IL SIMBOLISMO DELLE SCALE

IL SIMBOLISMO DELLE SCALE

Il pilastro di mezzo, che divide in due il vano d’ingresso, ci offre una serie di rappresentazioni allegoriche delle scienze medioevali. Di fronte al Sagrato, ed al posto d’onore, l’Alchimia è raffigurata da una donna la cui fronte tocca le nubi. Seduta in trono, ella ha nella mano sinistra uno scettro, segno di sovranità, mentre con la destra tiene due libri, uno chiuso (esoterismo) e l’altro aperto (essoterismo). Mantenuta tra le sue ginocchia e poggiata sul suo petto si eleva la scala dai nove gradini, la scala philosophorum, geroglifico della pazienza che deve essere posseduta dai suoi fedeli nel corso delle nove successive operazioni della fatica ermetica“.

Fulcanelli “Il Mistero delle Cattedrali”

IL SIMBOLISMO DELLE SCALE

«Nella maggior parte degli Antichi Misteri la scala era un simbolo di progressivo avanzamento.

La Scala di Giacobbe

La scala di Giacobbe è un simbolo importante nella massoneria. Giacobbe, il minore dei figli gemelli di Isacco e Rebecca, era chiamato “il padre del popolo eletto”. La durata della sua vita non è nota con certezza, perché il racconto biblico non può essere correlato direttamente con i documenti secolari sopravvissuti, ma le testimonianze disponibili indicano che probabilmente visse intorno al XVIII secolo a.C. . Le scritture dicono che Giacobbe nacque stringendo il tallone del fratello gemello maggiore Esaù (Ayin Qoph Beth in ebraico). Quindi l’etimologia popolare suggerisce che questa sia la derivazione del nome di Jacob, che si dice significhi “afferra il tallone” o “si aggrappa”. Un’altra possibile interpretazione è “colui che Dio protegge”, che deriva da una parola araba del sud ed etiopica “‘akaba” che significa “sorvegliare” o “custodire”. I documenti cuneiformi ed egiziani di quel periodo contengono nomi di persona dalla stessa radice (linguistica) e anche gli Amorrei usavano una forma parallela del nome. Ancora un altro significato di Giacobbe è il “soppiantatore”, che si riferisce al fatto che Giacobbe indusse il suo anziano padre a dargli il “diritto di nascita” o benedizione, che per consuetudine avrebbe dovuto essere ereditato dal figlio primogenito, Esaù. Con questo raggiro Giacobbe divenne il beneficiario della promessa di Dio ed ereditò Canaan, mentre Esaù ricevette solo la meno fertile regione che divenne nota come Edom. Anche la madre di Giacobbe, Rebecca, usò un sotterfugio e ottenne da Isacco il permesso per Giacobbe di fuggire dall’ira di Esaù. Questo avvenne quando Giacobbe fuggì dalla sua casa a Beer-Sceba e andò a casa di sua madre nel campo o piano di Aram, chiamato Padanaram, vicino ad Harran nell’estremo nord della Mesopotamia, dove il padre di Isacco, Abramo, aveva vissuto prima di emigrare in Canaan. Più tardi nella sua vita Giacobbe e i suoi figli andarono a Gosen, il territorio nel delta del Nilo assegnato agli israeliti durante il loro soggiorno egiziano, non lontano dalla corte egiziana. Giacobbe morì in Egitto, ma Giuseppe e i suoi fratelli portarono il corpo imbalsamato del padre a Canaan per la sepoltura.

L’evento centrale della vita di Giacobbe avvenne all’inizio della sua fuga da Beer-Sceba, forse alla fine del suo primo giorno di viaggio a dorso di cammello. Si trovava allora a quasi 100 chilometri a nord di Beer-Sceba, nella regione collinare vicino a Bethel, a circa 20 chilometri a nord di Gerusalemme. Il nonno di Giacobbe, Abramo, si era accampato lì durante il suo viaggio verso sud e aveva eretto un altare a Yahweh, al quale era tornato dopo la sua visita in Egitto. Le scritture ci dicono che Giacobbe dormiva con la nuda terra come giaciglio e una pietra come cuscino, quando ebbe una visione di una scala (la parola ebraica usata è Samech Lamedh Mem, che di solito è tradotta come “scala”). La scala collegava la terra con il cielo e gli angeli salivano e scendevano continuamente su di essa. Fu in questa occasione che iniziò la realizzazione di Dio da parte di Giacobbe e Dio promise a Giacobbe la divina protezione. Questa promessa confermò quella data ad Abramo quando era a Padanaram, che il popolo eletto avrebbe posseduto l’intero paese a sud-ovest del fiume Eufrate. Giacobbe commemorò il suo sogno erigendo la pietra su cui aveva appoggiato la testa come monumento. Giacobbe versò una libagione di olio sul monumento, segnando il luogo in cui sapeva che Dio era presente. Questo evento, registrato nel ventottesimo capitolo del Libro della Genesi, è alla base del racconto della Scala di Giacobbe nel simbolismo della massoneria speculativa.

Il Simbolismo della Scala di Giacobbe

Sebbene sia usuale nella moderna massoneria speculativa nominare solo i tre pioli o gradini superiori della mistica scala di Giacobbe, in realtà essa ha sempre avuto sette pioli. Oggigiorno la scala è descritta come avente “molti pioli o gradini, che indicano altrettante virtù morali, ma le tre principali sono Fede, Speranza e Carità”, solitamente descritte come le Virtù Teologali. Originariamente le precedevano quattro Virtù Sociali, oggi chiamate le quattro Virtù Cardinali, che in ordine ascendente erano la Temperanza, la Fortezza, la Prudenza e la Giustizia. Le quattro Virtù Cardinali sono solitamente rappresentate da quattro nappe pendenti ai quattro angoli della loggia. Sembra che i primi artisti, che prepararono la prima delle permanenti Tavole di Loggia usate nelle logge, avessero qualche difficoltà a rappresentare nello spazio disponibile tutte e sette le virtù e di conseguenza le ridussero a tre. Le tre Virtù Teologali sono raffigurate in vari modi, ma solitamente una croce latina è usata per rappresentare la Fede, un’ancora per rappresentare la Speranza e una mano che regge un calice per rappresentare la Carità. Le tre Virtù Intellettuali sono Saggezza, Forza e Bellezza, ma sono raramente raffigurate sulla Scala di Giacobbe perché sono sempre state indicate come i “tre grandi pilastri” che simbolicamente sostengono una loggia massonica.

Su alcune Tavole di Loggia è raffigurata anche una chiave sopra o vicino alla scala di Giacobbe. La chiave è un simbolo molto antico della massoneria speculativa, menzionato in alcuni dei primi rituali e catechismi di cui esistano ancora copie, ad esempio “l’Edinburgh Register House MS” del 1696. I vecchi catechismi di solito includevano la domanda: “Che cosa è la chiave della tua loggia?” la cui risposta era “Una lingua ben trattenuta” (A weel hung tongue). Questa risposta è stata ampliata in alcuni rituali, come ad esempio nello “Sloane MS” del 1700 circa, che include la risposta: “Non è fatta di Legno Pietra Ferro o Acciaio o qualsiasi tipo di metallo, ma la lingua di buona reputazione dietro la schiena di un fratello così come davanti alla sua faccia.”

(It is not made of Wood Stone Iron or Steel or any sort of metal, but the tongue of good report behind a brother’s back as well as before his face)

Questo è il primo uso noto registrato di “lingua di buona reputazione” (Tongue of Good Report), che è un’espressione significativa che è sopravvissuta nei rituali speculativi fino ai giorni nostri. Il Reverendo Adolphus F.A.Woodford è stato uno dei nove eminenti fondatori della più importante loggia di ricerca del mondo, “Quatuor Coronati Lodge No 2076”, che fu autorizzata a Londra nel 1884. Nella “Kenning’s Masonic Cyclopaedia” del 1878, il Reverendo Woodford disse che: “La scala di Giacobbe nella massoneria sembra indicare la connessione tra terra e cielo; tra l’uomo e Dio; e a rappresentare la fede in Dio, la carità verso tutti gli uomini e la speranza nell’immortalità”.

Molti storici massonici ritengono che una sostanziale influenza giacobita sia stata esercitata sulla massoneria speculativa del Mestiere quando si stava rapidamente sviluppando durante il diciottesimo secolo. Dicono che la scala di Giacobbe sia stata introdotta nella massoneria inglese come simbolo della massoneria continentale, con l’obiettivo di mantenere in primo piano la causa giacobita, ma questo suggerimento sembra improbabile.

Altre Scale Massoniche

La scala di Giacobbe non è l’unica scala presente nei rituali della massoneria. Le scale di sette gradini sono simboli importanti in molti dei gradi aggiuntivi della massoneria, ciascuna con la propria interpretazione. Una di queste scale, che simboleggia le prove e le agonie subite dal Messia, viene salita alla ricerca della “Parola Perduta”. Un’altra scala misteriosa si riferisce ai nostri doveri morali verso Dio e l’uomo. Quando saliamo quella scala siamo avvertiti di essere giusti e retti; essere equi nei nostri rapporti con gli altri; essere gentili e amabili; essere di buona fede; lavorare diligentemente; avere pazienza e agire sempre con intelligenza e discrezione. Insieme a quella scala c’è un’altra scala, che prescrive le sette arti e scienze liberali che dovremmo perseguire per adempiere adeguatamente ai nostri doveri morali, vale a dire grammatica, retorica, logica, aritmetica, geometria, musica e astronomia. Con ancora un’altra scala ci viene insegnato che la nostra vita dovrebbe essere caratterizzata dalla giustizia e dalla carità; dall’innocenza; dalla dolcezza; dalla fede; dalla fermezza e verità; da un grande lavoro; e dalla responsabilità.

Come ultimo esempio di scale massoniche, ce n’è un altra che abbraccia tutto il simbolismo delle scale già menzionate. Si tratta di una scala di sette gradini, poggiante su un globo che rappresenta la terra ed è sormontata da una Bibbia con la squadra e il compasso aperti su di essa. Su ogni gradino successivo, a partire dal più basso, sono riportate le lettere I.N.R.I.F.S.C. Sono le lettere iniziali delle sette parole latine: Iesus, Nazarenus, Rex, Iudaeorum, Fides, Spes, Caritas, che significano Gesù di Nazareth, Re dei Giudei; Fede, Speranza e Carità. A questo proposito va ricordato che durante il Medioevo, nel continente europeo ed anche in Inghilterra, i massoni operativi erano primariamente ingaggiati nella costruzione delle cattedrali cristiane e delle strutture ecclesiastiche a queste associate. Questo è il motivo per cui molti degli antichi rituali erano di carattere sostanzialmente cristiano, nonostante gli ampi riferimenti ai testi ebraici che sono particolarmente appropriati al simbolismo della massoneria. Era quindi inevitabile che i primi rituali speculativi, che furono adattati da quelli dei loro predecessori operativi, dovessero avere un carattere simile.

Quando la “Premier Grand Lodge” della massoneria speculativa fu istituita a Londra nel 1717, il reverendo dottor James Anderson D.D. (1684-1739), laureato al “Marischal College” di Aberdeen, produsse l’originale “Book of Constitutions” che fu pubblicato nel 1723. Questo “Book of Constitutions” fu un vero discendente diretto dei vecchi “MS Charges” del quattordicesimo secolo o precedenti, sebbene gran parte dell’intrinseco carattere cristiano fosse stato rimosso, a questo gli “Antients” si opposero fortemente. Tuttavia, quando gli “Antichi” cercarono la riconciliazione con i “Moderni” e le loro due “Grandi Logge” furono unificate sotto la “Gran Loggia Unita d’Inghilterra” nel dicembre 1813, tutti gli elementi specificatamente cristiani furono omessi dai rituali. Il requisito principale per l’ammissione alla massoneria era allora ed è tuttora la credenza in un Essere Supremo, indipendentemente dalla religione o dal credo del richiedente.

Gli “Antichi Misteri”

Walter M. Wilmshurst fu un rinomato storico inglese e scrittore massonico. Nel suo libro intitolato “The Meaning of Masonry”, pubblicato per la prima volta all’inizio del 1900, Wilmshurst discusse la massoneria in relazione agli Antichi Misteri. In questo contesto il seguente estratto dal suo libro merita una seria contemplazione:

Ora una delle prime cose che colpisce qualsiasi studioso di letteratura massonica e religione comparata è la notevole presenza di comuni fattori, comuni credenze, dottrine, pratiche e simboli comuni, nelle religioni di tutte le razze, sia antiche che moderne, orientali o occidentali , civilizzate o barbariche, cristiane o pagane. Per quanto separato dagli altri dal tempo o dalla distanza, per quanto intellettualizzato o primitivo, per quanto elaborata o semplice la loro religione o morale e per quanto ampie le loro differenze in importanti aspetti, ogni popolo si trova ad aver impiegato e ad impiegare ancora certe idee, simboli e pratiche in comune con ogni altro; forse con o senza qualche lieve modifica di forma…. Se la ricerca o la riflessione si spingono abbastanza lontano, diventa chiaro che l’universalità e l’uniformità a cui si fa riferimento sono dovute al fatto che un tempo, molto indietro nel passato del mondo, esisteva o fu impiantato nelle menti dell’intera famiglia umana – che era senza dubbio molto più piccola e più concentrata allora di adesso – un Proto-Evangelium o Dottrina-Radice riguardo alla natura ed al destino dell’anima dell’uomo e alla sua relazione con la Divinità…. Tutte le prove… indicano che l’uomo primitivo, per quanto infantile e intellettualmente non sviluppato secondo i moderni standard, era spiritualmente cosciente e fisicamente percettivo ad un livello mai sognato dalla mente moderna“.

Wilmshurst ha definito la massoneria come una scienza progettata per insegnare la conoscenza di sé: “una nobile scienza che può fornire un risveglio spirituale in un ordine e in una qualità di vita precedentemente mai sperimentati”.

Nella maggior parte degli Antichi Misteri, se non in tutti, la scala fu un simbolo di progressivo avanzamento, come lo è nella massoneria. In “Signs and Symbols”, che il Reverendo Dott. George Oliver DD scrisse all’inizio del 1800, comparò il simbolismo massonico con il simbolismo degli Antichi Misteri praticati in varie parti del mondo. Egli richiamò particolare attenzione alla diffusa importanza della scala come simbolo e evidenziò la stretta similarità nell’interpretazione della scala in tutte le epoche e in tutti i riti. Ha riassunto il simbolismo massonico delle scale nelle seguenti parole: “Così le oscure nubi dell’ira divina sono dissipate, i cieli sono aperti; e godiamo un raggio della Sua gloria nella celeste copertura della Loggia. E più di questo; lo stesso Essere Divino ci ha insegnato come raggiungere la sommità della stessa, mediante mezzi che sono emblematicamente rappresentati da una scala formata da tre PIOLI o SCALINI principali, che indicano le tre Virtù Teologali, FEDE, SPERANZA e CARITÀ”.

I “Misteri di Mitra” Persiani

Nei Misteri di Mitra una scala di sette pioli, chiamata porta, era il passaggio simbolico dell’approccio dell’anima alla perfezione. Il candidato doveva attraversare sette caverne oscure e tortuose, che rappresentavano l’ascesa della Scala della Perfezione, in cui ogni caverna simboleggiava un mondo, o stato di esistenza. Si credeva che un pianeta proteggesse ciascuno di questi sette mondi ed un metallo di purezza crescente caratterizzava ogni gradino successivo durante l’ascesa della scala. Durante il suo progresso verso la perfezione, l’anima doveva passare successivamente dal “Primo Mondo” al settimo, chiamato “Verità”. Numerati in successione dalla base della scala alla sommità, il passaggio attraverso i mondi, insieme ai rispettivi pianeti e metalli, era il seguente:

7 Verità Sole Oro

6 Dimora dei Beati Luna Argento

5 Mondo delle nascite Marte Ferro

4 Mondo di Mezzo Giove Stagno

3 Paradiso Venere Rame

2 Mondo della preesistenza Mercurio Argento Vivo

1 Primo Mondo Saturno Piombo

I “Misteri di Brahma” Indiani

Anche nei Misteri di Brahma troviamo una scala di sette gradini che simboleggia l’universo. Ogni gradino rappresenta uno dei sette mondi che costituiscono il Cosmo Braminico, che sono simili ai mondi nei Misteri di Mitra. I sette mondi dei Misteri di Brahma, nominati in successione dal più basso al più elevato, sono: primo la Terra; secondo il Mondo della Preesistenza; terzo Paradiso; quarto la Regione Intermedia, che si trova tra il mondo inferiore e quello superiore e perciò è solitamente chiamata Mondo di Mezzo; il quinto è il Mondo delle Nascite, dove rinascono le anime; il sesto o Palazzo dei Beati è un luogo dove le anime riposano nella pace eterna; e il settimo è la Sfera della Verità, che è la dimora di Brahma.

Il Cabalistico “Albero della Vita”

La Cabala o Kabbalah è la mistica filosofia o teosofia degli ebrei. Il nome deriva dalla parola ebraica “kibbel”, scritta Kaph Beth Lamedh che significa “ricevere” o “accettare”, perché è la dottrina ricevuta dagli anziani. Ci sono due divisioni della Cabala, di cui quella “Pratica” si occupa della costruzione di talismani e amuleti e quella “Teorica” si occupa di tutti gli altri aspetti. La divisione teorica è suddivisa in due parti, la “dogmatica” e la “letterale”. La parte dogmatica espone la filosofia e teosofia rabbinica e la parte letterale dà spiegazioni mistiche delle cose sacre. Anche i Cabalisti hanno una scala di dieci gradini, che chiamano l’Albero della Vita. L’albero della vita è solitamente rappresentato nella seguente forma:

L’albero della vita cabalistico rappresenta diversi concetti, di cui i quattro mondi dell’ordine naturale delle cose sono i primi. Quattro è un antico simbolo del mondo e della natura e degli esseri umani nella natura. Quattro si riferisce anche alle quattro stagioni che mettono in relazione il microcosmo dell’umanità con il macrocosmo dell’universo. Sono primavera, estate, autunno e inverno, che si riferiscono ai piani superno, mentale, astrale e fisico attraverso i quali l’evoluzione umana si compie. Ha anche varie interpretazioni relative all’alchimia che sono spiegate in termini di metalli. L’Albero della Vita cabalistico differisce dalle altre scale perché i gradini o “sephiroth” non sono disposti in un’unica linea ascendente, ma formano un diagramma di tre triadi che si interconnettono a formare tre pilastri o colonne sorretti da una base. A differenza della maggior parte delle scale, le sephiroth devono essere interpretate leggendole dall’alto verso il basso fino alla base. Ogni sephira rappresenta un fondamentale attributo o emanazione dell’Essenza Divina, chiamato “Splendore”, attraverso il quale “l’En Soph” o Infinito Uno è in grado di entrare in relazione con il Finito. Un concetto fondamentale è che l’En Soph è un’unità assoluta e imperscrutabile che non ha nulla al di fuori di sé e tutto entro di sé.

Il tronco centrale dell’Albero della Vita della Cabala è chiamato “Colonna di Mezzo” ed è composto da quattro sephiroth. Cominciando dall’apice sono la Corona (Crown), poi la Bellezza (Beauty) “in mezzo al fogliame”, seguita dal Fondamento (Foundation) dove si diramano i rami più bassi e infine il Regno (Kingdom) dove il tronco incontra il suolo. La colonna di destra del diagramma è il principio maschile chiamato “Pilastro della Misericordia”. La colonna di sinistra del diagramma è il principio femminile chiamata “Pilastro della Giustizia”. Questi due pilastri alludono alle qualità di Dio in coppia e mostrano che la sua benevolenza da un lato affina la sua severità dall’altro. Ciascuno di questi pilastri è collegato alla Corona ed anche al Fondamento, con la Bellezza situata tra di loro. A destra in ordine decrescente le tre sephiroth del Pilastro della Misericordia sono Saggezza (Wisdom), Misericordia (Mercy) e Fermezza (Firmness). A sinistra, sempre in ordine decrescente, le tre sephiroth del Pilastro della Giustizia sono Intelligenza (Intelligence), Giustizia (Justice) e Splendore (Splendour). Va notato che ciascuno di questi due pilastri prende il nome dalla sua sephira centrale, mentre le coppie di sepiroth adiacenti qualificano il modo in cui gli esseri umani dovrebbero applicare le loro azioni rappresentate in ciascuno di quei pilastri. Così la Saggezza deve essere esercitata quando si mostra la Misericordia, sebbene anche la Fermezza sia richiesta nella sua applicazione. Allo stesso modo l’Intelligenza è richiesta nell’esercizio della Giustizia, in modo che l’esito sia Splendido agli occhi di Dio.

La derivazione dell’Albero della Vita è spiegata come segue. All’inizio dei tempi l’En Soph o Infinito Uno emise nello spazio un’emanazione spirituale, che formò la prima sephira, chiamata Kether che significa la Corona. La Corona conteneva le altre nove sephiroth che scaturirono da essa nel seguente ordine. La prima fu la sephira maschile chiamata Chokmah che significa Saggezza, seguita dalla sephira femminile chiamata Binah che significa Intelligenza. Si combinarono alla Corona per formare la prima triade, da cui le altre sette sephiroth derivarono. La Saggezza e l’Intelligenza poi si combinarono per produrre una potenza maschile chiamata Chesed che significa Misericordia, che produsse una potenza femminile chiamata Geburah che significa Giustizia. Quindi Misericordia e Giustizia si combinarono per produrre Tiphereth che significa Bellezza, completando così la seconda triade. Una potenza maschile chiamata Netzach che significa Fermezza, poi scaturì dalla Bellezza e produsse una potenza femminile chiamata Hod che significa Splendore. La terza triade fu completata quando Fermezza e Bellezza si combinarono per produrre Yesod, che significa il Fondamento. Infine, la decima sephira scaturì dal Fondamento e fu chiamata Malkuth che significa Regno, che è ai piedi dell’Albero della Vita.

La filosofia dell’Albero della Vita può essere spiegata brevemente nei seguenti termini. La triade superiore è composta dalla Corona, dalla Saggezza e dalla Comprensione. Rappresenta il mondo di “Atziluth”, che è il mondo superno dell’emanazione della divinità. Per certi aspetti l’Atziluth è simile alla Trimurti degli indù e alla Santissima Trinità dei cristiani. I tre sepiroth dell’Atziluth sono indicati rispettivamente come il “White Head” (N.d.r. appellativo di Dio), il Padre e la Madre. La triade superiore punta verso l’alto in riferimento alla Divinità da cui emana. Le altre due triadi puntano verso il basso in riferimento all’umanità e al mondo che l’umanità occupa. La triade centrale comprende Misericordia, Severità e Bellezza, che costituisce il mondo di “Briah” o della creazione. In un senso questa triade rappresenta la mente divina e in un altro essa è il reame della più alta intelligenza creata. La triade inferiore comprende Vittoria, Gloria e Fondamento, che costituiscono il mondo di “Yetzirah” che è il fondamento di tutte le cose, in cui si dice che l’universo fu formato, sebbene non fosse visibile esternamente. Il quarto mondo è “Assiah”, che comprende la decima sephira o il Regno che è il mondo manifesto o materiale.

Viaggi Simbolici

Sebbene significative differenze sostanziali siano rappresentate nelle diverse scale sopra descritte, tuttavia ognuna rappresenta un importante viaggio simbolico. Tali viaggi simbolici hanno svolto un ruolo significativo comunicando la consapevolezza spirituale dai tempi più antichi fino ai giorni nostri. L’induismo è una delle più antiche tra le grandi religioni del mondo, che si è evoluta in più di cinquemila anni ed è ancora in crescita. Il “Veda”, che in sanscrito significa “conoscenza”, è il corpo della conoscenza sacra ritenuta essere la base della vera fede e della pratica tra gli indù. Gli inni dei Veda ritraggono i fuochi mistici, quel senso interiore di sacrificio che arde per sempre sull’ “altare della mente”, illuminando il simbolico viaggio di scoperta alla ricerca di risposte a ciò che apparentemente è l’impenetrabile mistero umano-divino. I Veda si riferiscono al “kalahahamsa”, o “cigno del tempo”, che vola verso il cielo e “nido di eternità”. L’Islam è la più giovane delle grandi religioni mondiali di oggi, che il profeta Maometto ha fondato nel settimo secolo. Il sufismo è una branca importante dell’Islam impegnata a mantenere corretta la propria condotta come praticata dal profeta, distinta dalla “shari’a” (arabo per il “percorso segnato dai cammelli verso l’acqua”) o organizzazione sistematica di come i musulmani dovrebbero vivere e il “fiqh” (arabo per “intelligenza”, “conoscenza”) o scienza della legge religiosa islamica. Nel XII secolo un sufi persiano, ‘Attar, disse che la ricerca, l’amore, la conoscenza, il distacco, l’unità, lo stupore e l’annientamento sono le sette valli che devono essere attraversate nel viaggio simbolico verso il palazzo nascosto del re. In questo contesto “l’annientamento” è la morte come necessario precursore della risurrezione e della vita eterna. “Sufi” potrebbe derivare dalla radice araba “suf” che significa lana, alludendo ai loro originari indumenti.»

Capitolo XXI del libro “The Square and Compasses” Autore WM Don Falconer PM, PDGDC.

IL SIMBOLISMO DELLA SCALA

«Abbiamo già accennato in precedenza al simbolismo che si è conservato fra gli Indiani dell’America del Nord, e secondo il quale i diversi mondi sono rappresentati da una serie di caverne sovrapposte e gli esseri passano da un mondo all’altro salendo lungo un albero centrale. Un simbolismo simile si trova, in vari casi, realizzato da riti nei quali il fatto di arrampicarsi su un albero rappresenta l’ascensione dell’essere lungo “l’asse”; tali riti sono sia vedici sia “sciamanici”, e la loro stessa diffusione è un indizio del loro carattere veramente “primordiale”.

L’albero può essere sostituito qui da qualche altro simbolo “assiale” equivalente; l’albero di una nave ne è un esempio; conviene notare, a questo proposito, che dal punto di vista tradizionale la costruzione di una nave è, così come quella di una casa o di un carro, la realizzazione di un “modello cosmico”; ed è anche interessante notare che la “coffa”, che è posta nella parte superiore dell’albero e lo circonda, occupa in questo caso esattamente il posto “dell’occhio” della cupola, il cui centro si ritiene venga attraversato dall’asse anche quando questo non è raffigurato materialmente. D’altra parte, gli studiosi di folklore potranno anche osservare che il popolare “albero della cuccagna” delle fiere non è nient’altro che il vestigio incompreso di un rito simile a quelli cui abbiamo or ora accennato; anche in questo caso, un particolare piuttosto significativo è costituito dal cerchio sospeso alla parte alta dell’albero, che si deve raggiungere arrampicandovisi (cerchio che per altro l’albero attraversa e oltrepassa come quello della nave oltrepassa la coffa e quello dello “stupa” la cupola); questo cerchio è inoltre palesemente la rappresentazione “dell’occhio solare” e si converrà che non può certo essere stata la presunta “anima popolare” a inventare tale simbolismo!

Un altro simbolo assai diffuso, che si ricollega immediatamente allo stesso ordine di idee, è quello della scala, essa pure un simbolo “assiale”; come dice A.K. Coomaraswamy, “l’Asse dell’Universo è come una scala sulla quale si effettua un perpetuo movimento ascendente e discendente” ¹[“The Inverted Tree”, p. 20]. Far sì che si compia tale movimento è infatti la destinazione essenziale della scala; e poiché, come abbiamo appena visto, anche l’albero o l’albero di una nave svolgono la stessa funzione, si può ben dire che la scala sia in questo senso il suo equivalente. Da un altro lato, la particolare forma della scala richiede alcune osservazioni; i suoi due montanti verticali corrispondono alla dualità “dell’Albero della Scienza”, o, nella Cabala ebraica, alle due “colonne” di destra e di sinistra dell’albero sefirotico; né l’uno né l’altro è dunque propriamente “assiale”, e la “colonna di mezzo”, che è l’asse vero e proprio, non è raffigurata in modo sensibile (come nei casi in cui non lo è neppure il pilastro centrale di un edificio); d’altronde, l’intera scala nel suo complesso è in certo modo “unificata” dai pioli che congiungono i due montanti, e che, essendo posti orizzontalmente fra questi, hanno necessariamente i loro punti centrali proprio sull’asse. ²[Nell’antico ermetismo cristiano si trova l’equivalente di ciò in un certo simbolismo della lettera H, con le sue due gambe verticali unite dal tratto orizzontale]. Si vede come la scala offra così un simbolismo completo: si potrebbe dire che essa è come un “ponte” verticale che si eleva attraverso tutti i mondi e permette di percorrerne l’intera gerarchia passando di piolo in piolo; nello stesso tempo, i pioli sono i mondi stessi, cioè i diversi livelli o gradi dell’Esistenza universale ³[Il simbolismo del “ponte” potrebbe naturalmente dar luogo, sotto i suoi vari aspetti, a molte altre considerazioni; si potrebbe anche ricordare, per certi rapporti con tale tema, il simbolismo islamico della “tavola custodita” (el lawhul-mahfuz), prototipo “atemporale” delle Scritture sacre che, partendo dal più alto dei cieli, discende verticalmente attraversando tutti i mondi].

Tale significato è evidente nel simbolismo biblico della scala di Giacobbe, lungo la quale gli angeli salgono e scendono; ed è noto che Giacobbe, nel luogo in cui aveva avuto la visione di questa scala, posò una pietra che “eresse come un pilastro”, la quale è anche una figura “dell’Asse del Mondo”, e viene così in certo modo a sostituirsi alla scala stessa ⁴[Cfr. “Le Roi du Monde”, cap. IX]. Gli angeli rappresentano propriamente gli stati superiori dell’essere; a essi corrispondono quindi più particolarmente i pioli, il che si spiega con il fatto che la scala dev’essere considerata con la base poggiata a terra, cioè, per noi, è necessariamente il nostro mondo il “supporto” a partire dal quale si deve effettuare l’ascensione. Se anche si supponesse che la scala si prolunghi sottoterra per comprendere la totalità dei mondi, come in realtà dev’essere, la sua parte inferiore sarebbe in ogni caso invisibile, così come è invisibile per gli esseri giunti a una “caverna” situata ad un certo livello tutta la parte dell’albero centrale che si prolunga al di sotto di essa; in altri termini, i pioli inferiori sono già stati percorsi, e non è più il caso di prenderli in considerazione per quanto concerne la realizzazione ulteriore dell’essere, alla quale potrà concorrere solo il percorso dei pioli superiori.

Per questo, soprattutto quando la scala è usata come un elemento di certi riti iniziatici, i suoi pioli sono espressamente considerati come rappresentazioni dei diversi cieli, cioè degli stati superiori dell’essere; è così che in particolare nei misteri mitriaci la scala aveva sette pioli che erano messi in rapporto con i sette pianeti ed erano formati, si dice, dai metalli a essi rispettivamente corrispondenti; e il percorso di questi pioli raffigurava quello di altrettanti gradi successivi dell’iniziazione. Questa scala a sette pioli si ritrova in certe organizzazioni iniziatiche medioevali, da cui passò probabilmente più o meno direttamente negli alti gradi della massoneria scozzese, come abbiamo detto altrove a proposito di Dante ⁵[“L’Esotérisme de Dante”, capp. II e III]; qui i pioli sono riferiti ad altrettante “scienze”, ma ciò non costituisce alcuna differenza di fondo, poiché secondo Dante stesso tali “scienze” si identificano con i “cieli” ⁶[Convito, II, cap. XIV]. È ovvio che, per corrispondere così a stati superiori e a gradi di iniziazione, queste scienze dovevano essere delle scienze tradizionali intese nel loro senso più profondo e più propriamente esoterico, e questo anche per quelle tra esse i cui nomi, in virtù del processo degenerativo al quale abbiamo spesso accennato, designano ormai per i moderni solo scienze o arti profane, cioè qualcosa che, in rapporto a quelle scienze vere, non è in realtà niente di più che una scorza vuota e un “residuo” privo di vita.

In certi casi, si trova anche il simbolo di una scala doppia, il che implica l’idea che la salita dev’essere seguita da una ridiscesa; si sale allora da un lato per pioli che sono “scienze”, cioè gradi di conoscenza corrispondenti alla realizzazione di altrettanti stati, e si ridiscende dall’altro lato per pioli che sono “virtù”, cioè i frutti di questi stessi gradi di conoscenza applicati ai loro rispettivi livelli ⁷[Bisogna dire che questa corrispondenza della salita e della ridiscesa sembra talora rovesciata; ma ciò può dipendere semplicemente da qualche alterazione del senso primitivo, come succede spesso a causa dello stato più o meno confuso e incompleto in cui i rituali iniziatici occidentali sono giunti fino all’epoca attuale]. Si può del resto notare che anche nel caso della scala semplice uno dei montanti può essere considerato in certo modo come “ascendente” e l’altro come “discendente”, a seconda del significato generale delle due correnti cosmiche di destra e di sinistra con le quali questi due montanti sono pure in corrispondenza, per via della loro posizione “laterale” in rapporto al vero asse che, per quanto invisibile, è nondimeno l’elemento principale del simbolo, quello a cui tutte le parti devono sempre essere riferite se si vuole capirne integralmente il significato.

A queste diverse indicazioni aggiungeremo ancora, per concludere, quella di un simbolismo un po’ differente che s’incontra anche in certi rituali iniziatici, cioè la salita di una scala a chiocciola; in questo caso si potrebbe dire che si tratta di un’ascensione meno diretta, poiché, invece di compiersi verticalmente secondo la direzione dell’asse stesso, essa si compie secondo le curve dell’elica che si avvolge intorno all’asse, di modo che il suo processo appare “periferico” più che “centrale”; ma, in linea di principio, il risultato finale dev’essere comunque identico, giacché si tratta sempre di una salita attraverso la gerarchia degli stati dell’essere, dato che le spire successive dell’elica sono fra l’altro, come abbiamo ampiamente spiegato altrove ⁸[Si veda “Le Symbolisme de la Croix”], una esatta rappresentazione dei gradi dell’Esistenza universale.»

Capitolo 54 “Il simbolismo della scala” del libro “Simboli della Scienza Sacra” Autore René Guénon.

LA SCALA MISTERIOSA NEL XXX GRADO DEL RITO SCOZZESE

Nella camera dell’Areopago (XXX grado del Rito Scozzese) si trova al centro del Tempio una doppia scala, a libretto, la Scala Misteriosa, composta da sette gradini per lato. I gradini ascendenti portano i nomi delle sette arti liberali ovvero, dal basso verso l’alto: Grammatica, Retorica, Logica, Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia (¹); sul versante discendente i gradini portano dall’alto verso il basso i nomi di Prudenza (Discrezione), Impegno, Lavoro, Fede, Dolcezza, Purezza e Giustizia. Sul primo montante compare la scritta «amore del prossimo»; sul secondo è scritto «amore dell’Eccelso».

Lungi dall’essere un elemento simbolico accessorio, la Scala assume un valore ed un significato centrale nella ritualità del grado, rappresentando da un lato una ricapitolazione del cammino iniziatico svolto dal Massone, e dall’altro prefigurando l’accesso a quei Misteri Maggiori inequivocabilmente espressi dal simbolismo dell’Aquila bicipite coronata (²). Il Massone che virtualmente ha reintegrato in sé lo stato primordiale dopo aver raggiunto il XVIII grado (Principe Rosa Croce), è chiamato ora a rendere effettivo il raggiungimento di tale stato sì da poter finalmente avviarsi lungo la Scala Misteriosa che lo condurrà verso l’acquisizione dei Grandi Misteri e il compimento della Grande Opera.

La scala è in tutte le Tradizioni regolari segno e simbolo per eccellenza delle relazioni e dei percorsi che intercorrono tra cielo e terra, intendendo in prima istanza con tale dizione i diversi stati che l’essere si trova a percorrere nel corso del proprio divenire e, principalmente, durante il cammino di realizzazione iniziatica. In tal senso il simbolismo della scala si applica tanto al dominio dell’essoterismo (prova ne siano le frequentissime e ricorrenti utilizzazioni che ne fanno i Padri della Chiesa) quanto a quello dell’esoterismo e, in quest’ambito, a domini distinti.

La scala può essere raffigurata come tale, o rappresentata dagli intagli di un albero (che, sottolineiamo di sfuggita, partecipa del medesimo significato assiale, di congiungimento tra cielo e terra), dagli scalini di un tempio (come le piramidi, le ziggurat mesopotamiche o i teocalli centroamericani) o dall’arcobaleno stesso. In tutte queste situazioni emerge con nitidezza l’idea di un contatto primordiale tra cielo e terra, successivamente spezzato e mantenuto solo per il tramite di una scala la cui natura, ecco un aspetto che generalmente non è valutato adeguatamente per la sua importanza, rileva non già dell’umano, bensì del sacro. La scala si innalza dalla casa di Dio (come è il caso per Giacobbe e più in generale per i Templi) o è un prodotto della natura stessa (arcobaleno), ma non è mai costruita dall’Uomo con l’intento di ricostruire da solo il filo spezzato che lo riconduca al Grande Architetto. In questo senso il significato simbolico della torre di Babele e lo stesso mito dei Giganti (che costruirono una piramide di pietre per dare l’assalto all’Olimpo) deve intendersi come rovesciato, esprimendo la scala, in quel contesto, un tentativo di usurpazione illegittima, irregolare, di chiara natura titanica.

La scala dei cavalieri Kadosh presenta sette scalini corrispondenti alle sette arti liberali; parimenti sette sono gli scalini della betulla siberiana, così come sette sono i colori della scala del Buddha, di sette metalli è costituita la scala Mitraica. Non vi è dubbio che le arti, i colori e i metalli rinviino tutti ad altrettante sfere planetarie, come ricorda bene Dante nel Paradiso quando, a proposito dei sette cieli, li equipara alle Scienze «dico per cielo la scienza e per cieli le scienze».

Questa precisazione merita alcune considerazioni; anzitutto è evidente che qui si sta parlando di scienze tradizionali, ovvero di una conoscenza sacra imperniata principalmente sulla conoscenza e sull’uso del Verbo. A ciò del resto fanno chiaramente riferimento le Arti della Grammatica, della Retorica e della stessa Musica. Le scienze (tradizionali) della parola rinviano alle potenzialità demiurgiche (iniziatiche o magiche) del Verbo, adombrate nel prologo di S. Giovanni e presenti in numerose tradizioni, rivolte tutte a conoscere ed articolare il Nome dei Nomi, ovvero il nome segreto di Dio.

Di ciò è questione in numerosi gradi dei Riti massonici in cui è sottolineato (come nel XIII grado, Cavaliere del Real Arco) che ne è stata dimenticata l’esatta dizione. Il nome in questione è tutt’uno con quella «parola perduta» la cui cerca è in definitiva la cerca stessa del Graal. La conoscenza del «nome segreto» di Dio (il 100° nome secondo la tradizione islamica) è di fatto apparentato da molte tradizioni al possesso stesso del Graal (³) e non è questo l’unico indizio che ricollega strettamente il simbolismo della Scala a quello del Sacro Vaso.

I quindici salmi graduali (i Cantici dei Gradi denominati anche «gli elevati sentieri del cuore») sono considerati dalla Bibbia altrettanti gradini («graduale») della scala «immaginaria» che conduce al centro del Cuore e quindi di Dio; non è senza rilievo che il termine Graal derivi appunto dalle parole grazal, gradual, significanti vaso (in antico provenzale) o gradino (nel latino medievale). Per altro verso, a Bisanzio ci si rivolgeva a Maria (accomunata nella sua forma passiva all’Arca ed al Vaso che riceve il sangue e lo spirito del Cristo) come ad una scala celeste lungo cui scende l’Altissimo per dimorare in mezzo agli uomini e tramite la quale gli uomini salgono a Dio.

Conoscenza di un alfabeto segreto, possesso del Graal, ascensione della Scala, sono altrettanti simboli che alludono alla padronanza di una Scienza capace di permettere una comunicazione diretta con Dio. Del resto, che la conoscenza di una particolare Lingua Sacra fosse indispensabile a concretizzare l’ascensione «al cielo», ci viene indirettamente rivelato dal mito stesso della torre di Babele. In quel contesto è infatti sufficiente «confondere» le lingue perché il progetto naufraghi e i popoli si disperdano ai quattro angoli della Terra. Del pari, un antico testo medievale scozzese, attribuito alla figura mitica del bardo Taliesin –La Battaglia degli Alberi– fa esplicito riferimento alla ricostruzione occultata di un alfabeto segreto, l’alfabeto della Dea Bianca, individuando in questa la fonte di un insegnamento misteriosofico capace, tra gli altri, di fornire la chiave di accesso per comunicare direttamente con la Divinità.

In secondo luogo, come ricorda Guénon, i cieli (⁴) rappresentano in un ordine simbolico superiore stati di iniziazione sovraumani propri all’iniziato che, dopo aver reintegrato lo stato edenico primordiale, si accinge ad affrontare la Grande Opera: «…egli [ l’iniziato, NdA] domina già le condizioni di esistenza di questo Mondo, di cui è divenuto Maestro; è per questo che il Rebis del Rosarium Philosophorum ha sotto i suoi piedi la Luna, e quello di Basilio Valentino il Drago».

Parimenti Santa Perpetua sottolinea come, nel corso dell’ascensione spirituale lungo la scala, si debba schiacciare la testa del Drago salendo il primo piolo (⁵). S. Agostino commenterà questa visione sottolineando come la testa del drago rappresenti il primo gradino (S. Agostino, “Sermoni” 280-1) e che «non si può cominciare l’ascesa senza prima calpestare il drago». È significativo che il Drago debba essere sconfitto prima di cominciare l’ascesa e, per altro verso, sono invece alquanto sospetti quei miti che, collocando il Drago alla sommità (ed accreditandolo d’una funzione assimilabile a quella del Guardiano della soglia) gli conferiscono il significato di prova ultima prima del conseguimento dell’Opera.

L’ascensione della scala nell’ambito iniziatico consegue, infatti, e non precede la reintegrazione dello stato edenico. Non è un caso che Dante collochi la Scala in Paradiso, dopo aver superato non solo l’Inferno e il Purgatorio, ma altresì i sette pianeti, l’ultimo dei quali, molto significativamente, è Saturno:

vid’io uno scaleo eretto in suso

tanto, che nol seguiva la mia luce.

Vidi anche per li gradi scender giuso

tali splendor, ch’io pensai ch’ogni lume

che par nel ciel fosse diffuso”

(Paradiso, XXI, 28-34)

Ciò è di particolare importanza ove si consideri che la scala consente di accedere a quel regno di immortalità da cui l’Uomo, venne ad essere privato con la caduta. Non a caso l’età del cavaliere Kadosh è di «un secolo e più». Ulteriore, evidente simbolo della sua raggiunta immortalità e giustamente, per lo stesso motivo, viene equiparato a Melki-Tsedeq, «il vivente», Signore della Città Santa, espressione che designa chiaramente «il soggiorno d’immortalità» della tradizione ebraica.

Nella Genesi è detto che il luogo ove Giacobbe sognò la scala da cui salivano e scendevano gli angeli venne chiamato Beith-El (Casa di Dio); le tradizioni ebraiche ricordano che quel luogo veniva in precedenza denominato Luz, «nocciolo di immortalità»; nelle vicinanze si ergeva un mandorlo, presso era occultato l’accesso ad una città sotterranea in cui, come ricorda Guénon, «L’Angelo della Morte non può penetrare».

Tutto questo è solo in apparenza alquanto confuso ed evidenzia invece, simbolicamente, il nesso chiarissimo che intercorre tra l’ascensione della scala e l’accesso al Paradiso Terrestre presso cui risiede l’enigmatico Albero della Vita, capace di trasformare «l’immortalità virtuale» conseguita dall’iniziato pervenuto al compimento dei Misteri Maggiori, in una condizione di «conquista effettiva degli stati superiori dell’essere».

La scala, il Graal, non sono che il mezzo e la via (il «Tao te ching» propriamente detto) per conseguire tale risultato. È indubbio che l’insegnamento misteriosofico connesso a tali tematiche abbia potuto alimentare, sulla base di una lettura «a rovescio» del simbolo, la ricerca e la letteratura contro-iniziatica, tesa ad identificare un elisir di lunga vita nell’ambito di una novella impresa prometeica, rivolta, per l’occasione, a strappare all’Olimpo il segreto della vita eterna.

Non è casuale che un certo ermetismo «deviato» (per usare l’espressione coniata dal Guénon), così come buona parte della mitologia di ispirazione celtica e germanica, sottolineino la centralità della “Queste” di una “Luz polare” (l’Avalon arturiano, presso cui il Re di questo Mondo riposa in attesa di tornare a dominare sul proprio Regno) verso cui è stato profuso impegno e ricerche. Sia il mito della torre di Babele, sia quello greco della rivolta dei Giganti, indicano con chiarezza come sia effettivamente possibile una sorta di “Queste” «alla rovescia» del Graal, un recupero deviato di funzioni e conoscenze peraltro riservate agli iniziati che percorrono vie legittime. Si legge infatti nella Genesi:

Il Signore disse: ecco, essi sono un solo popolo e

hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della

loro opera e ora quanto avranno in progetto di

fare non sarà loro impossibile…” (Gen. 11,6-7)

Del pari la tradizione greca ricorda come solo grazie a Ercole, a prezzo di grandi difficoltà, fu possibile agli Dei sconfiggere i Giganti, capitanati da Porfirione. È evidente che questi miti ricordano l’esistenza di una via illegittima di riconquista dello stato primordiale e di usufrutto dell’Albero della Vita da parte di quella che la Massoneria ha sempre identificato come la Controiniziazione. Di fatto l’ascensione della scala è eminentemente soggetta alle insidie controiniziatiche (intese nella loro doppia valenza sia come risorgenza del Drago interiore, sia come difficoltà frapposte dall’«ambiente» esterno alla crescita dell’iniziato) e di ciò fanno fede espressiva le rappresentazioni medievali imperniate sulle descrizioni dei Padri della Chiesa.

Per costoro la scala identifica non solo uno strumento, ma altresì un percorso. Sant’Isacco il Siriaco sottolinea come «la scala di questo Regno (di Dio, NdA) è nascosta dentro di te, nella tua anima. Lavati dunque dal peccato e scoprirai i gradini per salire». Per S. Giovanni Climaco e S. Giovanni Crisostomo i gradini della Scala consistono in esercizi spirituali graduali da superare stadio dopo stadio.

Vale la pena di sottolineare la stretta correlazione che intercorre tra esercizio spirituale (inteso come pratica di un percorso iniziatico) e tecniche iniziatiche di risveglio dei chakra (presenti in tutte le tradizioni iniziatiche) che consentono di superare La Via del Cancello della Mente della tradizione giapponese, imperniata appunto su sette colori (dal rosso al violetto). Del pari Guglielmo di Saint Thierry parlerà dei sette gradi dell’anima ed una lunga dissertazione sarà dedicata da San Bernardo alla “scala mystica”.

In questi Autori la scala è chiaramente ricondotta al simbolismo del viaggio, del pellegrinaggio irto di difficoltà e imprevisti come tutti i percorsi dell’anima. Come tutti i simboli assiali anche la scala è caratterizzata da una direzione: come la si può salire, così la si può discendere. Herrado di Lansberg parla di una scala delle virtù dove i pioli bianchi e neri si alternano e i demoni perseguitano i peccatori al fine di provocarne la caduta. Tanto più alta la vetta raggiunta, tanto maggiori i pericoli di rovinare in basso. Il pericolo di trasformarsi in statua di sale (come accade alla moglie di Lot, voltatasi a guardare in dietro) è sempre presente nella cammino dell’iniziato e massimamente, come è il caso del cavaliere Kadosh, una volta che si approssima ai Misteri Maggiori.

Ma le possibilità di discesa vanno intese anche in senso affatto diverso, come dovere dell’iniziato a reintegrarsi nell’Umanità di tutti i giorni, portando seco il patrimonio acquisito, influendo nella realtà quotidiana come adepto. E per farlo, considerando i pericoli intrinseci alla discesa, il Cavaliere Kadosh deve fortificarsi nelle virtù, di cui forse necessita ben più che nel percorso di ascesa. Non è un caso che la Massoneria nella sua saggezza abbia voluto sottolineare, per prima tra queste, la Discrezione (Ghemoul, in ebraico), ovvero la prudenza che necessariamente deve informare ogni atto ed ogni rivelazione nei confronti di quanti non abbiano sperimentato la conoscenza dei Misteri.

In questo è facile ravvisare un’ulteriore sottolineatura dell’importanza di quel segreto che, come ci ricorda Guénon, è ormai tanto inviso al Mondo Moderno. Ma è proprio dall’osservanza di quel segreto, dalla pratica di quelle virtù che è possibile «contribuire alla felicità dei nostri simili» e che aiutano i Maestri del XXX grado a compiere il dovere «perché è il vostro dovere: questa è l’ultima parola della Massoneria: Ecco come noi intendiamo lo spirito cavalleresco nel suo più alto concetto».

Note

(1) In alcune versioni del Rito, manifestamente più tarde, la sequenza è stata sostituita con altra, in entrambi i montanti della scala, secondo la successione seguente: matematica, astronomia, fisica, chimica, fisiologia, psicologia, sociologia, sul lato ascendente, e: sincerità, pazienza, coraggio, prudenza, giustizia, tolleranza, devozione. A nostro parare tale sostituzione (riportata per esempio nel rituale del Farina [cfr. S. Farina, “Il Libro completo dei rituali massonici”, Atanòr, Roma, 1981] ) presenta un carattere di evidente irregolarità per l’equiparazione illegittima che viene compiuta tra arti Tradizionali e Scienze Moderne (se tali possano essere considerate discipline come la sociologia e la psicologia). Anche l’inserimento della tolleranza risente probabilmente dell’influsso illuministico sulla Massoneria speculativa e male traduce gli intendimenti simbolici propri della Massoneria operativa. Le sette virtù di cui è questione sono infatti le stesse riportate sul medaglione di cavaliere Kadosh, attribuito a Dante dal Valli e conservato nel museo di Vienna, in cui è possibile leggere le parole di Fides, Spes, Karitas, Iustitia, Prudentia, Fortitudo e Temperantia.

[Nota del redattore: i gradini della scala misteriosa nel Rito di Perfezione, che costituisce la spina dorsale del futuro Rito Scozzese, sono dal basso in alto: «’T Sed halad, Scarlabac, Moteck, Emunah, Hamach Sciata, Sabaél, Choemel Binah Tabinah» (in “Francken Manuscript”, 1783). Nei rituali del Supremo Consiglio di Charleston circoscrizione sud, con cui il Rito Scozzese ha assunto l’assetto attuale, il grado di Cavaliere Kadosh, trascritto nel 1802, è al XXIX e non al XXX e reca sulla scala gli stessi termini del Rito di Perfezione. In entrambi, alla base della scala, si legge «nec plus ultra» (“Ordo ab Chao. The original and Complete Rituals of the first Supreme Council, 33°”, Boston & New York 1995, Poemander press, p. 329)]

(2) «Ad Oriente, al di sopra del trono, è raffigurata un’Aquila bicipite, coronata, le ali spiegate, metà bianca e metà nera, che tiene tra gli artigli una spada… sul petto un triangolo equilatero su cui è scritta, in ebraico, la parola Adonai» (U. Poli, “Massoneria Iniziatica, la via scozzese”, Atanòr, Roma, 1981, p. 121). Il simbolismo dell’aquila è troppo complesso perché se ne possa trattare in tale sede, Ciò che qui preme sottolineare è come l’Aquila bicipite rinvii alla figura di Melchi-Tsedeq, doppiamente sovrano in quanto Re di Pace e di Giustizia, Re del Mondo (cfr. R. Guénon, “Il Re del Mondo”, Adelphi, Milano, 1977, p. 55 e sgg.) e sovrano della «terra dei viventi», laddove «la morte non può penetrare».

(3) È estremamente interessante ricordare come la tradizione druidica abbia sempre mantenuto nascosta la propria lingua il cui alfabeto viene adombrato nella romanza di Taliesin, “La Battaglia degli Alberi”; ancor più rilevante è che la padronanza di tale alfabeto consenta di realizzare una determinata operatività «magica» rivolta alla Dea madre (la Dea Bianca) e di accedere, in tale modo ai misteri dell’Immortalità.

(4) Anche nella tradizione islamica la scala è composta da sette gradini. Ancor oggi i fellah algerini piantano sulle tombe ramoscelli d’olivo intagliati a rappresentare i sette cieli della scala terrena. Per altro verso il Corano descrive un episodio simile a quello riportato nella Genesi su Giacobbe: a Maometto, durante la sua ascensione notturna propiziata dall’arcangelo Gabriele, apparve una scala di cui si servono gli spiriti degli uomini per salire al cielo e a cui i morenti volgono lo sguardo. Vi è in questo passo della sura XVII un riferimento allusivo alla immortalità che l’ascensione della scala consente di acquisire, contrapponendo il Regno del Vivente (Allah) a quello dell’Uomo.

(5) «Allora il Drago, come se mi temesse, sporse la testa da sotto la scala ed io, salendo il primo gradino, gli calpestai la testa…» (cfr. “Passio S. Perpetuae, n. 4”, in “Armitage Robinson, The Passion of St. Perpetua”, in «Eranos Jahrbuch», 1950, Zurigo,1951, p. 53).

Articolo di Mariano Bizzarri

Fonte: Zenit Studi

Come osservazione finale a questa analisi del “simbolismo della scala” vorrei far notare che la “scala doppia” può essere interpretata come simbolica del doppio percorso verso l‘Unita, attraverso ciascuna delle due polarità. Se da un lato della scala, quello della “via positiva” o del “Servizio agli altri”, i pioli rappresentano le sette virtù (quattro cardinali: forza, sapienza, giustizia, temperanza e tre teologali: Fede, Speranza, Carità), allo stesso modo dall’altro lato i pioli rappresentano i sette vizi (gola, lussuria, avarizia, superbia, accidia, invidia e ira) del percorso negativo o del “Servizio a se stessi”. Se la Divinità è “Tutto ciò che è” non può esistere qualcosa che sia all’infuori di essa, sarebbe una contraddizione in termini; Ra: “…l’Unità, per via della sua stessa natura. Poiché essa contiene ogni cosa, non può aborrirne alcuna”.

Entrambe le due “Vie” conducono all’Unità con l’Uno infinito creatore, è una questione di scelta dei modi per giungervi, Ra:

« …La Legge dell’Uno non propende né verso la luce né verso l’oscurità, essendo disponibile sia per il servizio agli altri che per il servizio a se stessi. Tuttavia, il servizio agli altri determina anche il servizio a se stessi, e ciò preserva ed armonizza ulteriormente le distorsioni di quelle entità che cercano l’infinito intelligente attraverso tali discipline.

Quelli che cercano l’infinito intelligente attraverso l’utilizzo del servizio a sé creano la stessa quantità di potenza ma, come abbiamo detto, hanno continue difficoltà a causa del concetto della separazione, che è intrinseco alle manifestazioni del servizio a sé che comportano il potere sugli altri. Questo indebolisce e alla fine disintegra l’energia raccolta da tali complessi mente/corpo/spirito che chiamano il gruppo di Orione ed i complessi di memoria sociale che compongono il gruppo di Orione.

Un aspetto che dev’essere osservato, ponderato attentamente ed accettato, è il fatto che la Legge dell’Uno sia disponibile per qualsiasi complesso di memoria sociale che abbia deciso di impegnarsi collettivamente nel perseguimento di un obiettivo, sia esso di servizio agli altri o di servizio al sé. A questo punto vengono messe in opera le leggi, che sono le distorsioni primarie della Legge dell’Uno, e l’illusione di spazio/tempo viene usata come un mezzo per lo sviluppo dei risultati di quelle libere scelte. Perciò, tutte le entità apprendono, a prescindere da quello che cercano. Tutti apprendono allo stesso modo, alcuni rapidamente, altri lentamente.»

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