INTELLETTO E SIMBOLISMO

INTELLETTO E SIMBOLISMO

Il simbolismo è una caratteristica unica dell’intelletto umano.

Intelletto, Intelligenza e Ragione

Per apprezzare l’interrelazione tra intelletto e simbolismo, è auspicabile riconoscere la differenza tra intelletto e intelligenza e riflettere su come interagiscono, attraverso il processo del ragionamento, per iniziare un’attività o un’altra risposta. L’intelletto comprende tutte quelle facoltà e poteri razionali della mente e dell’anima che consentono agli esseri umani di conoscere, comprendere e ragionare, ma non include le facoltà della sensazione e dell’immaginazione. Intelletto deriva dal latino “intellectus”, che significa “percezione”, “discernimento”, “conoscenza” e “comprensione”. È funzione dell’intelletto percepire le somiglianze e rivelare le differenze, scegliendo o rifiutando concetti di tipo diverso che gli sono presentati. Sebbene la psiche umana possa comprendere gli esiti dei processi intellettuali solo attraverso la consapevolezza mentale, ciò nonostante l’intelletto opera primariamente sul piano spirituale. L’intelletto è istintivamente attratto verso l’ideale, consentendo all’ego dell’individuo di evolvere e, infine, di raggiungere la perfezione. Al contrario, le facoltà della sensazione e dell’immaginazione sono strettamente legate al sentimento e alla volontà, il che le distingue chiaramente dalle fondamentali facoltà del pensiero e della comprensione.

Intelligenza deriva dal latino “intelligentia”, che significa letteralmente “conoscenza”, “gusto”, “capacità di comprendere” o “capacità di scegliere”. Se paragonata all’intelletto, l’intelligenza opera primariamente sul piano mentale ed è la controparte emotiva e sensuale dell’intelletto. L’intelligenza è qualcosa di più della semplice capacità di percepire e comprendere che è implicita nell’intelletto perché, aiutata dall’intuizione, tiene conto anche del sentimento e della volontà, nonché di eventuali influenze esterne rilevanti, consentendo così di compiere scelte razionali. Ragione deriva dal latino “ratio”, che significa “valutazione”, “giudizio”, “considerazione” o “calcolo”. Il processo del ragionamento è l’uso interattivo dell’intelletto con l’intelligenza, che consente ai pensieri di essere adattati per produrre azioni che raggiungeranno un obiettivo rilevante. La ragione o razionalità è la facoltà di formulare giudizi e inferenze, che è il principio guida della mente umana nel processo del pensiero logico.

René Descartes (1596-1650), filosofo, matematico e scienziato francese, fu spesso definito il padre della filosofia moderna. Ha detto che la ragione umana è universale, con questo intendeva dire che un essere dotato di ragione non è limitato ad un insieme fisso di risposte, ma è in grado di elaborare una risposta adeguata per un nuovo insieme di parametri. Cartesio collegava anche la facoltà della ragione con la capacità di usare il linguaggio. Molti esperimenti sono stati condotti su un gruppo eterogeneo di animali, dalle scimmie ai cani, dai polpi ai delfini, nel tentativo di scoprire se hanno l’abilità della percezione mentale e la capacità di prendere decisioni razionali, equivalenti a quelle capacità possedute dagli esseri umani. Questi esperimenti hanno chiaramente dimostrato che gli animali hanno la capacità di cercare cibo ed evitare il pericolo in situazioni insolite, così come di localizzare i propri simili o di ritornare ai loro precedenti habitat in circostanze eccezionali, ma non hanno stabilito che queste capacità siano niente di più che risposte ereditarie innate. Tali risposte si sarebbero sviluppate come risultato diretto di influenze ambientali nel corso di molte migliaia di anni, il che è in accordo con la teoria di Charles Darwin della “sopravvivenza del più adatto”. Per questo motivo il possesso di un’intelligenza superiore, la capacità di intelletto e la capacità di ragionare sono ancora considerate le caratteristiche più importanti che differenziano l’essere umano da tutti gli altri membri del regno animale.

Linguaggio

Il Linguaggio è il metodo di comunicazione che utilizza parole parlate o scritte in un modo concordato per trasmettere idee da una persona ad un’altra. Gli studiosi di linguistica concepiscono il Linguaggio in vari modi. Ferdinand de Saussure (1857-1913) era un linguista svizzero, che è stato uno dei fondatori della linguistica moderna, il cui lavoro è stato fondamentale per lo sviluppo dello strutturalismo. Saussure considerava il linguaggio come un sistema di segni arbitrari, sebbene reciprocamente dipendenti e interattivi. Sottolineò l’importanza di un approccio diacronico o storico allo studio del linguaggio, che lo vede come un mezzo in continua evoluzione, piuttosto che un approccio puramente sincronico o comportamentale, che considera il linguaggio solo nello stato in cui si trova in un determinato periodo. In contrasto con questi approcci Avram Noam Chomsky (1928-), professore americano di linguistica, considera il linguaggio come un insieme di regole e principi nella mente di chi parla. Ha sviluppato il concetto di “grammatica generativa”, tenendo conto del significato superficiale o esteriore di una frase ed anche del suo significato profondo o basilare. Il linguaggio è centrale per la trasmissione della cultura ed è essenziale per la comunicazione delle credenze spirituali e dei valori sacri di una società, che possono essere raggiunti solamente attraverso il mezzo del linguaggio e del simbolismo rituale. La “Cambridge Encyclopedia of Language”, di David Crystal, include discussioni su tutti gli aspetti del linguaggio, del suo sviluppo e utilizzo, della sua relazione con il simbolismo nelle comunicazioni umane ed anche, per confronto, vari metodi di comunicazione non umana. Coloro che desiderano esplorare l’importante ruolo che il simbolismo ha svolto nello sviluppo del linguaggio, così come l’evoluzione del simbolismo quale strumento di comunicazione, troveranno probabilmente la maggior parte delle informazioni di cui hanno bisogno in questo libro.

Il Concetto di Simbolismo

Il simbolismo è antico quanto gli esseri umani stessi. La comunicazione è una delle più grandi risorse del genere umano, che si è sviluppata attraverso il simbolismo. Prima che si evolvesse il linguaggio intelligibile, gli esseri umani usavano grugniti e gesti come simboli per attirare l’attenzione sui loro bisogni e trasmettere le emozioni che stavano vivendo. Quando il linguaggio degli esseri umani divenne articolato, cercarono di registrare le loro parole per trasmetterle ad altri a distanza, o di creare registrazioni permanenti dei loro pensieri. Questi desideri favorirono naturalmente lo sviluppo della scrittura, originariamente per mezzo di pittogrammi in cui ogni immagine o carattere era un simbolo o una combinazione di simboli. I geroglifici dell’antico Egitto furono la forma più avanzata di scrittura pittografica mai ideata ed erano in uso prima del 3250 a.C. . I Sumeri di Babilonia, l’attuale Iraq meridionale, usavano una scrittura intorno al 3200 a.C., in cui minuscoli pittogrammi rappresentavano parole, ma non conosciamo quando o dove ebbe origine la scrittura. I caratteri ideografici utilizzati nella scrittura cinese moderna si sono evoluti dai pittogrammi prima del 1000 a.C. ed hanno anche, come al giorno d’oggi, consentito lo scambio di comunicazioni scritte intelligibili tra popoli i cui dialetti erano reciprocamente incomprensibili.

Tavolette di argilla rinvenute negli anni ’60 a Tartaria, in Transilvania, sono state datate al 4000 a.C. circa. Le loro incisioni includono alcuni pittogrammi simili a quelli trovati in iscrizioni megalitiche in Gran Bretagna, nella scrittura “Lineare A” trovata nella Creta minoica ed anche in iscrizioni su vasi paleo-elamiti trovati a Persepoli, il che suggerisce che qualche forma di comunicazione scritta deve essere avvenuta prima di quando si riteneva in precedenza. Cambiamenti strutturali nella crosta terrestre, il rimodellamento fisiografico del manto del suolo, cambiamenti ciclici del clima e persino l’impatto di corpi extraterrestri sulla Terra dall’ultima grande era glaciale hanno causato significativi cambiamenti nella topografia, limitando la capacità di indagini archeologiche. Le relazioni tra i diversi gruppi di pittogrammi non sono ancora state scoperte, così come la loro influenza sulla scrittura pittografica in Mesopotamia. Tuttavia, i pittogrammi sumeri e fenici forniscono le prime tracce del nostro alfabeto moderno.

I geroglifici erano la lingua sacra dell’antico Egitto, ma continuarono ad essere utilizzati fino alla fine del III secolo d.C. . Poiché la forma e la struttura dei geroglifici erano poco adatte a scopi pratici nell’uso quotidiano, una forma di scrittura corsiva, scritta a penna e chiamata “Ieratica”, fu presto sviluppata per scopi commerciali e registrazioni contabili. Una forma corsiva semplificata, chiamata “Demotico”, era di uso generale dal 700 a.C., ma entrambe le forme corsive richiedevano una notevole formazione professionale per una padronanza della scrittura. Fino a poco tempo fa si credeva che i primi geroglifici fossero basati su pittogrammi sumeri che gli egiziani avevano adottato verso l’inizio della Prima Dinastia, intorno al 3100 a.C. . Tuttavia, indagini archeologiche condotte ad Abydos e in altri luoghi nel sud dell’Egitto dal 1988, dimostrano che gli egiziani utilizzavano un sistema di scrittura avanzato nel 3250 a.C. e probabilmente molto prima, ben prima che la monarchia faraonica fosse fondata quando il re Narmer completò l’unificazione dei Regni dell’Alto e del Basso Egitto intorno al 3100 a.C. . Questa nuova prova indica che i geroglifici egiziani non si sono evoluti progressivamente da pittogrammi primitivi. Alcuni caratteri furono sempre usati come un alfabeto ed altri come segni fonetici chiamati “Determinativi”, sia davanti che dopo un segno pittografico, per indicare la precisa interpretazione o il suono dell’immagine e quindi il suo corretto significato. Nacque così l’espressione letteraria. Un’altra utile caratteristica dei geroglifici egiziani è che possono essere scritti in qualsiasi direzione, per adattarsi ai requisiti del testo ed alla sua posizione sull’oggetto da inscrivere.

I primi pittogrammi sumeri rappresentavano oggetti. Successivamente alcuni pittogrammi vennero associati ai suoni, soprattutto ai suoni delle consonanti iniziali dei nomi assegnati agli oggetti rappresentati. Col passare del tempo si capì che con i pittogrammi si potevano rappresentare gli stessi suoni in altre parole, da questo si sviluppò l’alfabeto ed ebbe inizio l’ortografia. Originariamente i pittogrammi sumeri avevano un formato verticale ed erano inscritti in colonne verticali che cominciavano dalla destra della tavoletta e si leggevano verso il basso. Tra il 3000 a.C. e il 2500 a.C. i pittogrammi passarono al formato orizzontale, quando si ritenne più conveniente inscriverli in linee orizzontali iniziando dalla parte superiore della tavoletta e leggendo da sinistra a destra. Poiché i Sumeri trovavano difficile inscrivere linee curve sull’argilla, presto sostituirono i loro pittogrammi con caratteri comprendenti una serie di brevi linee rette, che si svilupparono nella scrittura cuneiforme, dal latino “cuneus”, che significa “cuneo”. La scrittura fu chiamata cuneiforme perché quasi tutte le brevi linee usate per formare i caratteri erano a forma di cuneo, essendo state ottenute mediante l’impronta di uno stilo dall’estremità quadrata sull’argilla bagnata.

A Byblos, che era la “Gebal di Canaan” menzionata nelle Scritture Ebraiche, impressioni pittografiche apparvero per la prima volta su sigilli del 3100 aEV circa e sembrano essere stati i primi passi nello sviluppo della scrittura fenicia. La scrittura cuneiforme fu completamente sviluppata in Accadia, attuale Iraq settentrionale, intorno al 2800 a.C., da dove si diffuse in tutta la regione del Mediterraneo orientale. Segni provenienti da Byblos, risalenti al 2500 a.C. circa, sono scritti in una scrittura simile a quella che era allora usata in Siria. La scrittura cuneiforme accadica, divenuta la lingua del commercio e della diplomazia in uso tra la Siria e l’Egitto prima del 1400 a.C. , è considerata il precursore dell’alfabeto fenicio e dei nostri alfabeti moderni. Le tavolette di argilla su cui era incisa la scrittura cuneiforme variavano di dimensioni a seconda della quantità di testo, da piccole targhette a tavole grandi fino a 30 centimetri per 45 centimetri. Tuttavia le più lunghe iscrizioni storiche e commemorative, erano spesso scritte su grandi prismi o cilindri di argilla. Nel V secolo a.C. le scritture semplificate fenicia e aramaica avevano soppiantato la scrittura cuneiforme nella maggior parte delle aree, sebbene la scrittura cuneiforme continuasse ad essere utilizzata per i documenti dei templi di Babilonia fino al 75 d.C. circa. Ceramiche e altri oggetti provenienti da Byblos e Sidone, durante il periodo dal 2100 a.C. al 1700 a.C., mostrano che era allora in uso una scrittura lineare chiamata “pseudo-geroglifico”. Chiamata variamente “cananea”, “sinaitica” o “proto-fenicia”, questa scrittura fu una delle prime forme di scrittura alfabetica non egiziana. Studi archeologici testimoniano che l’uso di questa scrittura divenne rapidamente così diffuso in Medio Oriente che un alfabeto, solitamente chiamato alfabeto fenicio, era in uso generale nel 1500 a.C. . Questo alfabeto sostituì progressivamente le complicate scritture cuneiformi di Babilonia e Assiria e la più complessa scrittura geroglifica dell’Egitto. È stato dimostrato che l’antico alfabeto ebraico è collegato ai geroglifici dell’Egitto attraverso la scrittura sinaitica. I primi esemplari della scrittura sono stati trovati nella regione del Sinai, dove le Scritture Ebraiche riportano che Mosè ricevette l’incarico di scrivere le Tavole della Legge, probabilmente intorno al 1280 a.C. .

Come nella scrittura sinaitica e nei pittogrammi geroglifici di base da cui questa scrittura fu derivata, ogni lettera dell’alfabeto ebraico rappresentava originariamente un oggetto e quindi trasmetteva un significato specifico. Nel corso del tempo il significato si è amplificato attraverso i processi mentali per rappresentare ulteriori significati associati. Ad esempio aleph, la prima lettera dell’alfabeto ebraico, rappresenta la testa di un toro, derivava direttamente dal geroglifico egiziano che rappresenta l’animale. Nel sistema dei caratteri ebraico aleph ha anche il valore numerico di 1. Poiché nell’antichità il popolo adorava il toro, i sacerdoti ebrei nei tempi antichi usavano aleph per rappresentare la divinità. In tempi successivi lo yod divenne il simbolo di Dio, perché è il carattere iniziale del Tetragrammaton e anche di “Jah”, il nome di Dio di due lettere venerato dagli ebrei. Aleph è l’equivalente di alfa nell’alfabeto greco. Nella scrittura sinaitica, l’equivalente dell’ebraico aleph somiglia molto all’alfa greco, che infatti ne fu derivato. A seconda dell’epoca della scrittura sinaitica, i suoi equivalenti di aleph hanno anche una stretta somiglianza con la “A” maiuscola o con la “a” minuscola dei nostri caratteri romani moderni, che si sono tutti evoluti dall’alfa dell’alfabeto greco. Tali sviluppi progressivi dell’alfabeto illustrano adeguatamente la fertile immaginazione della mente umana nell’uso dei simboli.

Un altro esempio che merita una menzione speciale è l’occhio usato nei geroglifici egiziani. Questo carattere egiziano fu trasportato nella scrittura sinaitica in una forma simile, sebbene più arrotondata, da dove fu adottato in forma modificata come carattere ebraico. In ebraico il carattere equivalente si chiama “ayin”, che significa “occhio”. Tuttavia veniva utilizzato anche per significare “pozzo” o “sorgente d’acqua”. È di particolare interesse notare che anche la parola inglese per l’organo fisico è “eye”, che si pronuncia quasi esattamente come la parola ebraica ed il suo equivalente in altre lingue del Medio Oriente. La forma di ayin nell’attuale scrittura ebraica formale è molto diversa dalla forma a goccia dei suoi prototipi nella scrittura sinaitica e nella scrittura ebraica del 700 a.C. e precedente. Sebbene ayin ora assomigli più a una piccola y nell’alfabeto romano, tuttavia la forma originale era rotonda, nella forma in cui è stata trasportata nell’alfabeto greco come omicron, che è simile alla “O” maiuscola ed alla “o” minuscola del nostro moderno alfabeto romano. È interessante notare che l’equivalente “occhio” nei geroglifici egiziani era usato anche per rappresentare “l’occhio di Dio che tutto vede” nei testi egiziani, esattamente nello stesso senso in cui è usato in Salmi (33:18), che dice che “l’occhio del Signore è su di te“, a significare l’attenta cura di Dio sull’umanità. Ci sono molti interessanti simili collegamenti che hanno origine nei geroglifici egiziani e continuano attraverso la scrittura sinaitica nei caratteri ebraici, quindi nell’alfabeto greco e infine nel nostro moderno alfabeto romano. Ciò dimostra al di là di ogni dubbio che il simbolismo è parte integrante della nostra natura e del nostro linguaggio, in assenza del quale ogni comunicazione sarebbe sterile.

Simbolismo nelle Scritture

I testi scritturali di tutte le religioni sono abbondantemente illustrati con riferimenti simbolici. Di frequente questi riferimenti sono semplici affermazioni figurate, sebbene enfasi può essere data espandendo il tema in un breve passaggio metaforico o anche in una lunga parabola. “Symbol” deriva dal latino “symbolum”, dal greco “sumbolon” un derivato di “sumballien” che significa “lanciare”. Il greco “sumbolon” significa “mettere assieme” o “confrontare” nell’uso comune, ma è anche usato per indicare un “segno” (token). Ciò è analogo all’uso latino di “symbolum” per indicare un “segno” (mark) o un “segno” (sign) come mezzo di riconoscimento. “Metaphor” (Metafora) deriva dal greco “metaphora”, che significa “trasferimento” o “trasporto”, ma nell’uso greco la parola è usata anche per indicare una “figura retorica”, nello stesso modo in cui è usata in inglese per indicare una qualità solitamente collegata a un tipo di oggetto che viene trasferita ad un altro. Anche “Parable” (Parabola) deriva dalla lingua greca, dove “parabole” significa letteralmente “mettere le cose una accanto all’altra”. Ha un significato in qualche modo simile ad “allegory” (allegoria), dal greco “allegoria” che significa “dire le cose in modo diverso”. Questo breve accenno al background del nostro linguaggio rivela la sua straordinaria capacità di comunicare pensieri astratti mediante simboli.

Un obiettivo chiave nell’uso di parabole e allegorie è quello di presentare interessanti illustrazioni, da cui si possano facilmente dedurre verità morali o religiose. Il valore dell’insegnamento in questo modo è duplice, perché l’assimilazione è più facile e la memorizzazione è migliorata quando i destinatari traggono le proprie conclusioni dalle illustrazioni presentate. Nell’uso moderno una “parabola” è una breve storia descrittiva intesa a trasmettere un’unica verità, laddove una “allegoria” di solito è un’esposizione più elaborata in cui i dettagli presentano diversi paragoni. Un buon esempio di parabola, o semplice affermazione figurata, nelle Scritture, si trova in Salmi (23:1): “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla“.

Un altro esempio ben noto di parabola è la profezia dell’Antico Testamento che si dice predica la nascita, morte e risurrezione del Messia, che è registrata in Salmi (118:22) con le seguenti parole: “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo“.

Un tipico esempio di breve passaggio metaforico si riferisce all’ultima parte del regno di Geroboamo II, intorno al 750 a.C., che fu un periodo di boom economico in cui le condizioni di vita erano lussuose, la corruzione morale dilagava e l’idolatria era prevalente. L’imminente giudizio di Israele fu predetto dal profeta Amos, in Amos (7:8-9), quando citò le parole del Signore come: «Io pongo un filo a piombo al cuore del mio popolo Israele; non lo risparmierò mai più. Gli Alti Luoghi di Isacco saranno desolati e i santuari d’Israele devastati; Sorgerò con la spada in mano contro la casa di Geroboamo.

Questa profezia si adempì durante il regno di Menasse, figlio di Ezechia, intorno al 650 aEV, quando il Signore scoprì che il popolo era irrimediabilmente corrotto dal peccato e dichiarò un’irrevocabile sentenza di distruzione su di esso, che è graficamente registrata in II Re (21:13-14) con le parole: «Segnerò ogni pietra di Gerusalemme con il filo a piombo di Samaria e con il piombino della casa di Achab; Ripulirò Gerusalemme come quando un uomo pulisce il suo piatto e lo capovolge».

Una parabola rappresentativa, in Matteo (20:1-16), racconta la storia dei lavoratori nella vigna per illustrare l’equità di Dio. Mostra come Dio tratta gli uomini con grazia, anche se non necessariamente in stretto accordo con i loro meriti. Il proprietario terriero assunse diversi braccianti e concordò con loro la paga giornaliera, poi li mandò a lavorare in diversi orari della giornata. Quando vennerò pagati alla fine della giornata, alcuni braccianti si lamentarono che la loro paga non era giusta, ma il proprietario terriero disse che era sua prerogativa fissare il salario e la loro di accettarlo. Nel quarto capitolo di Marco c’è un’interessante serie di parabole facilmente comprensibili dai contadini dell’epoca, riguardanti le vicissitudini della semina, come il seme cresce segretamente di notte e come un minuscolo granello di senape può trasformarsi in un albero. Nelle Scritture si trovano molte allegorie drammatiche. Quelle nell’Ecclesiaste non sono rivelazioni divine, ma un’esposizione di come ragionano gli esseri umani comuni, ricordandoci che tutto “sotto il sole” è una completa vacuità (all “under the sun” is complete emptiness), tranne ciò che viene dall’alto sotto forma di rivelazione e salvezza da Dio. Due passaggi dell’Ecclesiaste che meritano particolare attenzione sono nel capitolo 11, che esorta alla “diligenza giovanile” e nel capitolo 12, che ci ricorda il nostro “inevitabile destino”.

Simbolismo nella Massoneria Speculativa

L’iniziato viene informato che la Massoneria è un peculiare sistema di moralità, velato dall’allegoria e illustrato da simboli. Sotto questo aspetto il sistema di istruzione nella Massoneria è strettamente parallelo a quello utilizzato nelle Scritture. I simboli fondamentali della massoneria sono tratti direttamente dalla considerazione degli strumenti utilizzati dai massoni operativi, integrati dalle caratteristiche delle varie pietre da costruzione, dai metodi utilizzati per preparare e testare le pietre, dall’erezione dell’edificio e persino dall’edificio stesso. I modi in cui questi strumenti, metodi e materiali vengono applicati nella massoneria operativa sono utilizzati per dimostrare verità fondamentali e per inculcare azioni analoghe da parte dell’individuo. Lo scopo è quello di stimolare paragoni intellettuali e promuovere una considerazione intelligente dei corsi d’azione e dei loro esiti, inducendo così l’individuo a scoprire, attraverso il processo di ragionamento razionale, le lezioni morali inculcate dai simboli. Questi simboli visibili della Massoneria hanno notevolmente arricchito il nostro linguaggio* introducendo epiteti descrittivi come “square conduct”(condotta quadrata), “upright intentions” (rette intenzioni), “on the level”(al livello) e una miriade di altre espressioni ora di uso quotidiano.*(L’autore intende il linguaggio Inglese)

Gli insegnamenti esoterici della massoneria speculativa sono incorporati nel cerimoniale in cui il candidato svolge parte attiva, comprese le componenti apparentemente essoteriche di preparazione e introduzione. Sono elementi essenziali dei cerimoniali, che per loro natura hanno lo scopo di creare un’impressione duratura nella mente del candidato. I vari cerimoniali includono viaggi ed altre rilevanti attività in forma drammatica e allegorica, che hanno lo scopo di creare un’impressione duratura. Queste istruzioni sono integrate e amplificate da opportuni discorsi e lezioni (lectures) allegoriche. Oltre all’istruzione morale comunicata attraverso simboli essoterici, il sistema di istruzione intende stimolare la contemplazione, aiutando così l’individuo a formulare risposte personali alle seguenti tre domande fondamentali:

“Cosa siamo e da dove veniamo?”

“Qual è il nostro scopo sulla terra e nella vita?”

“Qual è il nostro destino ultimo?”

Queste domande sono intimamente legate ai tre elementi dell’esistenza umana, il corpo, la mente e l’anima. Ciascuno a sua volta si riflette nei cerimoniali di Apprendista Iscritto, Compagno d’Opera e Maestro Massone, che si riferiscono allegoricamente alla nascita, alla vita e alla morte e forniscono istruzioni simboliche destinate ad aiutare i candidati a trovare le proprie risposte a queste tre domande fondamentali.

Capitolo XXIX del libro “The Square and Compasses” Autore WM Don Falconer PM, PDGDC.

I NOMI DI DIO

Dio il creatore è la realtà ultima oltre la comprensione umana, l’Assoluto.

Il Concetto Umano di Dio

La parola in inglese moderno “God” è identica alla parola in inglese antico che significa “buono” (good), da questo si ritiene che il nome Dio (God) si riferisca alla bontà divina. La parola in inglese antico è simile all’antico frisone, all’antico sassone e all’olandese medievale “god”, al tedesco antico e medievale “got”, al tedesco “Gott”, al gotico “guth” e all’antico normanno “goth”, i quali nel loro uso originale sembrano aver significato “l’Uno (l’Essere, pertanto la Divinità) invocato”. Gli esseri umani hanno sviluppato il loro concetto di Dio sin da quando le religioni tribali delle primitive società pre-letterate iniziarono ad evolversi, quando la Terra venne considerata come la Grande Madre Sostenitrice, come espresso da Omero nell’Inno (30,17): “Terra – Madre degli Dei, sposa del Cielo stellato”. Le religioni primitive non riguardavano esclusivamente il rapporto tra il mondo visibile e il mondo spirituale, ma costituivano uno stile di vita in cui ogni attività dell’individuo e della comunità aveva un significato religioso. In molte società primitive il sole era considerato la centrale fonte di luce e di vita, come si riflette nel Rig-veda (I.115-1), l’inno in cui i pandit indù interpretano il sole come rappresentante dell’Essere Supremo che chiamavano “l’Anima dell’Universo”, cioè Brahman. Gli indù credono che Brahman sia la forza da cui tutti i mondi procedono, in cui tutti i mondi sussistono e nella quale alla fine ritorneranno.

Inevitabilmente, il concetto umano di Dio è stato influenzato sia dall’ambiente che dalle circostanze che hanno prevalso durante lo sviluppo della civiltà, ma anche tra le società primitive si nutrivano credenze profondamente significative. La capacità limitata degli esseri umani di comprendere l’essenza o l’Essere di Dio si riflette nel fatto che anche le scritture delle religioni durature che hanno una forza di attrazione a livello globale raramente discutono dell’essenza o dell’Essere di Dio, ma si riferiscono quasi completamente agli Attributi di Dio che inevitabilmente sono espressi in relazione agli attributi umani ed alla conoscenza umana. Pertanto il carattere di Dio come creatore e agente morale è descritto in termini che verrebbero applicati agli esseri umani, spesso con qualificazioni che tentano di illustrare l’immanenza e la trascendenza di Dio. Allo stesso modo la Volontà di Dio è espressa non solo in relazione all’autodeterminazione, potere eterno e proposito universale di Dio, ma anche in relazione all’aspetto percettivo di Dio stabilendo quelle regole di condotta morale con cui gli esseri umani dovrebbero essere governati. In questo processo molti “Nomi di Dio” sono stati elaborati nel tentativo di trasmettere l’onnipotenza, onniscienza e onnipresenza di Dio. Il “Westminster Shorter Catechism” dà questa definizione: “Dio è uno Spirito, infinito, eterno e immutabile, nel suo Essere, sapienza, potenza, santità, giustizia, bontà e verità”.

Credenze Monoteistiche

Tutte le grandi religioni del mondo contemporanee sono fondamentalmente monoteiste, sebbene molte di loro abbiano credenze riguardo alla divinità che appaiono altrimenti. Anche la maggior parte delle religioni primitive che hanno preceduto le religioni contemporanee sembrano essere state originariamente fondate su ciò che essenzialmente erano credenze monoteistiche, anche se molte di esse incorporarono caratteristiche politeistiche in vari stadi del loro sviluppo. A prima vista questa affermazione probabilmente non sembra riflettere i codici di fede che sono stati definiti da membri influenti delle varie fedi, passate o presenti, anche quando si considerano le religioni significative nei tempi moderni. Ad esempio, gli importanti concetti che abbracciano la Trimurti dell’antica religione indù e la Trinità della relativamente moderna religione cristiana, mettono entrambi seriamente in discussione quella che di solito viene presentata come l’essenza del monoteismo. L’apparente conflitto è senza dubbio dovuto in parte all’incapacità di esprimere concetti esoterici utilizzando il linguaggio mondano, ma il problema di fondo va molto più in profondità di questo, riflettendo l’attuale incapacità della mente umana di cogliere che cos’è ciò che potrebbe costituire Dio. Prima di considerare ulteriormente i Nomi di Dio, sarebbe utile esaminare brevemente alcune delle antiche e fondamentali credenze da cui si sono sviluppate le nostre religioni moderne. Saranno esaminate senza far riferimento ad alcuna religione specifica, i cui aspetti saranno discussi più avanti.

Nelle prime testimonianze che abbiamo del pensiero religioso umano, è evidente che già allora Dio era concepito come un creatore. Del tutto naturalmente quando si considera l’esperienza umana e quindi il concetto di procreazione, Dio è stato percepito come una dea madre che ha dato alla luce, direttamente o indirettamente, tutte le cose che sono state create. Con un processo di ragionamento simile la terra fu vista essere il mezzo di sostentamento da cui dipendeva l’esistenza umana, da ciò poteva essere facilmente percepita come il grembo della dea madre. Allo stesso modo, poiché la mente primitiva non poteva comprendere come la dea madre potesse generare figli senza prima essere stata impregnata del seme vivificante, ne seguiva del tutto naturalmente che il calore vivificante del sole era percepito essere quel seme e quindi che il sole era la controparte paterna della madre terra. In sostanza questi erano gli aspetti fondamentali di tutte le religioni antiche. Quindi, fin dai tempi più antichi, il monoteismo ha sempre abbracciato il concetto di una divinità bisessuale, che di solito è stata concepita come una coppia celeste piuttosto che come un’entità ermafrodita. Molti aspetti del politeismo sono un risultato diretto del concetto secondo cui la divinità è una coppia celeste. In un senso analogo, il rifiuto della creazione come risultato di un evento di “big bang” e dei processi di evoluzione, sulla base del fatto che non sono compatibili con una concezione di Dio come creatore, potrebbe essere il risultato diretto di una mala interpretazione di quegli aspetti di Dio che spiritualmente, anche se non fisicamente, sono fondamentali per il processo di creazione.

La Triplice Essenza di Dio

Ad eccezione dell’Islam, quasi tutte le grandi religioni del mondo esprimono la convinzione fondamentale che la divinità sia un essere plurale con almeno due aspetti, ma più comunemente che Dio esista come essenza trina. Questa convinzione era implicita nell’antica religione egiziana, è esemplificata dai diversi aspetti della Trimurti nella religione indù ed è alla base della Trinità nella religione cristiana. Alcuni di questi aspetti verranno discussi per illustrare cosa si intende per essenza trina della divinità. Sebbene le Scritture Ebraiche non elaborino specificamente una dottrina trinitaria, la dottrina è implicita nelle rivelazioni che vengono fornite. Ad esempio, in Genesi (1:26-27) ci viene detto che “Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza… così Dio creò l’uomo a sua immagine… maschio e femmina li creò”.

In Giobbe (28:23-28) il potere creativo e di controllo di Dio è personificato come saggezza dall’affermazione “allontanarsi dal male è conoscenza“. Le Scritture sottolineano ripetutamente l’importanza della saggezza, come esemplificato in Proverbi (12:8) che afferma che “un uomo sarà lodato secondo la sua saggezza“. È interessante notare che molte delle esortazioni contenute nel “Libro dei Proverbi” sono quasi identiche a quelle di un testo egiziano più antico di almeno duemila anni, chiamato “La Saggezza di Ptah-hotep”. In Esodo (31:3), Numeri (9:15-22) e Giudici (3:10) lo spirito di Dio è rivelato come la fonte della forza fisica e della conoscenza e come il dispensatore di tutte le benedizioni. Questo aspetto dell’essenza trina della divinità è illustrato nella triplice benedizione che Aronne diede ai figli d’Israele, che è il prototipo nell’Antico Testamento della benedizione apostolica usata nel Nuovo Testamento. La benedizione di Aronne è riportata in Numeri (6:24-26) con le seguenti parole familiari:

«Il Signore ti benedica e ti custodisca:

Il Signore faccia risplendere su di te il suo volto e ti sia propizio:

Il Signore rivolga a te il suo volto e ti dia la pace».

Concetti dell’Antico Egitto

Gli antenati dell’Egitto faraonico seguirono un culto fondamentalmente monoteistico della Dea Madre Terra fino al 10450 a.C. circa, quando il “Pianeta Egitto” venne in esistenza nell’antica città di ‘Iwmw che si trovava a Tell Hisn, circa 15 chilometri a nord-est del Cairo. ‘Iwmw era “la città della colonna” chiamata “On” nella Bibbia. Questo evento fu la “Prima Alba”, o “Zep Tepi”, quando l’antica religione egiziana di un unico e solo Dio assoluto nacque. Si credeva che lo Spirito Assoluto, chiamato Ra, fosse diffuso nel Caos primordiale prima della creazione e fino all’inizio del tempo, quando Ra prese coscienza di sé vedendo la propria immagine, Amon, nel Grande Silenzio. Tradizionalmente Ra divenne la Luce e la Coscienza dell’Universo in quell’istante, quando chiamò a sé il suo doppio Amon, lo Spirito dell’Universo, con il Verbo o Potere Creativo. Quindi Shu o spazio-aria e Tefnut o movimento-fuoco si manifestarono e, a loro volta, generarono e separarono Geb la terra e Nut il cielo, ponendo così fine al Caos e stabilendo l’equilibrio e l’ambiente per la creazione della vita.

Gli antichi Egizi credevano che, raggiunto l’equilibrio, la vita terrestre ed extraterrestre venisse creata dalla forza fecondatrice di Osiride, seme e albero della vita, in congiunzione con la forza generatrice di Iside, potenza feconda, riflettendo il primitivo concetto della Dea Madre Terra. Le credenze monoteistiche della religione egiziana furono spiegate ai contadini analfabeti attraverso divinità mitologiche che illustravano una moltitudine di attributi divini. Nella seconda metà del terzo millennio a.C. gli dei mitologici erano diventati uno strumento di potere per il clero egiziano, che veniva usato per esercitare il loro controllo sui contadini. Durante quel periodo una simile regressione dal monoteismo al politeismo fu comune nelle religioni della maggior parte dei popoli che abitavano i paesi della regione del Mediterraneo, compresi i Cananei, i Greci, i Romani e persino gli Israeliti.

Secondo le cronologie più recenti, Akhenaton (Akhenaten) salì al trono come Amenhotep IV e governò come faraone dal 1350 al 1332 a.C., abolendo gli dei mitologici e ripristinando la religione di un Dio assoluto, Aton, di cui il faraone era un profeta. Fu fortemente influenzato da sua moglie, una principessa dei Mitanni di nome Nefertiti, che significa “l’adorabile che viene”. Akhenaton “creò ogni uomo uguale a suo fratello” e completò i piloni che suo padre aveva iniziato a Karnak. Costruì anche quattro templi ad Aton a Tebe e poi costruì la sua nuova capitale a Tell el-Amarna a circa 450 chilometri a nord di Tebe, che chiamò “Akhetaten” (Akhetaton), che significa “l’orizzonte di Aton”. Akhetaton divenne la nuova sede del potere religioso, con una popolazione massima di circa 20.000 abitanti. Quando Akhenaton morì, suo figlio assunse il potere come Tutankhaten, ma dopo che il clero ebbe ripreso il potere lo persuasero a tornare a Tebe e cambiare il suo nome in Tutankhamen (Tutankhamon) per onorare Amon, lo Spirito dell’Universo. La città di Akhetaton fu completamente distrutta, seguì un lungo periodo di anarchia e miseria e il defunto Akhenaton fu chiamato il “faraone eretico”.

C’è un nuovo interessante aspetto del rapporto tra egiziani ed israeliti e dell’influenza che la religione egiziana ha avuto sul giudaismo. Nel XVIII secolo venne proposto che Akhenaton fosse il Mosè che guidò l’esodo degli israeliti dall’Egitto, ma le indagini archeologiche non hanno supportato questa teoria. Un’altra ipotesi è che Mosè fosse un alto funzionario della corte del padre di Akhenaton, Amenhotep III, ma anche questo sembra improbabile. La data dell’Esodo non può essere determinata con certezza, ma i periodi suggeriti vanno dall’espulsione degli Hyksos dall’Egitto nel 1570 a.C. circa, fino al 1220 a.C. circa alla fine del regno di Merneptah, nessuno dei quali è considerato probabile. Poiché non ci sono documenti storici sufficienti nelle scritture ebraiche, è necessario tentare di determinare la data correlando l’Esodo con altri eventi. La prima data possibile sembra essere intorno al 1440 a.C., durante il regno di Amenhotep II, cosa che non è assolutamente esclusa dalla Storia Egiziana contemporanea.

Tuttavia, tutte le evidenze disponibili suggeriscono che è più probabile una data non successiva al 1300 a.C. circa, subito dopo la morte di Tutankhamon e forse all’inizio del regno di Seti I. Su queste basi Mosè potrebbe essere nato durante il regno di Akhenaton, quando una delle sei figlie di Nefertiti avrebbe potuto trovare Mosè nel cesto tra i giunchi e averlo portato nella casa reale. Nonostante queste possibilità, Mosè quasi certamente nacque durante il regno del faraone Seti I, durante il periodo dell’editto del faraone secondo cui ogni figlio ebreo doveva essere annegato nel fiume Nilo alla nascita. Ci sono prove considerevoli che Mosè ricevette l’istruzione classica allora fornita nelle corti egiziane e certamente sarebbe stato influenzato dalle potenti credenze monoteistiche di Akhenaton, che anche allora sarebbero state ancora piuttosto forti. Le migliori evidenze disponibili indicano che l’Esodo iniziò durante il regno del faraone Ramses II, probabilmente intorno al 1280 a.C. . In questo contesto non dobbiamo dimenticare che, anche mentre Mosè era sul monte Sinai in comunione con il Signore, gli Israeliti fabbricarono un vitello d’oro da mettere alla loro testa nel loro peregrinàggio. A quel tempo i culti del vitello erano prevalenti nella zona del delta dell’Egitto dove gli Israeliti furono ridotti in schiavitù immediatamente prima dell’Esodo.

Concetti Induisti

La “Trimurti” indù, dal sanscrito che significa “di tre forme”, è espressione dell’interrelazione tra tre essenziali manifestazioni o caratteristiche dell’Essere di Dio. Sono Brahma, Vishnu e Siva, che incarnano i tre “Guna”, dal sanscrito che significa “filo” o “corda”. I Guna sono le tre componenti, qualità o attributi di natura materiale chiamate sattva, tamas e rajas, di cui tutto ciò che è mentale e fisico consiste in vari gradi. Solo la coscienza pura non ha nessuno di questi attributi. Brahma incarna rajas, la passione che crea; Vishnu incarna sattva, la bontà che mantiene l’equilibrio; e Shiva incarna tamas, il fuoco che distrugge. Quindi la Trimurti è espressione dei poteri creativo, preservativo e distruttivo che sono tre degli attributi fondamentali dell’Essere di Dio.

Simbolicamente la Trimurti è rappresentata da tre triangoli equilateri concentrici, al centro dei quali si trova il sacro nome trilaterale AUM. Questo Nome trilaterale di Dio, che è “Nam” in hindi e punjabi, è una formula che indù e sikh usano nel tentativo di riassumere la realtà divina. La formula viene cantata ripetutamente nelle tre distinte sillabe di Aum che indicano rispettivamente a Brahma, Vishnu e Siva, seguite da un silenzio per esprimere il raggiungimento di “Brahman”, parola sanscrita che significa letteralmente “crescita” o “espansione”. Questo nome mistico è rappresentato dal simbolo di tre triangoli concentrici, di cui il triangolo più interno rappresenta Brahma, Vishnu e Siva; quello intermedio rappresenta la Creazione, la Conservazione e la Distruzione; e quello più esterno rappresenta i tre elementi fondamentali Terra, Acqua e Aria. Nel “Adi Granth”, il primo volume delle scritture Sikh, ci viene detto che la salvezza non dipende dalla casta, dai rituali o dall’ascetismo, ma dalla costante meditazione del nome di Dio e dall’immersione di se stessi nell’essere di Dio:

«Signore, fiume possente, che tutto conosci, che tutto vedi,

E io come un pesciolino nelle tue grandi acque,

Come sonderò le tue profondità?

Come raggiungerò le tue coste?

Ovunque vada, vedo solo te,

E strappato dalle tue acque io muoio di separazione».

Credenze Taoiste

Per concludere la nostra trattazione sugli antichi concetti della triplice essenza di Dio, sarebbe opportuno menzionare brevemente il “San-I” nel Taoismo e il “Trikaya” nel Buddismo. “San-I” in cinese significa “i tre” e si riferisce alla triplice azione dell’Uno “Tao” o “Via”. Questo è il concetto centrale del Taoismo, il sistema filosofico e religioso di Lao-tzu, l’antico maestro e figura fondatrice del Taoismo che disse: “Tao ha dato alla luce l’uno, l’uno ha dato alla luce due, due ha dato alla luce tre, tre ha dato alla luce tutte le miriadi di cose”. I creativi tre possono essere considerati come i guardiani della vita e dell’energia e possono essere personificati come T’ai-I che è il Supremo Uno, Ti-I che è il Celeste e come T’ien-I che è il Terreno. In alternativa, possono essere considerati come rappresentanti lo “shen” come “mente”, il “ch’I” come “vitalità” e il “ching” come “essenza”.

Il Trikaya, dal sanscrito che significa “tre corpi”, è una dottrina del Buddismo Mahayana. La dottrina dice che il Buddha si manifesta in tre corpi, modi o dimensioni e che nella loro essenziale natura, o “primo corpo”, tutti i Buddha sono identici alla Verità Ultima o Realtà Assoluta. La dottrina dice anche che i Buddha hanno il potere di manifestarsi in forma celeste, che è il loro “secondo corpo”. Si ritiene inoltre che i Buddha possano proiettarsi nel mondo degli esseri sofferenti e con la loro sconfinata compassione fornire ciò che è più utile e necessario per alleviare la sofferenza.

Concetti Cristiani

Il contesto dell’evoluzione della Trinità cristiana è già stato menzionato in relazione alle Scritture Ebraiche, ma sarebbe opportuna qualche ulteriore spiegazione. La Trinità cristiana è un tentativo di comprendere e spiegare la relazione tra Dio e il mondo creato o manifesto, più o meno alla maniera della Trimurti indù, del San-I nel taoismo e del Trikaya nel buddismo, anche se forse con maggiore complessità. La Trinità afferma la convinzione che esiste un unico Dio, ma che Dio esista in effetti in tre persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Le origini di questa convinzione si possono trovare in vari passaggi delle Scritture Ebraiche, in particolare Isaia (6:3) che si riferisce al Signore seduto su un trono: “E uno gridava all’altro e diceva: Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti; tutta la terra è piena della sua gloria”.

Questa convinzione è fondata sulle Scritture Ebraiche dell’Antico Testamento e confermata nei passaggi del Nuovo Testamento come Matteo (28:19-20), quando Gesù parlò ai suoi discepoli sulle montagne dopo la crocifissione: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato…

La dottrina della Trinità cristiana non è sempre stata la stessa. Nei primi tre secoli del pensiero cristiano solo il Padre e il Figlio venivano definiti coeguali e coeterni. Dopo il Concilio di Nicea del 325 i Padri della Cappadocia si opposero all’arianesimo, secondo il quale il Figlio di Dio era una creatura e non veramente Dio. I Padri Cappadoci erano tre teologi cristiani tutti nati in Cappadocia, oggi nella moderna Turchia, che furono influenti nella sconfitta dell’arianesimo al Concilio di Costantinopoli del 381, dove proposero la dottrina di “Un Essere in tre Persone”. Questa dottrina della Trinità fu canonizzata dal Concilio di Costantinopoli e da allora è rimasta la formulazione ortodossa. Un noto monogramma associato alla Trinità è “IHS”, originariamente un’abbreviazione di Gesù e comprendente le prime tre lettere del nome in greco, Iota eta sigma omicron ipsilon sigma, in cui la H è la forma onciale o arrotondata di eta. Successivamente si disse che IHS rappresentava le lettere iniziali delle parole latine “Iesus Hominum Salvator”, che significano “Gesù, salvatore degli uomini”. Un altro monogramma cristiano è IHSV, spesso confuso con il primo. Questo monogramma è composto dalle lettere iniziali della parola latina “In Hoc Signo Vinces”, che significa “In questo segno vincerai”, che si riferisce alla visione che l’imperatore Costantino ebbe di una croce nel cielo. Infine va menzionato l’INRI, che per certi aspetti può essere considerato come un parallelo del Tetragrammaton ebraico di cui parleremo più avanti. Il monogramma INRI comprende le lettere iniziali delle parole latine “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum”, l’iscrizione sulla croce di Gesù che significa “Gesù di Nazareth, re dei Giudei”. Questa iscrizione sulla croce era scritta anche in greco ed ebraico.

Credenze Islamiche

Per quanto riguarda le credenze islamiche è importante comprendere che, sebbene l’Islam sia fondato sulle stesse tradizioni e verità dell’ebraismo e del cristianesimo, la fede islamica sostiene che non possa esserci suddivisione di Dio in aspetti o esseri, separati o concorrenti. Si tratta di un convincimento che deriva dalla schiacciante convinzione acquisita da Maometto durante i suoi lunghi periodi di isolamento e di preghiera in una grotta sul monte Hira vicino alla Mecca, che portò Maometto a postulare che se Dio è davvero Dio, allora può esistere solo ciò che Dio è, cioè Colui che è la fonte di tutta la creazione e che dispone tutti gli eventi e vive in essa. Questa assoluta unità di Dio è chiamata “tawhid”, che deriva dall’arabo “at-tawhid” che significa “l’Unità”, attraverso il sostantivo verbale “wahhada” che significa “colui che crea”. Ciò spiega perché le credenze unitarie dell’Islam siano in conflitto con le credenze della Trimurti indù e della Trinità cristiana. La fede islamica nel tawhid, non solo implica che si debba credere che Dio sia Uno, ma implica anche che l’unità di Dio debba essere affermata nella strenua negazione di tutte le altre credenze. Questa enfasi sull’Unità di Dio, da cui tutta la creazione e la vita deriva, fu l’elemento centrale della missione di Maometto.

Il rosario musulmano, o “subha”, consiste in uno “yad” o puntatore che simboleggia “l’unità di Dio”, insieme a novantanove grani o a trentatré grani da ripetere tre volte, che rappresentano i “novantanove bellissimi nomi di Dio” . Questi sono i nomi di Allah nell’Islam, che sono per lo più ricavati da passaggi del Corano. Gli elenchi variano e sono divisi in due categorie, quelli di “al-dhat” o “essenza” e quelli di “al-sifat” o “qualità”. I nomi sono ulteriormente classificati come quelli “di misericordia” e quelli “di maestà” o “giudizio”. Secondo la tradizione musulmana, cioè “l’hadith” dall’arabo che significa “narrativa”, chiunque ripeta tutti i nomi di Dio avrà la garanzia del paradiso. I tipici nomi di Dio nell’Islam includono Allah l’Assoluto, Allah il Conoscitore di tutte le cose, Allah la Luce del Cielo e della Terra, Allah il Possente, Allah il Più Definitivo di tutti i Giudici. Infine, i due probabilmente più frequentemente utilizzati sono Allah il Benefico e Allah il Misericordioso, perché essi introducono le Sûrah nel Corano.

I Nomi di Dio in Ebraico

Molti dei nomi ebraici di Dio, dei quali ve ne sono ventisei o più, occupano un posto di rilievo negli insegnamenti della Massoneria. I nomi ebraici di Dio comprendono due grandi gruppi. Un gruppo comprende i nomi fondamentali o personali di Dio e l’altro comprende nomi intesi a definire alcuni attributi e caratteristiche di Dio. “El” è la generica primitiva parola per Dio nelle lingue semitiche, da cui derivò l’aramaico “Elah”. Anche l’arabo “Ilah” solitamente scritto come “Allah” in inglese, così come l’accadico “Ilu”, sono state sue dirette derivazioni. “El” era il nome personale del Dio supremo del pantheon cananeo, l’“Alto Dio” il cui figlio era “Baal”. Sia “El” che “Baal” sono menzionati nei primi testi ugaritici di Ras Shamra, un’antica città del Medio Oriente. Gli “Elohim”, il sostantivo plurale di “El” o “Eloh” l’“Eccelso”, furono i primi dei di Canaan portati dalla Mesopotamia, “la terra tra i fiumi”. “El”, che significa “potente”, “forte” e “prominente”, divenne un nome proprio cananeo oltre a significare Dio nel senso più ampio possibile. In ebraico il titolo “El” o Yod Ayin Lamedh è usato per indicare Dio nel senso più ampio, mentre il titolo “Baal” o He Beth Ayin Lamedh significa padrone, possessore o marito.

“El” fu adorato dai discendenti di Giacobbe nei primi anni del loro insediamento in Canaan e divenne uno dei nomi più importanti del Dio d’Israele. Oltre ad essere un nome personale di Dio, “El” era anche venerato dagli israeliti per il suo concepito rapporto con luoghi e per i molti poteri che si percepiva possedesse.

In questo contesto “El Elohe Israel” era l’altare che Giacobbe eresse quando si stabilì per la prima volta vicino a Sichem, in Canaan. Quel titolo, che significava “Dio, il Dio d’Israele”, divenne uno dei nomi importanti di Dio per gli Israeliti. Ci sono molti altri nomi associati a Dio, ma uno dei meglio conosciuti probabilmente è “El Shaddai”, che significa “Dio onnipotente”. Altri nomi importanti includono “El Elyon”, che significa “Dio altissimo”; “El ‘Olam” significa il “Dio duraturo”; ed “El Berit” che significa il “Dio dell’alleanza”. Il nome “El” appare anche come “Elohim”, spesso usato come plurale enfatico per rafforzare il potere creativo e governante di Dio e per enfatizzare l’onnipotenza e la sovranità di Dio. Il nome “Elohim” è spesso tradotto come “Dio Onnipotente”, il nome dato al Figlio e Messia promesso in Isaia (9:6-7). Aspetti più ampi riguardanti l’adozione di “El” come nome di Dio da parte degli Israeliti, nonché la sua relazione con quello che probabilmente è divenuto il nome ebraico di Dio più conosciuto, sono discussi in dettaglio in relazione al “Nome Ineffabile”.

Il Nome Ineffabile, chiamato anche Tetragrammaton (Tetragramma), fu un nome di Dio che divenne della massima importanza per gli Israeliti in tempi successivi. Il “Tetragrammaton”, dalle parole greche “tetra” che significa “quattro” e “gramma” che significa “lettera”, fu un simbolo mistico o monogramma sacro che Abramo, progenitore della nazione ebraica e suo primo patriarca, introdusse dalla Mesopotamia. Tra le popolazioni delle terre della Mezzaluna Fertile, i quattro caratteri del loro simbolo mistico rappresentavano la “tetrade” o “Famiglia Celeste” comprendente Padre, Madre, Figlio e Figlia, rispettivamente El, Ashtoreth, Ba’al e Anath. Nel suo libro intitolato “The Hebrew Goddess” Raphael Patai, eminente studioso semitico, afferma che le quattro consonanti Yod He Waw He che formano il Nome Ineffabile rappresentano i quattro membri di quella Famiglia Celeste nell’ordine esposto sopra. Le quattro consonanti che compongono il Tetragramma divennero infine un acronimo che formava la radice ebraica del titolo che i talmudisti assegnarono al Dio Unico, che chiamarono “Shem Hamphorasch” o “Nome Separato”. Poiché agli Israeliti non era permesso pronunciare ad alta voce il Nome Ineffabile, Adonai o Yod Yod o qualche altro nome gli fu sostituito. Si ritiene che il nome Jehovah non solo abbia caratteristiche prevalentemente maschili, ma rappresenti anche un dio vendicativo esemplificato dall’esortazione in Esodo (21:23-25), che dice: “E se segue qualche male, allora darai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido”.

Prima di considerare la derivazione e la struttura del Nome Ineffabile e alcune caratteristiche ad esso attribuite, sarebbe opportuno passare in rassegna le vicende riguardanti le componenti femminili della tetrade celeste. Quando l’Esodo dall’Egitto ebbe inizio sotto la guida di Mosè, la coppia femminile della tetrade celeste, Ashtoreth e Anath rispettivamente moglie e figlia di Jehovah, era chiamata Shekinah. Il titolo è un derivato di Shin Kaph Nun, che è una parola ebraica di origine caldea che significa “riposare”, “abitare” o “dimorare”. La Shekinah era la gloria o presenza di Dio “che dimorava” in mezzo agli Israeliti. Originariamente si diceva che la Shekinah dimorasse nel Santo dei Santi, nel Tabernacolo che Mosè eresse dopo aver ricevuto il comando del Signore sul Monte Sinai. Ci viene detto in Esodo (40:34-35) che quando Mosè ebbe terminato e corredato di arredi il Tabernacolo: “Allora una nuvola coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì il tabernacolo. E Mosè non era in grado di entrare nella tenda del convegno, perché la nuvola dimorava su di essa e la gloria del Signore riempiva il tabernacolo”.

Successivamente fu detto che la Shekinah dimorasse nel Santo dei Santi del tempio che il re Salomone costruì a Gerusalemme, che è descritto come un tempio di Ashoreth. La Shekinah era considerata la rappresentazione femminile dello Spirito Santo e la personificazione della Saggezza, che compensava tutte le azioni vendicative di Jehovah. Questo aspetto della Shekinah è decantato in Proverbi (8), che dice: “Non piange la saggezza? e l’intelligenza ha fatto sentire la sua voce?… A voi, o uomini, invoco; e la mia voce è rivolta ai figli dell’uomo. O voi semplici, comprendete la saggezza; e voi stolti, abbiate un cuore comprensivo… . Il timore del Signore è odiare il male: l’orgoglio, l’arroganza e la via malvagia… Fui stabilito dall’eternità, dal principio, da sempre la terra fu… . Quando preparava i cieli, io ero lì: quando puntò un compasso sulla superficie dell’abisso: …Quando stabilì le nuvole in alto: …Ascolta le mie istruzioni e sii saggio e non rifiutarle… . Beato l’uomo che mi ascolta, …Perché chi trova me trova la vita e ottiene il favore del Signore. Ma chi pecca contro di me fa torto alla propria anima; tutti quelli che mi odiano amano la morte”.

Per quanto riguarda il Tetragramma, i caratteri ebraici senza segni diacritici di solito sono scritti in inglese come JHVH, che viene trascritto come Jehovah. Tuttavia, la traslitterazione più corretta è YHWH, che viene trascritto come Yahweh. Il nome deriva dal verbo ebraico “havah” che significa “essere” o “essente”, che è molto simile al verbo “chavah” che significa “vivere” o “vita”, in cui heth sostituisce il primo he in havah. Nella Bibbia “Jehovah” è solitamente tradotto come “SIGNORE” (LORD), per distinguerlo dalla parola sostitutiva “Adonia”, anch’essa usata abbastanza frequentemente. Il nome Jehovah appare per la prima volta in Genesi (2:4) come “Jehovah-Elohim” ed è usato in quella forma fino alla fine del terzo capitolo, tranne nella storia della tentazione dove viene usato il solo “Elohim”. La ragione per questa differenziazione sembra essere di natura spirituale. Successivamente vengono utilizzati uno dei due o entrambi i nomi, a volte da soli e talvolta assieme in una frase.

La prima sillaba del Nome Ineffabile è “Jah”, che è un nome di Dio spesso presente in poesia, come in Salmi (68:4) dove leggiamo “esalta colui che cavalca nei cieli con il suo nome JAH”. Anche il nome sostitutivo “Adonai” è usato come nome comune, variamente tradotto come “signore” (master), “signore” (sir) e “signore” (lord), frequentemente usato nella Bibbia per indicare l’uno o l’altro di questi titoli, sebbene più comunemente significhi “signore” (master). Né dovremmo trascurare il passaggio di Esodo (3:13), quando Dio si rivelò a Mosè presso il roveto ardente dicendo “‘ehyeh ‘aser ‘ehyeh”, che significa “IO SONO COLUI CHE SONO”. C’è anche “Jehovah-tsidkenu”, un altro nome ebraico descrittivo di Dio che significa “Jehovah nostra giustizia”, che è il nome usato in Geremia (23:5-6) per predire la venuta del Messia. Tutti questi e molti altri nomi usati nelle Scritture Ebraiche sono spiegati in grande dettaglio nel libro intitolato “Names of God” di Nathan J. Stone.

I cabalisti riveriscono il Nome Ineffabile e ne hanno analizzato i significati in diversi modi. “Cabala” o Qoph Beth Lamedh, dalla radice caldea che significa “ricevere” e “Kabala” o Kaph Beth Lamedh, dall’arabico “Qabala”, che significa “torcere”, sono nomi alternativi usati in riferimento ad un’esoterica storia tradizionale ebraica di luce e conoscenza che si propone di spiegare l’antica “Tavola del Destino” sumera, chiamata anche “Il Libro di Raziel”. La “Cabala” o “Kabala” non deve essere confusa con la “Kabbalah”, un’interpretazione relativamente moderna dei testi ebraici che si basa quasi interamente su valori materiali invece di esporre spiegazioni filosofiche e mistiche dei testi nel modo adottato nei trattati originali.

La Cabala esamina molti argomenti complessi, inclusa una dettagliata considerazione di varie interpretazioni esoteriche del Tetragrammaton. La traslitterazione inglese del Tetragrammaton equivale a IHOH che, letto al contrario e suddiviso, forma le parole “Ho” e “Hi”. Questa è considerata dai cabalisti una trasposizione molto importante. Le parole ebraiche “Ho” e “Hi” significano rispettivamente “Lui” e “Lei”, denotando pertanto misticamente sia l’aspetto maschile che quello femminile del Creatore, altrove rappresentato nella Massoneria dal punto all’interno di un cerchio. Il doppio genere del Creatore ha permeato tutti i principali sistemi religiosi fin dai tempi antichi. Tutti i nomi ebraici di Dio hanno uno o più significati e “Ho-Hi” non fa eccezione, perché oltre a denotare il Principio Maschile e Femminile significa anche un importante attributo ed un altro principio vitale:

L’Autore del Tempo e l’Arbitro dell’Ondata di Eventi; e

L’Eterno e Assoluto Principio di Creazione e Distruzione“.

È importante rendersi conto che i nomi di Dio in ebraico furono derivati quasi interamente dai nomi delle divinità usate dalle varie tribù e nazionalità che vivevano nella Mezzaluna d’Oro a est del Mar Mediterraneo da prima che gli Israeliti vivessero in Egitto. È anche importante non trascurare la significativa influenza che la cultura egiziana ebbe sulla cultura ebraica durante il loro soggiorno di oltre 400 anni in Egitto prima dell’Esodo. Tutti questi aspetti sono esaminati in grande dettaglio da Laurence Gardner nel suo informativo libro “Genesis of the Grail Kings”, sottotitolato “The Pendragon Legacy of Adam and Eve”, che getta molta luce su molte delle interpretazioni discusse in questo capitolo.

Comparazioni

È interessante confrontare la somiglianza concettuale tra la Tetrade Mesopotamica o “Famiglia Celeste” composta da Padre, Madre, Figlio e Figlia, rispettivamente: El, Ashtoreth, Ba’al e Anath; con la triade degli egizi composta da Osiride il Padre, Iside la Madre e Horus il Figlio. Tuttavia, la Trimurti induista di Brahma, Vishnu e Siva è abbastanza diversa, perché proietta tre manifestazioni essenziali dell’Essere di Dio che sono tutte maschili. A questo proposito la Trimurti indù è più simile alla relativamente recente Trinità cristiana di Padre, Figlio e Spirito Santo, che fu stabilita come dottrina dal Concilio di Nicea solo nel 325 d.C. . Allo stesso modo il “San-I” o “i tre” nel Taoismo e il “Trikaya” o “tre corpi” nel Buddismo sono molto simili nel concetto ai triplici aspetti della divinità che sono incarnati nella Trimurti induista e nella Trinità cristiana. Tutti questi concetti, tuttavia, sono significativamente diversi dalla percezione di Dio come unità assoluta e indivisibile, che è sottolineata nella fede islamica nel tawhid che enfatizza l’”Unità di Dio”, come ripetutamente proclamato dal muezzin quando chiama i musulmani alla preghiera.

I Nomi di Dio nella Massoneria

Nelle precedenti discussioni tutti gli attributi e i nomi di Dio sono rilevanti in uno o più rami della Massoneria. Come in tutte le religioni e società ad orientamento religioso, la Massoneria usa molti appellativi diversi quando si riferisce a Dio, alcuni si riferiscono chiaramente al Mestiere così come veniva praticato dai liberi muratori operativi ed altri che sono di carattere puramente religioso. Sarà subito evidente la somiglianza dei nomi usati nelle varie religioni e quelli usati nella massoneria. Poiché ogni libero muratore deve professare fede in Dio, ne consegue logicamente che la benedizione di Dio venga invocata sul candidato all’inizio di ogni cerimonia alla quale si accinge a partecipare. La benedizione di Dio viene invocata anche all’apertura e alla chiusura di ogni incontro in una loggia, capitolo, consiglio o altro organismo massonico. Il nome di Dio viene utilizzato anche quando è appropriato alle istruzioni che sono impartite nelle cerimonie in corso. L’appellativo di Dio più frequentemente usato nella massoneria speculativa è il “Grande Architetto dell’Universo”. Altri appellativi usati frequentemente in vari altri rami della massoneria includono il Grande Architetto del Cielo e della Terra, il Grande Geometra dell’Universo, il Gran Sovrintendente dell’Universo, il Grande Dispositore di Tutto, il Supremo Sommo Sacerdote del Cielo e della Terra e il Sovrano dell’Universo. Le connotazioni di questi titoli descrittivi e di molti altri utilizzati sono evidenti.

Capitolo XIV del libro “The Square and Compasses” Autore WM Don Falconer PM, PDGDC.

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