristiche sono simili a quelle del tempio di Gerusalemme. Questi templi hanno una pianta allungata di circa 3:1 e sono suddivisi in compartimenti come il tempio di Gerusalemme, con un unico ingresso all’estremità orientale dell’edificio e un “Luogo Santo” all’estremità occidentale.

Nonostante le similitudini nella planimetria dei templi in Palestina e in Siria, è evidente dalla diversità delle dimensioni e dei dettagli che il tempio di Re Salomone non fu copiato da un unico progetto, ma piuttosto seguì un modello generale che consentiva una logica progressione dal profano mondo esterno al sacro sancta sanctorum. Il profondo significato di ciò è riflesso nella Bibbia dai nomi dati alle varie parti del tempio. Il tempio di Gerusalemme aveva un unico ingresso all’estremità orientale, a cui si accedeva passando attraverso “l’ulam”, un portico aperto o ingresso fiancheggiato da due colonne, una all’angolo nord-orientale e l’altra all’angolo sud-orientale. L’ulam si apriva “nell’hekhal”, la sala per il culto quotidiano da parte dei sacerdoti, la presentazione delle offerte e l’esecuzione del rito. L’hekhal dava accesso al “debir” all’estremità occidentale, che era il “Santo dei Santi” dove era custodita l’Arca dell’Alleanza e dove si diceva che Dio dimorasse.

Background Storico

Quando gli esseri umani abbandonarono per la prima volta la loro esistenza dell’età della pietra e impararono a erigere primitivi rifugi, svilupparono il desiderio di costruire santuari o templi in cui poter adorare l’essere supremo nella “casa del Signore”. La moderna ricerca, supportata da scoperte archeologiche nei paesi che confinano con le sponde orientali del Mar Mediterraneo, indicano che l’originale Torre di Babele sarebbe probabilmente esistita intorno al 4800 a.C . È la prima struttura menzionata nella Bibbia e prende il nome da Babele, una delle principali città fondate da Nimrod nel terra di Sumer, che fu l’antica Babilonia. Non è stata ancora trovata alcuna prova archeologica diretta che confermi positivamente l’esistenza di una città e di una torre a Babilonia prima del 1800 a.C .

Tuttavia vi è un testo di Sharkalisharri, il re di Agade che regnò intorno al 2250 a.C. circa, che menziona che egli aveva restaurato il tempio a torre o “ziggurat” a Babilonia, il che implica che sul sito esistesse una precedente città sacra. Attualmente si ritiene che lo ziggurat costruito da Ur-Nammu, che fu re di Ur intorno al 2100 a.C., sostituì le di molto antecedenti Torri di Babele. Questi ziggurat comprendevano una serie di piattaforme sovrapposte, ciascuna delle quali era alta da 10 a 20 metri e di area progressivamente più piccola. Sulla piattaforma superiore fu eretto un tempio, al quale si pensava che Dio sarebbe disceso per comunicare con l’umanità. L’accesso al tempio avveniva tramite una serie di rampe o scalinate.

Quando Abramo (Abraham) nacque, probabilmente intorno al 1900 a.C a “Ur dei Caldei”, fu chiamato Abramo (Abram) che significa “alto padre”. Abramo, che era un figlio di Terah e un discendente di Sem, fu l’antenato e un patriarca della razza ebraica. Sebbene Abram vivesse in tempi di idolatria era un uomo di eccezionale fede che credeva in un solo Dio, Yod He Waw He o “Yahweh”, che significa “Colui che crea”. La gente di Abram riconobbe Abram come “l’amico di Dio”. Dopo la morte di suo padre, Abram si trasferì ad Harran, nell’estremo nord della Siria, dove ricevette la chiamata di Dio quando aveva 75 anni. Fu allora che Abram ricevette la promessa di Yahweh che avrebbe ereditato l’intera terra a sud-ovest del fiume Eufrate. Dopo aver ricevuto la promessa di Dio, Abramo si recò a sud verso Canaan, dove salvò suo nipote Lot e sconfisse gli Amorrei guidati da Chedorlaomer, re dell’Elam. Dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei suoi alleati, Abramo fu accolto da Melchisedek, re di Salem, chiamato sacerdote del “Dio Altissimo”, cioè di “El Elyon”, Melchisedek offrì ad Abramo pane e vino e lo benedisse nel nome del “Dio Altissimo”. In cambio Abramo diede a Melchisedek la decima parte del suo bottino come decima, con questo riconosceva la grandezza di Melchisedek. Poi declinò la proposta di Melchisedek che Abram si tenesse tutte le spoglie, ma disse che coloro che lo avevano accompagnato avrebbero tenuto il loro bottino. Fu allora che Dio rinnovò la sua alleanza con Abram e Abram cambiò il suo nome in Abraham che significa “padre di una moltitudine”.

Entro un anno da quell’evento, quando Abramo aveva 100 anni, nacque suo figlio Isacco, ma Abramo visse per altri 75 anni. Una grave e prolungata carestia in Canaan e nel Negheb fu la ragione per cui il figlio di Isacco, Giacobbe, che era noto come il “padre del popolo eletto”, condusse gli israeliti in Egitto. Questa migrazione degli israeliti in Egitto fu fatta su invito di Giuseppe, figlio di Giacobbe, che molti anni prima era stato venduto come schiavo in Egitto, ma in seguito divenne viceré lì. Mosè nacque in Egitto nella tribù di Levi, che erano sacerdoti per diritto di nascita. Abbiamo già visto che Mosè nacque al tempo in cui era in vigore un decreto in Egitto, che imponeva che tutti i bambini ebrei maschi fossero uccisi alla nascita. Nonostante il decreto, Mosè fu salvato dalla compassione di una figlia del Faraone, in passato spesso identificata come Hatshepshut, il cui padre era Tuthmosis I. Poiché le più recenti cronologie associano il dominio della regina Hatshepshut sull’Egitto al periodo 1490-1468 a.C., non vi è dubbio che sia stata la figlia di un faraone successivo a salvare Mosè.

Come menzionato in precedenza, attualmente si crede che Mosè nacque all’inizio del regno del faraone Seti I, intorno al 1312 a.C . In ogni caso vi è un generale consenso sul fatto che Mosè fu allevato ed educato alla corte egiziana, diventando in seguito il grande leader e legislatore che condusse gli israeliti ai confini della “terra promessa” dei loro antenati.

È stato notato in precedenza che dopo aver vissuto per circa 430 anni nell’area del delta dell’Egitto, gli israeliti furono soggetti a difficoltà e oppressione sempre maggiori. Per sfuggire alla schiavitù fuggirono dall’Egitto sotto la guida di Mosè, intorno al 1280 a.C. durante il regno di Ramses II. La loro fuga è conosciuta come l’Esodo. Durante l’Esodo condussero un’esistenza semi-nomade per circa 40 anni, vagando attraverso il deserto del Sinai e le terre desertiche di Edom, che culminò con l’attraversamento del fiume Giordano per raggiungere la loro “terra promessa”. A causa del loro errabondare i patriarchi non potevano costruire un santuario permanente per il culto, come era loro costume in ogni città della Mesopotamia ancor prima che Abramo la lasciasse in risposta alla chiamata di Dio.

All’inizio del loro esodo dall’Egitto, gli israeliti caddero nell’idolatria. Questo fu quando Mosè trascorse quaranta giorni sul Monte Sinai, dove ricevette le tavole di pietra recanti i Dieci Comandamenti, che furono considerate come un “atto di proprietà” dell’alleanza di Israele con Dio. Fu durante i suoi quaranta giorni sul Monte Sinai che Mosè ricevette Il comando di Dio che avrebbe dovuto erigere un santuario trasportabile e costruire “l’Arca dell’Alleanza”. L’Arca dell’Alleanza era conservata nel santuario trasportabile, chiamato “Tabernacolo”, o Tenda di Congregazione. Il Tabernacolo fu il santuario degli Israeliti durante il loro vagabondaggio attraverso il deserto, dove credevano che “Dio dimorasse tra gli Israeliti”. Tuttavia, il Tabernacolo continuò ad essere utilizzato come provvisorio luogo di incontro del popolo con Dio per molto tempo, dopo che gli Israeliti entrarono in Canaan. Sotto i Giudici era a Silo (Shiloh) e sotto il regno di Saul era prima a Nob e poi a Gabaon.

Quando il re Davide ebbe consolidato il suo potere e si costruì un palazzo permanente, la mancanza di un permanente santuario di Yahweh gli sembrò oltraggiosa. Fu per questo motivo che il re Davide disse, come è riportato in II Samuele (7:2) della “New English Bible”: “Io abito qui in una casa di cedro, mentre l’Arca di Dio è alloggiata in delle tende“.

Tuttavia, ci viene detto in I Cronache (22:8) che il Signore aveva espressamente proibito al re Davide di costruire un tempio, perché le sue mani erano macchiate del sangue dei suoi nemici. Ci viene anche detto che il Signore disse al re Davide che avrebbe avuto un figlio, Salomone, che sarebbe stato conosciuto come “un uomo di pace” e che avrebbe costruito il tempio.

Il re Davide acquistò l’aia di “Araunah il Gebuseo” come sito del tempio, che si trova all’interno dell’area ora chiamata Haram es-Sherif, il punto più alto del monte Moriah sul lato orientale della “Città Vecchia” di Gerusalemme. Sebbene la posizione precisa del tempio sul Monte Moriah sia incerta, le evidenze disponibili suggeriscono che il “Santo dei Santi” fosse nel punto più alto, che ora è il luogo della moschea conosciuta come “La Cupola della Roccia”. I documenti biblici ci dicono che il re Davide raccolse anche tesori e racimolò materiali per la costruzione del tempio. È riportato nelle scritture che quando il re Davide era sul letto di morte affidò la costruzione del tempio al suo figlio e successore, re Salomone, che divenne rinomato per la sua saggezza. In I Cronache (22:6) ci viene detto: “Mandò a chiamare suo figlio Salomone e gli ordinò di costruire una casa per il Signore, Dio d’Israele“.

Il background del soggiorno degli Israeliti in Egitto, gli eventi accaduti durante l’Esodo, le guerre che consolidarono il potere del re Davide, la costruzione del tempio da parte del re Salomone e la sua successiva movimentata storia, sono tutti raccontati nei minimi particolari in due libri che affrontano l’argomento da diverse prospettive. Il primo è un resoconto del popolo ebraico e delle sue prove e tribolazioni nel corso di quattordici secoli di umani tumulti e cambiamenti, che Joan Comay ritrae vividamente in “The World’s Greatest Story”, che è sottotitolato “The Epic of the Jewish People in Biblical Times”. La sua narrazione mette a fuoco l’intero spettro delle attività umane che hanno influenzato la religione ebraica, portando all’istituzione del tabernacolo durante le peregrinazioni degli israeliti nei deserti del Sinai e infine alla costruzione del tempio di Gerusalemme. Il secondo è “The Bible and the Ancient Near East”, di Cyrus H. Gordon e Gary A. Rendsburg, che è stato progressivamente aggiornato dal 1953 e correla i risultati delle continue indagini archeologiche con la storia come è narrata nella Bibbia ebraica. Alcuni degli aspetti più esoterici dell’evoluzione del popolo ebraico sono esaminati da Laurence Gardner nel suo recente e stimolante libro intitolato “Genesis of the Grail Kings”, sottotitolato “The Pendragon Legacy of Adam and Eve”. Gardner inizia la storia degli israeliti con le loro origini mesopotamiche, ma sorprendentemente la sua tabulazione degli eventi durante la loro permanenza in Egitto non è basata sulla cronologia più recente. Egli data l’inizio dell’Esodo al 1330 a.C., invece che al 1280 a.C. circa. Di conseguenza, il suo resoconto dei primi giorni di Mosè in Egitto e le conclusioni a cui giunge non sono gli stessi di quelli forniti in precedenza in questo testo.

Il Tempio di Gerusalemme

Il re Salomone iniziò l’effettiva costruzione del tempio nel quarto anno del suo regno e la completò sette anni dopo, verso il 950 a.C. . Aveva stipulato un trattato con Hiram re di Tiro, in base al quale Hiram consentiva a Salomone di acquisire legno di cedro e cipresso e blocchi di pietra dal Libano. Inoltre, agli operai di Salomone fu permesso di abbattere il legname ed estrarre e tagliare le pietre sotto la direzione degli abili operai di Hiram. Inoltre, Salomone aveva anche i servizi di un abile artigiano di Tiro di nome Huram, o Hiram Abif, che si occupava delle fusioni e della fabbricazione dei mobili e degli arredi più preziosi del tempio. In cambio, Salomone inviò rifornimenti di grano, olio e vino a Hiram re di Tiro.

Il tempio di Gerusalemme era lungo 60 cubiti e largo 20, con il suo asse orientato da est a ovest. L’”ulam” o portico all’estremità orientale del tempio era lungo 10 cubiti sull’asse del tempio e largo 20 cubiti. “L’hekhal”, o “Luogo Santo”, aveva una lunghezza di 40 cubiti lungo l’asse del tempio e una larghezza di 20 cubiti. Contrariamente alla concezione popolare, il “Luogo Santo” era accessibile solamente ai sacerdoti. I membri del pubblico erano ammessi solo nei cortili circostanti, ma erano confinati in base al loro status. Il santuario interno all’estremità occidentale era il “debir”, o “Santo dei Santi” (Holy of Holies; Sancta Sanctorum), che era un cubo perfetto con lati lunghi 20 cubiti. È probabile che il Santo dei Santi fosse accessibile solamente al sommo sacerdote durante la cerimonia di espiazione, una volta all’anno.

Non c’è dubbio che il tempio del re Salomone a Gerusalemme fu un magnifico edificio, superiore a qualsiasi cosa l’avesse preceduto. Il tempio era noto per la sontuosa bellezza dei dettagli e delle finiture, non per le sue dimensioni. Le pareti di pietra erano rivestite all’interno di cedro scolpito con cherubini, palme, ghirlande e fiori sboccianti. Anche i soffitti erano rivestiti di cedro e il pavimento era coperto di assi di cipresso. Il pavimento, le pareti e il soffitto erano tutti ricoperti da sottili lastre d’oro. Il Santo dei Santi era separato dal Luogo Santo da doppie porte di cipresso e schermato da un velo. Probabilmente le porte erano lasciate almeno in parte aperte per fornire luce, perché nel santuario interno non c’erano finestre.

All’interno del Santo dei Santi c’erano due cherubini scolpiti in legno d’ulivo e ricoperti d’oro, alti 10 cubiti con le punte delle loro ali spiegate che si toccavano al disopra dell’Arca dell’Alleanza.

Nelle pareti nord e sud del Luogo Santo, vicino al soffitto, c’erano finestre a grata per fornire luce durante le ore diurne.

L’edificio principale del tempio era circoscritto sulle pareti nord, ovest e sud da una serie di camere alte tre piani. Queste stanze fungevano da magazzini e uffici e forse fornivano anche alloggio per i sacerdoti. Non c’era ingresso alle camere dall’interno del tempio, ma c’erano due porte esterne, una vicino all’angolo sud-orientale dell’edificio principale e l’altra vicino all’angolo nord-occidentale. Ognuna di queste porte dava accesso ad una scala interna a chiocciola che portava ai piani superiori. Il complesso edilizio era su di una piattaforma, che si elevava rispetto ai cortili terrazzati che lo circondavano completamente. L’accesso al portico del tempio si otteneva salendo dieci gradini dal “cortile superiore o interno”, al quale si accedeva salendo otto gradini dal “cortile grande o esterno” che lo circondava. L’altare di bronzo, il mare di bronzo e i lavacri erano nel cortile superiore, dove i sacrifici e altri cerimoniali avevano luogo. Il pubblico poteva assistere al cerimoniale dal cortile esterno, ma non gli era permesso di mescolarsi con i sacerdoti che partecipavano al cerimoniale. Il cortile esterno era racchiuso entro mura costituite da tre corsi di pietre squadrate, sormontate da una fila di travi di cedro. L’accesso al cortile esterno, dall’ambiente circostante, avveniva salendo sette gradini. Si ritiene che portici e vestiboli fossero previsti nell’ambiente circostante, in prossimità delle porte che davano accesso al cortile esterno.

I Due Grandi Pilastri

Hiram era responsabile della fusione dei due grandi pilastri che erano stati eretti nel portico del tempio, uno per lato. Il portico non aveva tetto e le due colonne all’ingresso del tempio erano autoportanti. Nella massoneria operativa c’è una tradizione che quando il re Salomone diede il nome ai due pilastri si trovava nel Luogo Santo e guardava attraverso la porta d’ingresso verso est. Così il pilastro destro, chiamato Jachin, era all’angolo sud-orientale del tempio e il pilastro sinistro, chiamato Boaz, era all’angolo nord-orientale del tempio, il che è coerente con la descrizione data nelle sacre scritture. Le colonne erano cave, alte 18 cubiti e spesse quattro dita. Furono fuse cave per risparmiare materiali scarseggianti ed anche per ridurne il peso per la movimentazione e il trasporto. L’ipotesi che i pilastri fossero usati come archivi per conservare i “rotoli costituzionali” (constitutional rolls) è un abbellimento che non si fonda sui fatti.

Le colonne furono fuse verticalmente in stampi scavati nel terreno, utilizzando il metodo della “cera persa” che gli Assiri avevano sviluppato durante l’età del bronzo, probabilmente intorno al 1200 a.C. durante il regno del re Shalmanesar. Quando la fusione viene fatta utilizzando il “processo a cera persa”, lo stampo esterno è formato concentricamente attorno ad uno stampo interno di sabbia o di altro materiale adatto ricoperto di cera. Quando il metallo fuso viene colato nello stampo, la maggior parte della cera si scioglie lasciando un sottile rivestimento di materiale liscio, che consente di rimuovere facilmente la fusione quando si è raffreddata. Poiché le colonne, come quelle del portico del tempio del re Salomone, erano comuni a quel tempo in Siria, Fenicia e Cipro, il metodo della fusione a “cera persa” era ben noto agli artieri di Tiro.

Ciascuna colonna del tempio di re Salomone era sormontata da un doppio capitello, che aveva un’altezza complessiva di 5 cubiti e probabilmente fu fuso in due parti separate. La parte inferiore di ciascun capitello (capital), chiamata collarino (chapiter), era abbellita da un decoro a forma di loto comprendente quattro petali aperti ed estroflessi, ciascuno largo 4 cubiti. Le sezioni superiori dei capitelli non erano sfere, come solitamente viene affermato, ma erano grandi conche. Non rappresentavano ciò che era allora conosciuto del globo terrestre o della sfera celeste. La moderna ricerca ha rivelato che le conche che sormontavano i pilastri erano quasi certamente recipienti per contenere olio, che poteva essere acceso e bruciare durevolmente.

Indagini archeologiche rivelano che pilastri decorati simili furono utilizzati in Palestina e a Cipro durante il periodo dal 1000 a.C. al 900 a.C., che abbraccia il periodo durante il quale il tempio di Gerusalemme era in costruzione. Le basi di pilastri simili sono state scoperte nei siti dei templi di Hazor e Tell Ta’Yinat, ognuno dei quali aveva anch’esso due colonne all’ingresso. Lo storico greco Erodoto (c.484-425 a.C.), chiamato il “Padre della Storia”, viaggiò molto nelle terre che costeggiavano la metà orientale del Mar Mediterraneo. Nel suo trattato intitolato “Historíai”, Erodoto descrisse due grandi pilastri vicino al tempio di Ercole a Tiro, con particolare riferimento al fatto che “risplendevano di notte”.

I due grandi pilastri che si ergevano nel portico del tempio di re Salomone furono eretti e dedicati prima che il tempio fosse completato. In “I Re” (7:21), in relazione all’opera di Hiram, leggiamo quanto segue:

E egli ha eretto le colonne nel portico del tempio; e egli ha eretto la colonna di destra e l’ha chiamata Jachin; e egli ha eretto la colonna di sinistra e l’ha chiamata Boaz“.

La formulazione di questo testo è insolita per certi aspetti, perché consente più di una traduzione. L’espressione “egli ha eretto”, ripetuta tre volte, sembra a prima vista usata per aggiungere enfasi all’affermazione, ma c’è un’altra interpretazione altrettanto valida. Questo perché la parola ebraica che si usa per una colonna o un pilastro è ‘mwr, che è un derivato della parola radice ‘mr che significa fondare, gettare le fondamenta di, stabilire, innalzare o erigere. Inoltre, “pilastro” è spesso usato nelle scritture in un senso simbolico, quando può avere una varietà di significati. In almeno un’occasione ‘mwr è utilizzato per significare la “casa del Dio vivente”, come in “1 Timoteo (3:15)”. La possibilità di una traduzione alternativa è supportata dal fatto che i due nomi dati alle colonne sono anche parole comuni che normalmente verrebbero tradotte con i loro significati ordinari. Per questi motivi una parte del testo potrebbe essere tradotta come “Io stabilisco nel pieno della mia forza la Casa di Dio”, da cui può derivare la seguente espressione:

“Poiché il Signore ha detto, nel pieno della mia forza stabilirò questa Mia Casa che rimarrà salda per sempre”.

La promessa di Dio al re Davide e la risposta del re Davide a Dio sono entrambe rilevanti. Sono registrati in I Cronache (17:12) e I Cronache (17:24) della “New English Bible” con le seguenti parole: “È lui che mi costruirà una casa e io stabilirò il suo trono per sempre“.

Lascia che sia saldo, affinché la tua fama possa essere grande per sempre e lascia che gli uomini dicano ‘Il Signore degli eserciti, il Dio di Israele, è il Dio d’Israele‘”.

È stato spesso detto che i pilastri furono nominati con l’intenzione di custodire la memoria dell’ascendenza del re Davide attraverso la sua linea materna, perché Jachin ricorre come nome simeonita ed era un nome usato in una famiglia sacerdotale, così come attraverso la sua linea paterna perché Boaz era un ricco proprietario terriero di Betlemme ed era il bisnonno di Davide. Tuttavia, gli esperti hanno dimostrato in modo convincente che i nomi dei pilastri erano parole chiave usate dagli oracoli che cercavano di conferire potere alla dinastia di Davide e di esprimere la gratitudine di Salomone all’Onnipotente prima della dedicazione del tempio, quando gli oracoli avrebbero usato parole come “Yahweh stabilirà (yakin) il tuo trono per sempre” ed anche “In Yahweh è la forza (boaz) del re”, che sono coerenti con la traduzione alternativa data sopra. I pilastri eretti nel portico del tempio di Gerusalemme sono stati anche interpretati come obelischi sacri che con i loro lucignoli ardenti e fumanti ricordano ai fedeli le colonne di fuoco e di nubi che guidavano l’Israele di un tempo attraverso il deserto. Questi immensi altari del fuoco o incensieri erano simili alle loro controparti fenicie e avrebbero illuminato di notte la facciata del tempio sul monte Moriah, catturando anche il primo bagliore dell’alba a Gerusalemme e producendo una nuvola di fumo scuro durante il giorno. Dunque entrambe le interpretazioni sarebbero ugualmente valide.

La Storia Successiva

Nei tempi antichi, i templi non erano solo il fulcro dell’attività religiosa. Spesso erano i veri centri di potere di una regione, soprattutto quando il clero era dominante. I templi fungevano anche da tesorerie statali, essendo pieni di bottino quando la nazione era potente e schiacciava i suoi nemici, o svuotati per pagare i tributi ai suoi dominatori quando era in uno stato di oppressione. Il tempio del re Salomone a Gerusalemme non faceva eccezione. Dopo che il tempio fu completato ci furono molti anni di benessere mentre il re Salomone era in pace con i popoli vicini. Durante tutto quel periodo di benessere il re Salomone usò il lavoro forzato e impose tasse eccessive per realizzare i suoi numerosi progetti di costruzione, durante i quali enormi quantità di tesori furono accumulati nel tempio. Roboamo, figlio del re Salomone e della principessa ammonita Naamah, assunse il potere intorno al 930 a.C. . Spinto dalle rivendicazioni dei suoi contemporanei ribelli, Roboamo disse al popolo che sarebbe stato tassato e punito ancora più severamente di prima, il che presto pose fine alla libera confederazione di tribù che ufficialmente era stata un regno unitario. Con l’incoraggiamento di Shishak, re d’Egitto, dieci delle dodici tribù d’Israele si ribellarono sotto la guida di Geroboamo, che in precedenza era incorso nella collera di Salomone. Dopo la rivolta Geroboamo divenne il primo re del regno separato di Israele nel nord.

Roboamo rimase re del regno di Giuda, con sede a Gerusalemme, ma temeva gli interessi di Shishak, il re d’Egitto che aveva sostenuto Geroboamo nelle sue attività. Roboamo fortificò le città di Giuda, compresa Betlemme. Giuda fu anche rafforzato da un afflusso di sacerdoti e leviti che avevano abbandonato il regno di Israele, in segno di protesta contro l’interruzione delle pratiche religiose che erano diventate predominanti nel regno settentrionale. Roboamo e i suoi sottoposti prosperarono per un certo periodo, finché delle pratiche idolatriche corruppero gradualmente la loro devozione a Dio. È riportato in I Re (14:25-28) che Shishak razziò il tempio e il palazzo intorno al 925 a.C., quando prese tutti i tesori di Gerusalemme come tributo e stabilì il suo dominio sul paese. Il profeta Geremia fece notare che queste calamità si erano verificate perché la nazione aveva peccato agli occhi di Dio, il che condusse Roboamo e il suo popolo a pentirsi. Diversi anni dopo, quando Shishak se ne fu andato, il culto di Dio fu restaurato. Roboamo non fu un grande re e il suo regno fu segnato da sporadiche guerre con il regno settentrionale, che continuarono fino alla sua morte nel 915 a.C. circa. Tuttavia, fu sepolto tra i “buoni re” nella città di Davide.

I re successivi usarono il tesoro accumulato per “comprare” l’amicizia di alleati o per pagare un tributo per corrompere gli invasori, compreso Ezechia durante il suo regno di circa tredici anni come co-reggente con Acaz. Ezechia divenne l’unico re di Giuda intorno al 715 a.C. e divenne uno dei suoi re più importanti, rinomato per la sua eccezionale pietà, le sue misure per la riforma religiosa e le sue vigorose attività politiche. Ezechia riaprì il tempio e lo purificò di tutto ciò che lo rendeva inidoneo al suo utilizzo, quindi ripristinò il vero culto. Egli riaffermò anche l’antica alleanza tra Yahweh e Israele, quando ospitò la celebrazione della Pasqua su una scala senza precedenti. Su invito di Ezechia, anche molti israeliti del regno settentrionale parteciparono alle festività pasquali. Ezechia è anche celebrato per aver costruito un serbatoio e un tunnel per fornire acqua fresca all’interno delle mura della città di Gerusalemme. Tutti questi eventi sono registrati in II Re (20:20) e in II Cronache (32:30). Il figlio di Ezechia, Mannaseh, regnò come co-reggente con suo padre durante gli ultimi dieci anni del regno di suo padre fino alla morte di Ezechia, probabilmente intorno al 685 a.C. .

Re idolatri succedettero a Ezechia. Profanarono il tempio e lasciarono che cadesse in rovina, fino al tempo di Giosia, più di tre secoli dopo che il tempio di Gerusalemme era stato completato. Il tempio necessitava quindi di ampie riparazioni, che potevano essere finanziate solo con le contribuzioni dei fedeli. Giosia compì una riforma ancora più completa di quella di Ezechia, inclusa la distruzione di tutti gli “Alti Luoghi” che erano stati usati nel culto idolatrico. Eliminò ogni traccia di culto pagano e ripristinò ancora una volta la celebrazione della Pasqua, ad un livello che superava persino quello di Ezechia. Giosia morì in battaglia a Meghiddo intorno al 609 a.C., quando Neco II, re d’Egitto, avanzò attraverso la Palestina per assistere gli Assiri ad Harran. Nonostante le forti assicurazioni che aveva ricevuto in senso contrario, Giosia pensava che gli Egiziani fossero una minaccia per il suo regno e quindi si oppose a Neco II. Infine nel 587 a.C, durante il regno di Sedechia, l’ultimo re di Giuda, Nabucodonosor, re di Babilonia, razziò il tempio e saccheggiò Gerusalemme. È registrato in Re (35:13), che i due grandi pilastri del tempio furono spezzati e che il metallo fu portato a Babilonia. È interessante notare che nella visione di Ezechiele del tempio ideale, durante il suo esilio in Babilonia, egli intendeva sostituire i due grandi pilastri con colonne lignee.

Un Simbolismo Universale

I pilastri, o colonne, sono stati oggetti simbolici utilizzati da tutte le comunità in tutte le epoche della storia documentata. A volte si ergono in uno splendore solitario, ma spesso sono disposti in gruppi. I singoli pilastri servono comunemente come memoriali, alcuni dei più famosi sono gli obelischi che furono eretti negli antichi complessi templari in Egitto. In quanto memoriali, i singoli pilastri rappresentano due dei simbolismi fondamentali di una colonna o pilastro, che sono, in primo luogo come emblema della mente superiore che è ricettiva dello spirito di verità e amore e in secondo luogo come emblema dell’anima perfetta. Quest’ultimo simbolismo si riflette specialmente in Apocalisse (3:12), la cui versione della “New English Bible” ci dice:

Colui che è vittorioso, lo farò colonna nel tempio del mio Dio; egli non lo lascerà mai. E scriverò il nome del mio Dio su di lui, …

Poiché i due grandi pilastri del tempio di Gerusalemme sono già stati discussi in dettaglio, è sufficiente menzionare che i pilastri gemelli suggeriscono stabilità e implicano forza. Gruppi di tre pilastri suggeriscono la cooperazione e implicano la perfezione, rappresentata da i due armonizzanti trii di Saggezza, Forza e Bellezza insieme a Fede, Speranza e Carità. Gruppi di quattro pilastri suggeriscono completezza e implicano il compimento, di cui i “quattro pilastri del regno dei cieli” sono tipici. Rappresentano quattro stati simbolici che sono il fondamento dell’aspirazione umana verso l’esistenza spirituale (spiritual being). Questi quattro stati sono la terra, simbolo dello stato fisico, accoppiata con l’acqua, simbolo del piano intermedio della natura che collega lo stato fisico con il piano mentale, accoppiati con l’aria, simbolo del piano mentale e anche con il fuoco, simbolo della fonte della vita spirituale.

Capitolo XXV del libro “The Square And Compasses” Autore Don Falconer.

I TRE GRANDI PILASTRI

IL SIMBOLISMO DELLA COLONNALe scritture abbondano di riferimenti a pilastri strutturali, pilastri monumentali.

Il Concetto di Pilastri Simbolici

Fin dalla più antica storia documentata, l’elemento strutturale chiamato pilastro è stato utilizzato anche in senso figurato per descrivere un immaginario pilone o sostegno su cui poggia il cielo o la terra, nonché per definire una persona che è un convinto sostenitore di un principio o un’istituzione. La parola deriva direttamente dal latino “pila”, che significa pilastro o pilone. L’origine della parola latina è oscura, ma si ritiene che derivi dall’antico ittita “pirwa”, che significa “roccia”, attraverso il greco “pilar” in cui la “r” e la “l” sono intercambiabili. La parola ebraica per colonna o pilastro è “‘mwr”, che è un derivato della parola radice “‘mr” che significa “sostenere” (stand), che si applica sia alle cose animate che a quelle inanimate. Quando il pilastro viene usato in senso figurato, implica anche Forza.

Pilastri Simbolici nella Religione

Le scritture abbondano di riferimenti a pilastri strutturali, pilastri monumentali e pilastri simbolici. Alcuni di essi, come i due chiamati Jachin e Boaz che si trovavano all’ingresso del tempio del re Salomone, avevano un significato architettonico oltre ad essere importanti simboli religiosi per gli israeliti. Poiché ci occupiamo principalmente di pilastri simbolici, verranno forniti alcuni esempi del loro uso figurativo. È detto in I Samuele (2:8), che “i poveri e i mendicanti saranno innalzati per ereditare il trono della gloria e diventare pilastri della Terra“. In Giobbe (9:4-6), ci viene detto che Dio è “potente nella forza, capace di scuotere la Terra dal suo posto ed i suoi pilastri pertanto tremano”. L’apostolo Paolo disse in Galati (2:9) che Giacomo, Cefa e Giovanni, che erano tenuti in grande stima come “pilastri della società”, accettarono lui e Barnaba come compagni e “diedero loro la mano destra in segno di comunione“(Right Hand of Fellowship). In I Timoteo (3:15), la chiesa del Dio vivente è descritta come “Il pilastro e baluardo della verità“. Poi in Apocalisse (3:12), in un messaggio del Messia alle chiese, ci viene detto che “Colui che è vittorioso, lo farò colonna nel tempio del mio Dio“. Da quanto sopra è chiaro che sia l’ebraismo che il cristianesimo hanno assegnato importanti attributi simbolici ai pilastri, il che ci spinge a chiederci se i pilastri abbiano una posizione altrettanto importante nelle tradizioni di altre fedi.

L’Islam deve la sua origine alle rivelazioni che il profeta Maometto ricevette nelle sue visioni dell’angelo Gabriele, iniziate attorno al 610 quando Maometto aveva circa quarant’anni. Un monaco cristiano, Bahira, aveva istruito Maometto in Siria dall’età di dodici anni ed inoltre egli era divenuto esperto nelle credenze del giudaismo. Maometto divenne disilluso dal politeismo e dalla superstizione che prevalevano nella sua nativa Mecca, quando cercò l’isolamento delle caverne per la meditazione, convincendosi presto dell’esistenza e della trascendenza di un unico vero Dio. A causa della sua attitudine religiosa, Maometto fu ricettivo alle rivelazioni che ricevette nelle sue visioni di Gabriele. Le visioni di Maometto furono trascritte nel libro sacro a tutti i musulmani, il Corano, che significa la “lettura” o la “recitazione”. Le osservanze religiose dell’Islam si basano sui “Cinque Pilastri” o “Fondamenti”, che sono la recita del credo, la preghiera, il digiuno, l’elemosina e il pellegrinaggio. In molte moschee questi cinque simbolici pilastri sono rappresentati da pilastri strutturali o torri, che sono incorporati nell’edificio o lo circondano.

Le origini dell’induismo in India sono avvolte nelle nebbie del tempo. Non ebbe un fondatore, ma si sviluppò gradualmente nell’arco di quasi cinquemila anni, assorbendo e assimilando tutti i diversi movimenti religiosi e culturali che si susseguirono in India in quel periodo. L’induismo riconosce cinque “Fatti dell’Esistenza”, o “Verità” auto-evidenti, che sono i pilastri della sua fede. Queste Cinque Verità sono, primo, che Brahman è l’Essere Supremo. Secondo, che tutti gli esseri viventi fanno parte di Brahman e sono scintille dell’Atman, o “vita divina”, che trasmutano da un corpo ad un altro come risultato della forza creativa di Brahman. Terzo, quel Karma, che in sanscrito significa “fato” e significa anche “azione” o “agire”, è la somma delle azioni di un essere umano riportate da una vita alla successiva. In quarto luogo, il Samsara è un infinito ciclo di nascita, vita e morte, noto come la “ruota della rinascita” o la trasmigrazione dell’anima. Quinto e ultimo, che “Moksha” o “Mukti” è la rottura della “catena karmica”, che avvia la liberazione ultima di un essere umano dal legame corpo-anima del Samsara e dal Karma stesso, quando l’Atman viene liberato dall’universo del tempo e dello spazio ed è libero di ritornare a Brahman.

Il buddismo è una religione filosofica che è una progenie dell’induismo, che è nata intorno al 600 a.C. . Buddha non è un nome, ma un titolo che fu dato in modo speciale a Siddharta Gautama e significa l’“Illuminato” o il “Risvegliato”. Gautama nacque intorno al 563 a.C. ai confini del Nepal, a nord di Benares. Rinunciò al mondo mondano quando aveva ventinove anni e cercò istruzione dai bramini eremiti. Dopo essersi dedicato all’ascetismo estremo per diversi anni, decise che un tale percorso era un’illusione che non avrebbe condotto all’autorealizzazione. Successivamente Gautama si dedicò ad una vita semplice di intensa attività mentale, che culminò nella sua illuminazione mentre sedeva in meditazione sotto un albero di fico a Uruvela, che d’allora in poi divenne noto come “Bo” o “Albero della saggezza”. Il buddismo ha quattro principi o dogmi chiamati le “Quattro verità” che sono sia il suo fondamento che i suoi Pilastri. Queste quattro verità sono, Primo, che la sofferenza mentale e fisica è onnipresente. Secondo, che la causa della sofferenza è il desiderio di possesso e il godimento egoistico. Terzo, che la sofferenza cessa quando cessa il desiderio. Quarto e ultimo, che la cessazione della sofferenza può essere ottenuta solo attraverso “l’ottuplice sentiero” che comprende rette visioni, rette aspirazioni, rette parole, retta condotta, retto modo di vivere, retto sforzo, retta consapevolezza e retta concentrazione. Di tutte le principali fedi, il buddismo è stato il primo diversi secoli fa a diventare internazionale, ma con la sua principale area di influenza in Asia.

Altre “Vie” nella Religione

Ognuna delle fedi finora considerate ha come pilastro centrale la credenza in un Essere Supremo, unita alla credenza nell’esistenza di un’anima nell’uomo, che alla fine sarà liberata da questa dimora terrena. Nelle loro forme originarie il taoismo, il confucianesimo e lo shintoismo non condividevano questi concetti di base, ma credevano in quello che di solito viene definito un “supremo stato dell’Essere”. Queste tre fedi seguirono “vie” o “scuole” filosofiche che da allora sono state influenzate direttamente o indirettamente dal buddismo, che ha modificato le loro credenze in misura maggiore o minore.

Il taoismo è una ricerca dell’immortalità. Le leggende cinesi dicono che Huang Ti, “l’Imperatore Giallo”, scoprì i segreti dell’immortalità e li trasmise ai suoi seguaci durante l’età dell’oro, dal 2852 a.C. al 2255 a.C. . La tradizione taoista ascrive la “Scrittura della Via e della sua Virtù”, il “Tao-te Ching”, a Lao Tzû che era noto come “l’Antico Saggio”. I taoisti credono che tutto ciò che esiste consista di spirito, raramente differenziando tra cose spirituali e materiali. Il Tao o “Via” è ritenuto essere il principio nascosto dell’universo, tenuto in equilibrio dalle forze opposte di yin e yang, che sono rispettivamente gli elementi femminili e maschili, la cui interazione modella tutta la vita e garantisce l’unità e l’armonia dell’universo , o “Unità con il Tao”. Le forze di yin e yang sono supportate dalla dottrina del Wu Hsing, che sono le cinque attività o interrelazioni che hanno un’allegorica affinità con le naturali interazioni di legno, fuoco, terra, metallo e acqua.

I taoisti non credono nella trasmigrazione delle anime, nella reincarnazione o nella resurrezione. L’immortalità trascendente che cercano deve quindi essere raggiunta durante la vita mortale, come precedente per entrare nello stato sublime dell’immortalità mistica. Ciò è espresso in un’antica massima taoista che dice: “Varcando lo “Hsüan Men”, il “Portale Oscuro”, essi passano oltre il mondo della polvere in un reame di immortali“.

Il confucianesimo si è evoluto in Cina sotto gli insegnamenti di “K’ung Fu Tzû”, che fu conosciuto come il filosofo Confucio, nato nel 551 a.C. . Le sue convinzioni e opinioni sono stabilite in quelli che vengono definiti i “Quattro Libri”, che rispettivamente sono chiamati: “Il Grande Studio“, “Il Giusto Mezzo,”, i “Dialoghi” e infine il “Mencio“.

Questi sono completati dai “Cinque Classici”, che includono la maggior parte degli scritti autorevoli precedenti. Il confucianesimo in sostanza è un sistema etico comunemente noto come “la Scuola” o “l’Insegnamento”. Confucio era un pragmatico moralista che definiva il suo “uomo principesco” come dotato di cinque principali caratteristiche di gentilezza, sincerità, benevolenza, lealtà e abnegazione. Sebbene Confucio riconoscesse l’allora corrente credenza nel paradiso e negli spiriti, rimase lontano dagli esseri spirituali e si riferì alla divinità in termini impersonali, sebbene riconoscesse la divinità come un motivo di condotta morale. Nel Confucianesimo l’origine di tutte le cose è vista nell’unione di Yin come principio passivo e Yang come principio attivo. Il pragmatismo confuciano contrasta fortemente con la filosofia quietista e l’esaltato misticismo dei taoisti. Il rispetto e il ricordo degli antenati è sempre stato ed è tuttora una regolare pratica nel confucianesimo.

Lo shintoismo è la religione indigena del Giappone e non ha né un fondatore, né un canone scritto. Le sue origini sono perse nella notte dei tempi e non ha mai sviluppato una dottrina sistematica, anche se gli scritti mitologici dell’VIII secolo ora forniscono un tema centrale. In Giappone, il significato letterale di “Shinto” è la “Via dei Kami”, che è stato derivato dal cinese “shin tao”, che significa la “via degli dei”, a sua volta una traslitterazione del giapponese “Kami-no-Michi”. Nei tempi antichi tutto ciò che ispirava timore reverenziale era chiamato “Kami”, compresi i fenomeni naturali e le cose sia viventi che inanimate. Nel corso dei secoli a una miriade di fenomeni e cose sono stati attribuiti poteri soprannaturali. Le cerimonie shintoiste fanno appello alle misteriose forze dei Kami e si concentrano su purezza, devozione e sincerità. Nei tempi moderni il culto shintoista comprende quattro elementi fondamentali, che sono la purificazione, l’offerta, la preghiera e un pasto sacro, sebbene quest’ultimo sia spesso omesso nelle occasioni meno formali. Questi riti di solito sono considerati semplicemente come osservanze di cerimoniali tradizionali, con una minima o nessuna considerazione di un significato più profondo, sebbene alcuni dei più inclini alla religione possano percepire un significato spirituale interiore.

I Pilastri nella Massoneria

La precedente discussione mette a confronto l’importanza dei Pilastri simbolici nelle religioni, nei sistemi etici e nei modi di vita più diffusi al mondo. È evidente che tutti coloro che credono in un Essere Supremo come loro principio centrale, usano pilastri simbolici per esprimere lo status dell’uomo nell’universo e la sua relazione con l’Essere Supremo. Poiché la credenza in un Essere Supremo è il fondamento della massoneria, un logico e naturale corollario è che pietre, fondamenta e pilastri dovrebbero essere usati simbolicamente per illustrare alcune delle più importanti lezioni della massoneria. Il simbolismo utilizzato nella moderna massoneria speculativa del Mestiere deriva naturalmente dal simbolismo pratico stabilito dai massoni operativi che li hanno preceduti. In questo contesto, è interessante notare che una simile forma di simbolismo era utilizzata anche in epoca biblica, una tipica illustrazione di questo si trova in Isaia (28,16-17), dove la venuta del Messia è preannunciata nelle seguenti parole:

Ecco, io pongo una pietra in Sion, un blocco di granito, una preziosa pietra angolare o un solido fondamento… Userò il Diritto come filo a piombo e la Giustizia come piombino”.

I pilastri a cui si fa riferimento nella massoneria possono essere puramente simbolici, oppure possono essere pilastri concreti come i due grandi pilastri che si ergevano al portico o ingresso all’estremità orientale del tempio di Re Salomone a Gerusalemme. Nella massoneria i pilastri concreti di solito hanno un significato simbolico, oltre a servire a qualche scopo pratico. A tal proposito i pilastri del tempio di re Salomone forniscono un buon esempio. Sebbene non sostenessero un tetto per il portico, sostenevano due giganteschi bruciatori di incenso all’ingresso del tempio, per ricordare ai fedeli le colonne di fuoco e nubi che conducevano l’Israele di un tempo attraverso il deserto.

Quando gli oracoli diedero il nome alle colonne, cercarono di conferire potere alla linea di Davide, oltre ad esprimere la gratitudine di Salomone all’Onnipotente per le sue copiose benedizioni. I pilastri del portico del tempio di re Salomone sono sempre stati importanti simboli della massoneria.

Probabilmente i più noti dei pilastri puramente simbolici a cui si fa riferimento nella massoneria sono i “tre grandi pilastri” chiamati Saggezza, Forza e Bellezza. È interessante notare che Saggezza, Forza e Bellezza non erano i pilastri originariamente citati nella “Storia Tradizionale” narrata nelle logge dei massoni operativi, né lo erano i due pilastri al portico del tempio di Re Salomone. Il “manoscritto di Cooke” del 1410 circa include la prima Leggenda dei Pilastri conosciuta, che si riferisce ai quattro figli di Lamech menzionati in Genesi (4:19-22), che sono prominenti nella tradizione ebraica. Il primo figlio di Lamech fu Jabal, ritenuto il creatore dell’allevamento di animali e tradizionalmente il primo uomo a costruire muri e case di pietra. Il secondo figlio di Lamech era Jubal, che si dice abbia istituito l’arte della musica. Jabal e Jubal nacquero dalla prima moglie di Lamech, Adah. Il terzo figlio di Lamech era Tubal Cain, che si dice abbia inventato la forgia e sia stato il primo artefice di metalli. Il quarto figlio di Lamech era Naamah, ritenuto l’inventore dell’arte della tessitura. Tubal Cain e Naamah nacquero dalla seconda moglie di Lamech, Zillah. La leggenda dice che i quattro figli di Lamech temendo che il mondo sarebbe stato distrutto dal fuoco o da un’inondazione, si consigliarono tra loro e decisero di inscrivere i dettagli di tutti i mestieri e le scienze che avevano fondato su due pilastri, uno di marmo che non sarebbe stato distrutto dal fuoco e uno di laterizi o mattoni di argilla che non sarebbe stato distrutto dall’acqua.

Poiché questa antica tradizione è anche la più antica tradizione massonica conosciuta riguardante i pilastri, merita un’ulteriore discussione. Il resoconto registrato negli antichi documenti massonici è stato compilato da una serie di fonti diverse, in particolare il “Polychronicon”, una storia del Mondo scritta da Ranulf Higden, un monaco di Chester che morì intorno al 1364. La versione del monaco era derivata dalle “Antichità” scritte dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, che a sua volta le aveva copiate dallo storico greco Beroso o Berosso, sacerdote di Babilonia, che scrisse attorno al 300 a.C. . Si ritiene che Beroso abbia copiato la leggenda da un racconto sumero, ritenuto l’originale e risalente al 1500 a.C. circa. Le varie traduzioni rivelano alcune discrepanze riguardanti i materiali che si dice siano stati usati per i pilastri, ma sembra che tra le varie alternative le due più adatte allo scopo inteso fossero il mattone per resistere al fuoco e l’ottone o il bronzo per resistere alle inondazioni. La leggenda si conclude con l’affermazione che Hermes di Grecia, noto come il “padre degli uomini saggi”, trovò la colonna di ottone in una grotta per mezzo della quale la conoscenza dell’umanità fu salvata dalla distruzione durante il diluvio che si verificò ai tempi di Noè. Questa leggenda fu inclusa nella porzione storica del “MS Constitutions” o “Old Charges” dei massoni operativi, ma è stata omessa dal “Libro delle Costituzioni” del dottor James Anderson che fu pubblicato nel 1723 per la “Gran Loggia d’Inghilterra”, la prima ad essere speculativa. Tuttavia la tradizione non è andata perduta alla massoneria, perché è stata preservata nell’opera del “Royal Ark Mariner”. Nella versione inglese un pilastro è in ottone e l’altro in marmo, mentre nella versione scozzese un pilastro è in ottone e l’altro in mattoni. Questi due pilastri, con un segmento dell’arcobaleno che annunciava la nuova alleanza di Dio con l’umanità, sono incorporati nel gioiello del “Venerabile Comandante”.

Saggezza, Forza E Bellezza

Le vecchie logge di massoni operativi avevano un catechismo per l’istruzione dei supervisori concernente la saggezza, la forza e la bellezza. Ai supervisori era ingiunto di esercitare saggezza nell’esaminare il lavoro, in modo da distinguere il lavoro buono da quello cattivo; avere la forza di respingere tutto ciò che non era conforme ai piani e ai disegni; e avere la capacità di apprezzare la bellezza nell’ornamento della struttura. Questo tema è stato trasportato nei primi rituali speculativi attirando l’attenzione dei membri su “tre grandi pilastri” che simbolicamente sostengono una loggia massonica. I “tre grandi pilastri” sono emblematici di saggezza, forza e bellezza e sono rappresentati nelle logge da pilastri di ordine architettonico ionico, dorico e corinzio. Questi tre pilastri rappresentano anche i tre Gran Maestri alla costruzione del tempio. Erano Salomone re d’Israele, Hiram re di Tiro e Hiram Abif l’artefice di Tiro incaricato dei lavori, poiché il re Salomone fu saggio nel costruire il tempio, Hiram re di Tiro diede un forte sostegno con uomini e materiali e Hiram Abif adornò il tempio con grande bellezza. Nella massoneria il Maestro, il Primo Sorvegliante e il Secondo Sorvegliante rappresentano rispettivamente questi tre Gran Maestri. In molte logge speculative durante il 1700 una rappresentazione di un pilastro ionico, dorico o corinzio, secondo il caso, stava di fronte al Maestro e a ciascuno dei Sorveglianti, sebbene la pratica non fosse universale. Spesso un pilastro veniva posto anche su ciascun lato della sedia del Maestro o su ciascun lato della porta d’ingresso, rappresentando i due pilastri del portico del tempio di Gerusalemme.

Non è più una pratica comune erigere pilastri adiacenti al Maestro e ai Sorveglianti, né innalzare un pilastro su ciascun lato del Maestro o della porta d’ingresso, sebbene queste usanze non siano andate perdute del tutto. In alcune logge i relativi pilastri sono posti su ciascun lato del Maestro e dei suoi Sorveglianti per sorreggere dei baldacchini sopra di loro. Nelle logge scozzesi in particolare, le colonne in miniatura sui piedistalli del Maestro e dei Sorveglianti sono di ordine ionico, dorico e corinzio, come è appropriato. Nelle logge speculative la colonna del Maestro sta sempre eretta, essendo la loggia sempre sotto il suo controllo generale. La colonna del Primo Sorvegliante è eretta quando la loggia è al lavoro, perché i membri sono allora sotto la sua immediata supervisione. La colonna del Secondo Sorvegliante è eretta quando la loggia è al ristoro, perché il benessere dei membri è allora sua responsabilità. Un catechismo speculativo utilizzato all’inizio del 1700 afferma che queste tre colonne rappresentano rispettivamente la Saggezza per Escogitare, la Forza per Sostenere e la Bellezza per Adornare. Questa descrizione è stata inclusa nella moderna “Lettura” sulla Tavola di loggia (Tracing Board) di Primo Grado, in cui le rappresentazioni dei tre pilastri sono importanti elementi. Al giorno d’oggi molti massoni non vedrebbero questi tre importanti pilastri simbolici se non come rappresentazioni pittoriche raffigurate sulla Tavola di Loggia e sui loro Certificati della Gran Loggia.

IL SIMBOLISMO DELLA COLONNARiferimenti nelle Sacre Scritture

Le qualità attribuite a Saggezza, Forza e Bellezza come i tre grandi pilastri della massoneria si riflettono negli scritti sacri di tutte le maggiori religioni del mondo. Il sentire dominante in cui la saggezza è raffigurata come un attributo di Dio, è come conoscenza divina che è intensamente pratica nella sua applicazione, manifestandosi nella selezione dei mezzi e dei fini adeguati per il compimento della volontà di Dio. La saggezza è rappresentata come l’arte di avere successo, formando i piani corretti per ottenere i risultati desiderati. Anche la forza è rappresentata nelle sacre scritture come un attributo primario di Dio, attraverso il quale la volontà di Dio deve essere attuata. La bellezza è un altro attributo molto importante che deriva all’uomo da Dio. Le qualità di Saggezza, Forza e Bellezza sono strettamente intrecciate, come illustrato nei seguenti passaggi di scritture provenienti da un ampio spettro delle principali religioni del mondo, dalle più recenti alle più antiche. Queste citazioni dalle scritture rivelano una notevole uniformità di pensiero, del tutto compatibile con le spiegazioni che si danno in massoneria. Esprimono chiaramente i principi esposti nelle Letture sui tre grandi pilastri della massoneria e quindi forniscono una degna conclusione a qualsiasi discussione sul simbolismo dei pilastri.

La saggezza, la forza e la bellezza del Creatore sono descritte poeticamente nel Corano, il libro sacro dell’Islam che simboleggia la Parola di Dio e viene indicato come “ciò che i mortali possono leggere”. Il seguente rilevante passaggio dalla Sûrah LIX versetto 24 del Corano, è stato tradotto dall’arabo in inglese da Mohammed Marmaduke Pickthall in “The Meaning of the Glorious Koran”:

Egli è Allah, il Creatore, Colui che forma dal nulla, il Modellatore. I suoi sono i nomi più belli. Tutto ciò che è nei cieli e sulla terra Lo glorifica ed Egli è il Potente, il Saggio”.

I seguenti tre passaggi tratti dalla “Authorised Version” della Bibbia sono ugualmente rilevanti nel giudaismo e nel cristianesimo:

La Saggezza è l’argomento di Esodo (31:3), quando Bezaleel fu scelto come capo artigiano per costruire il Tabernacolo e Dio parlò a Mosè dicendo di Bezaleel:

L’ho riempito dello spirito di Dio, in sapienza, in intelligenza, in conoscenza e in ogni forma di maestria”.

La Forza è l’argomento del Salmo (18:2), quando Davide disse al capo dei musicisti:

Il Signore è la mia roccia e la mia fortezza e il mio liberatore; mio Dio, mia forza in cui confiderò; mio scudo e il corno della mia salvezza e mia alta torre”.

La Bellezza è l’argomento del Salmo (19:1), quando Davide parla di nuovo al musicista:

I cieli proclamano la gloria di Dio; e il firmamento mostra l’opera della sua mano”.

Un esempio esaustivo è fornito dal seguente brano citato dal Capitolo III del “Dhammapada” o “Parole della dottrina della fede buddista”, tradotto dal professor Max Müller, in cui Buddha dice:

Come un arciere rende dritta la sua freccia, un uomo saggio raddrizza il suo pensiero tremante e instabile… Sapendo che questo corpo è fragile come un vaso e rendendo i suoi pensieri saldi come una fortezza, si dovrebbe attaccare Mara, il tentatore, con l’arma della conoscenza, si dovrebbe guardarlo quando è vinto e non si dovrebbe mai riposare”.

Questi attributi del Creatore sono esaltati anche nella “Svetasvatara Upanishad”, che è la Parola di Dio della fede indù, equivalente alla Bibbia dell’ebraismo e del cristianesimo e al Corano dell’Islam. Quello che segue è un estratto rilevante, tradotto anche questo dal professor Max Müller:

Egli fa tutto, conosce tutto, colui che si è causato da Sé, il conoscitore, il distruttore del tempo, che assume qualità e tutto sa… il signore delle tre qualità, la causa della schiavitù, l’esistenza e la liberazione del mondo”.

Queste tre qualità o “Guna” sono i “tre pilastri” della fede indù. Sono i tre mistici elementi o principi, da cui gli indù credono che tutte le cose e gli esseri in questo mondo siano fatti. Sono, primo “Sattva”, che è Luce o Illuminazione; secondo “Rajas”, che è Attività o Passione; e terzo “Tamas”, che è Pesantezza o Inerzia.

Capitolo XVIII del libro “The Square and Compasses” Autore Don Falconer.

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