CONCETTUALIZZAZIONE DELL’UNITA

CONCETTUALIZZAZIONE DELL’UNITA NELLA FILOSOFIA NELLA RELIGIONE E NELLA PSICOLOGIA

Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno Tao,

il nome che si può pronunciare non è l’eterno nome.

Senza nome è l’origine del cielo e della terra.

Con un nome è la Madre di mille creature.

Lao Tsu

MONISMO

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Il monismo dal punto di vista della religione esprime la convinzione che tutto derivi da un unico principio che manifesta un’unica natura. L’origine e la natura di ogni cosa coincide con questo principio il cui aspetto unitario si riverbera nell’unitarietà indivisibile della materia e dello spirito. Questa forma di monismo si associa al panteismo quando il principio s’identifica con Dio, come avviene nelle religioni monoteiste.

Si possono distinguere vari tipi di monismo:

Il monismo prioritario afferma che tutte le cose esistenti risalgono ad una fonte distinta da esse; ad esempio, nel neoplatonismo tutto deriva dall’Uno. In questa visione solo l’Uno è ontologicamente fondamentale o anteriore a tutto il resto.

Il monismo dell’esistenza postula che, in senso stretto, esiste una sola cosa, l’universo, che può essere suddiviso solo artificialmente e arbitrariamente in molte cose.

Il monismo della sostanza afferma che una varietà di cose esistenti può essere spiegata in termini di un’unica realtà o sostanza. Il monismo della sostanza presuppone che esista un solo tipo di sostanza, sebbene molte cose possano essere costituite da questa sostanza, ad esempio la materia o la mente.

Il Monismo a doppio aspetto o “Monismo duale” è la visione secondo cui il mentale e il fisico sono due aspetti o prospettive della stessa sostanza.

Il Monismo Neutrale crede che la natura fondamentale della realtà non sia né mentale né fisica; in altre parole sia “neutrale”.

Definizioni

Esistono due tipi di definizioni di monismo secondo il Brugger:

La definizione ampia: una filosofia è monistica se postula l’Unità dell’origine di tutte le cose; tutte le cose esistenti ritornano ad una Fonte che è distinta da esse.

La definizione ristretta: questa richiede non solo Unità di origine ma anche Unità di sostanza ed essenza.

Sebbene il termine monismo derivi dalla filosofia occidentale per caratterizzare le posizioni nel “problema mente-corpo”, è stato utilizzato anche per caratterizzare le tradizioni religiose. Nell’Induismo moderno, il termine “monismo assoluto” è stato applicato all’Advaita Vedānta, sebbene Renard sottolinei che questa potrebbe essere un’interpretazione occidentale, che bypassa la comprensione intuitiva di una realtà non duale. È più generalmente classificato dagli studiosi come una forma di non-dualismo assoluto.

Storia

Il monismo è stato discusso approfonditamente nella filosofia indiana e nel Vedanta nel corso della loro storia a partire dal Rig Veda. Il termine monismo fu introdotto nel XVIII secolo da Christian von Wolff nella sua opera “Logica” (1728), per designare tipi di pensiero filosofico in cui si tentava di eliminare la dicotomia corpo-mente e di spiegare tutti i fenomeni secondo un principio unificante, ovvero come manifestazioni di un’unica sostanza.

Il “problema mente-corpo” in filosofia esamina la relazione tra mente e materia, ed in particolare la relazione tra coscienza e cervello. Il problema fu affrontato da René Descartes nel XVII secolo dando vita al Dualismo Cartesiano, dai filosofi pre-aristotelici, nella filosofia avicenniana, nelle antecedenti tradizioni asiatiche e più specificatamente in quelle indiane.

Successivamente fu applicato anche alla “teoria dell’identità assoluta” esposta da Hegel e Schelling. Successivamente il termine fu utilizzato in maniera più ampia, per qualsiasi teoria che postulasse un principio unificante. Anche la tesi opposta del Dualismo è stata ampliata per includere il Pluralismo. Secondo Urmson, a causa di questo uso esteso, il termine è “sistematicamente ambiguo”.

Secondo Jonathan Schaffer, il monismo perse popolarità a causa dell’emergere della filosofia analitica all’inizio del XX secolo, che si ribellò ai neo-hegeliani Rudolf Carnap e AJ Ayer, che erano forti sostenitori del positivismo, “ridicolizzarono l’intera questione definendola misticismo incoerente“.

Il problema mente-corpo è riemerso nella psicologia sociale e nei campi correlati, con l’interesse per l’interazione mente-corpo e il rifiuto del dualismo mente-corpo cartesiano nella tesi dell’identità, una forma moderna di monismo. Il monismo è ancora rilevante anche per la filosofia della mente, dove vengono difese varie posizioni.

Tipi di Monismo

Diversi tipi di monismo includono:

Monismo della sostanza, “l’idea secondo cui l’apparente pluralità delle sostanze è dovuta a diversi stati o apparenze di un’unica sostanza”.

Monismo attributivo, “l’idea secondo cui qualunque sia il numero delle sostanze, esse appartengono ad un unico tipo ultimo”.

Monismo epistemologico, dove “in definitiva, tutto ciò che può essere pensato, osservato e coinvolto, condivide un sistema concettuale di interazione, per quanto complesso”.

Monismo parziale, «all’interno di un dato reame dell’essere (per quanti ce ne possano essere) c’è solo una sostanza».

Monismo dell’esistenza, «la visione secondo cui esiste un solo oggetto concreto (L’Uno, “Τὸ Ἕν” o la “Monade”)».

Monismo prioritario, “il tutto è precedente alle sue parti” oppure “il mondo ha parti, ma le parti sono frammenti dipendenti di un tutto integrato”.

Monismo delle proprietà, “la visione secondo cui tutte le proprietà sono di un unico tipo (ad esempio, esistono solo proprietà fisiche)”.

Monismo del genere (Genus monism), «la dottrina secondo cui esiste una categoria più alta; ad esempio, l’essere».

Le opinioni in contrasto con il monismo sono:

Dualismo metafisico, che afferma che esistono due sostanze o realtà in definitiva inconciliabili come il Bene e il Male, ad esempio nello gnosticismo e nel manicheismo.

Pluralismo metafisico, che asserisce tre o più sostanze o realtà fondamentali.

Il nichilismo metafisico che nega qualsiasi delle categorie di cui sopra (sostanze, proprietà, oggetti concreti, ecc.).

Il monismo nella moderna Filosofia della mente può essere suddiviso in tre grandi categorie:

Monismo idealista e mentalistico, secondo il quale solo la mente o lo spirito esiste.

Monismo neutrale, secondo il quale esiste fondamentalmente un tipo di cosa, alla quale sia il mentale che il fisico possono essere ridotti.

Monismo materiale (chiamato anche fisicalismo e materialismo), che sostiene che il mondo materiale è primario e la coscienza nasce attraverso l’interazione con il mondo materiale.

Materialismo eliminativo, secondo il quale tutto è fisico e le cose mentali non esistono.

Fisicalismo riduttivo, secondo il quale le cose mentali esistono e sono una sorta di cosa fisica [come anche Comportamentismo, Teoria della identità e Funzionalismo].

Alcune posizioni non rientrano facilmente nelle categorie di cui sopra, come il Funzionalismo, il monismo anomalo e il monismo riflessivo. Inoltre, non definiscono il significato di “reale”.

Un diagramma con il monismo neutro in rapporto al dualismo cartesiano, al fisicalismo e all’idealismo.

Filosofi Monisti

Presocratici

Sebbene la mancanza di informazioni renda difficile in alcuni casi essere sicuri dei dettagli, i seguenti filosofi presocratici pensavano in termini monistici:

Talete: Acqua

Anassimandro: Apeiron (che significa “l’infinito indefinito”). La realtà è una cosa, ma non possiamo sapere cosa.

Anassimene di Mileto: Aria

Eraclito: cambiamento, simboleggiato dal Fuoco (in quanto tutto è in costante flusso).

Parmenide: L’Essere o Realtà è una sfera perfetta, immobile, immutabile, indivisa.

Post-Socratici

I neopitagoriani come Apollonio di Tiana centravano le loro cosmologie sulla Monade o l’Uno.

Gli stoici insegnavano che esiste una sola sostanza, identificata come Dio.

Il medio platonismo, in opere come quelle di Numenio di Apamea, insegnava che l’Universo emana dalla Monade o Uno.

Il neoplatonismo è monistico. Plotino insegnò che esisteva un dio ineffabile e trascendente, “L’Uno”, di cui le realtà susseguenti erano emanazioni. Dall’Uno emana la Mente Divina (Nous), l’Anima Cosmica (Psiche) e il Mondo (Cosmo).

Moderni

Giordano Bruno; Baruch Spinoza; George Berkeley; Johann Gottlieb Fichte; Friedrich Schelling; Georg Hegel; Arthur Schopenhauer; Ralph Waldo Emerson; Francis Herbert Bradley; Ernst Haeckel; Félix Le Dantec; Benedetto Croce; Giovanni Gentile; Piero Martinetti; Alfred North Whitehead; Bertrand Russell; Emanuele Severino; Rudolf Steiner; Alexander Bogdanov; Gilles Deleuze; Friedrich Engels; David Bentley Hart; Christopher Langan; Giacomo Leopardi; Ernst Mach; Karl Marx; Wilhelm Ostwald; Charles Sanders Peirce; Georgi Plekhanov; Gilbert Ryle; Jonathan Schaffer; Hans Jonas; Rupert Sheldrake; B.F. Skinner; Herbert Spencer; Alan Watts.

Mistici

Occidentali

Santa Ildegarda di Bingen; San Giovanni della Croce; Meister Eckhart; Santa Teresa d’Avila; Nicola Cusano.

Orientali

Sri Aurobindo; Nāgārjuna; Adi Sankara; Ramana Maharshi; Nisargadatta Maharaj; Ramesh Balsekar; Jiddu Krishnamurti; Mahatma Gandhi; Mata Amritanandamayi Devi; Lao Tzu; Gauḍapāda; Uddalaka Aruni; Yajnavalkya; Bhartṛhari; Ramakrishna; Vivekananda; Sathya Sai Baba; Paramahansa Yogananda.

Autori

Richard BachKhalil GibranNeale Donald WalschJohn HagelinFritjof Capra.

Neuroscienziati Monisti

György Buzsáki; Francis Crick; Karl Friston; Eric Kandel; Mark Solms; Rodolfo Llinas; Ivan Pavlov; Roger Sperry, Vittorio Marchi.

Religione

Panteismo

Il Panteismo (πάν (pán)=tutto e θεός (theós)=Dio, vuol dire letteralmente “Dio è Tutto” e “Tutto è Dio”) è una visione del reale per cui ogni cosa è permeata da un Dio immanente e non trascendente o per cui l’Universo o la natura sono equivalenti a Dio (Deus sive Natura).

Definizioni più dettagliate tendono ad enfatizzare l’idea che la legge naturale, l’esistenza e l’universo (la somma di tutto ciò che è e che sarà) siano rappresentati nel principio teologico di un “dio” astratto piuttosto che una o più divinità personificate di qualsiasi tipo. Questa è la caratteristica chiave che distingue il panteismo dal panenteismo e dal pandeismo. Ne deriva che molte religioni, pur reclamando elementi panteistici, sono in realtà per natura più panenteiste e pandeiste.

Michael Levine, nel suo libro “Panteismo”, lo definisce «una concezione non-teistica della divinità». In senso lato, con “panteismo” si intende ogni dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il principio che lo regge. Per l’esattezza, il concetto di Dio-Uno-Tutto si presenta in due versioni: quella “cosmistica”, la quale afferma “Dio è nel Tutto”, e quella “acosmistica” (il termine è di Hegel), la quale afferma “Il Tutto è in Dio”. Nel primo caso, come nello stoicismo, Dio impregna e pervade l’universo in ogni sua parte; nel secondo caso, come nello spinozismo, l’universo in ogni sua parte rifluisce e si scioglie in Dio, quale Uno-Tutto.

Il panteismo fu reso popolare nell’era moderna sia come teologia che come filosofia, dal lavoro del filosofo del XVII secolo Baruch Spinoza, la cui “Etica dimostrata con metodo geometricofu una risposta alla famosa teoria dualista di Cartesio secondo cui il corpo e lo spirito sono separati. Spinoza riteneva che i due fossero la stessa cosa, e questo suo “monismo” è una qualità fondamentale della sua filosofia. Fu descritto come un “uomo ebbro di Dio” e usò la parola Dio per descrivere l’unità di tutta la sostanza. Sebbene il termine panteismo sia stato coniato solo dopo la sua morte, Spinoza è considerato il suo più celebre sostenitore.

H. P. Owen affermò che: «I panteisti sono “monisti”… credono che esista un solo Essere e che tutte le altre forme di realtà siano suoi modi (o apparenze) o identiche ad esso».

Il panteismo è strettamente correlato al monismo, poiché anche i panteisti credono che tutta la realtà sia un’unica sostanza, chiamata Universo, Dio o Natura. Il panenteismo, un concetto leggermente diverso (spiegato di seguito), tuttavia è dualistico. Alcuni dei panteisti più famosi sono gli Stoici, Giordano Bruno e Spinoza.

Panenteismo

Il Panenteismo (dal greco “πᾶν” (pân) “tutto“; “ἐν” (en) “in“; e “θεός” (theós) “Dio“; “tutto-in-Dio“) è un sistema di credenze che presuppone che il divino (sia esso un Dio monoteista, degli Dei politeisti o un’eterna forza animatrice cosmica) compenetra ogni parte della natura, ma non è tutt’uno con la natura. Il panenteismo si differenzia dal panteismo, secondo il quale il divino è sinonimo dell’universo.

Nel panenteismo ci sono due tipi di sostanza, “pan” l’universo e Dio. L’universo e il divino non sono ontologicamente equivalenti. Dio è visto come l’eterna forza animatrice dell’universo. In alcune forme di panenteismo, il cosmo esiste all’interno di Dio, che a sua volta “trascende”, “pervade” o è “nel” cosmo.

Mentre il panteismo afferma che “Tutto è Dio”, il panenteismo afferma che Dio anima tutto l’universo e trascende anche l’universo. Inoltre, alcune forme indicano che l’universo è contenuto in Dio,come nel concetto giudaico di “Tzimtzum“. Gran parte del pensiero indù è fortemente caratterizzato dal panenteismo e dal panteismo.

Paul Tillich ha sostenuto tale concetto all’interno della teologia cristiana, così come lo studioso biblico liberale Marcus Borg e il teologo mistico Matthew Fox, un prete episcopale (Vedi Creation Spirituality).

Pandeismo

Pandeismo o pan-deismo (dal greco antico: πᾶν, romanizzato: pan, lett. ‘tutto’ e latino: deus che significa “dio” nel senso di deismo) è un termine che descrive credenze che incorporano o mescolano coerentemente elementi logicamente conciliabili del panteismo (che “Dio”, o una divinità creatrice metafisicamente equivalente, è identico alla Natura) e il deismo classico (che il dio-creatore che ha progettato l’universo non esiste più in uno status raggiungibile, ma può invece essere confermato solo dalla ragione). Si tratta quindi in particolare della convinzione che il creatore dell’universo sia effettivamente diventato l’universo e quindi abbia cessato di esistere come entità separata.

Attraverso questa sinergia il pandeismo pretende di rispondere alle obiezioni primarie al deismo (perché Dio dovrebbe creare e poi non interagire con l’universo?) e al panteismo (come ha avuto origine l’universo e qual è il suo scopo?).

Religioni Indiane

Caratteristiche

Il problema centrale nella filosofia (religiosa) asiatica non è il “problema corpo-mente”, ma la ricerca di un immutabile “Reale” o “Assoluto” al di là del mondo delle apparenze e dei fenomeni mutevoli, e la ricerca della liberazione da dukkha e la liberazione dal ciclo della rinascita. Nell’Induismo prevale l’ontologia della sostanza, che considera il Brahman come il reale immutabile al di là del mondo delle apparenze. Nel Buddismo, l’ontologia del processo è prevalente, che vede la realtà come vuota di un’essenza immutabile.

Caratteristico di varie religioni asiatiche è il discernimento dei livelli di verità, un’enfasi sulla comprensione intuitivo-esperienziale dell’Assoluto come jnana, bodhi e kensho, e un’enfasi su l’integrazione di questi livelli di verità e la sua comprensione.

Induismo

Vedanta

Vedanta è l’indagine e la sistematizzazione dei Veda e delle Upanishad, per armonizzare le varie e contrastanti idee che si possono trovare in quei testi. All’interno del Vedanta esistono diverse scuole:

Advaita, non dualità non qualificata, è la scuola di Adi Shankara;

Vishishtadvaita, monismo qualificato, è della scuola di Ramanuja;

Shuddhadvaita, il monismo in essenza, è la scuola di Vallabha;

Dvaitadvaita, monismo differenziale, è una scuola fondata da Nimbarka;

Achintya Bheda Abheda, una scuola di Vedanta fondata da Chaitanya Mahaprabhu che rappresenta la filosofia dell’inconcepibile unità e differenza. Può essere inteso come un’integrazione della rigorosa teologia dualista (dvaita) di Madhvacharya e del monismo qualificato (vishishtadvaita) di Ramanuja.

Advaita e Induismo

«Come il movimento di un tizzone ardente sembra avere una linea dritta o curva, così la coscienza in movimento appare essere il conoscitore ed il conosciuto.

Come il tizzone ardente quando non è in moto diviene libero dalle apparenze e dalla nascita, così la coscienza quando non è in movimento rimane libera dalle apparenze e dalla nascita.» (Māṇḍūkya Upaniṣad, IV, 47-48)

L’Advaita è forse la tradizione non-duale per eccellenza (il termine “non-dualismo” è infatti la traduzione di advaita, in sanscrito: a, alfa privativo e dvaita, “duale”), nata in India intorno all’VIII secolo dall’interpretazione del filosofo Adi Shankara dei sacri testi Vedānta. Questi sono parte dei sei sistemi filosofici induisti (detti Darshana), basati sui Veda e sulle Upaniṣad che definiscono l’ultima monade come senza forma, pura completezza e beatitudine, impersonale, senza parti né parzialità, l’ineffabile substrato metafisico di tutto ciò che esiste: il “Brahman”. È tuttavia importante notare come non tutte le interpretazioni dei Vedānta siano di tipo non-duale.

Secondo questa filosofia l’Ātman (il Sé individuale) e il Brahman (la realtà trascendente) sono indivisibili “come l’aria entro la brocca è identica e indivisibile dall’aria fuori della brocca” (Mandukya Upaniṣad).

Ma l’Induismo è monistico anche al di là del non-dualismo Advaita, arrivando nel Rig Veda ad inneggiare ad un essere-non-essere, ad un respiro privo di respiro, dal quale una forza immanente viene auto proiettata nell’esistenza cosmica. Tale pensiero monistico si estende anche ad altri sistemi spirituali come lo Yoga ed il Tantra.

Un altro tipo di monismo viene definito “monismo qualificato”, insegnato dalla scuola di Rāmānuja o Vishishtadvaita, che considera l’universo come parte di Dio o Nārāyaṇa, un tipo di panteismo, popolato da una pluralità di anime all’interno di questo “Essere supremo”. In altre parole, questo tipo di monismo o teismo monistico è un tipo di monoteismo prevalente presso la cultura Indù, (con rispetto verso la cultura dualista Dvaita, che include il concetto panteistico e monistico di un Dio personale inteso come Essere supremo, universale e onnipotente). Nel teismo monistico Dio è sia immanente che trascendente. In alcune tradizioni occidentali monoteistiche, Dio è visto solo come essere trascendente; è così assente il concetto di Divinità come essere presente in tutte le cose.

Vaisnava

Tutte le scuole Vaishnava sono panenteiste e vedono l’universo come parte di Krishna o Narayana, ma vedono una pluralità di anime e sostanze all’interno del Brahman. Il teismo monistico, che include il concetto di un dio personale come Essere Supremo, universale e onnipotente, che è sia immanente che trascendente, è prevalente anche in molte altre scuole dell’Induismo.

Tantra

Il Tantra vede il Divino sia come immanente che trascendente. Il Divino può essere trovato nel mondo concreto. Le pratiche mirano a trasformare le passioni, invece di trascenderle.

Induismo moderno

La colonizzazione dell’India da parte degli inglesi ebbe un forte impatto sulla società indù. In reazione a ciò, i principali intellettuali indù iniziarono a studiare la cultura e la filosofia occidentale, integrando diverse nozioni occidentali nell’Induismo. Questo induismo modernizzato, a sua volta, guadagnò popolarità in Occidente.

Un ruolo importante fu svolto nel 19° secolo da Swami Vivekananda nella rinascita dell’Induismo, e nella diffusione dell’Advaita Vedanta in occidente attraverso la “Ramakrishna Mission”. La sua interpretazione dell’Advaita Vedanta è stata chiamata Neo-Vedanta. Nell’Advaita, Shankara suggerisce che la meditazione e il Nirvikalpa Samadhi siano mezzi per acquisire la conoscenza della già esistente unità di Brahman e Atman, non il maggior obiettivo in sé:

“[Y]oga è un esercizio meditativo di ritiro dal particolare e di identificazione con l’universale, che conduce alla contemplazione di se stessi come la cosa più universale, vale a dire, la Coscienza. Questo approccio è diverso dallo Yoga classico della completa soppressione del pensiero“.

Vivekananda, secondo Gavin Flood, fu “una figura di grande importanza nello sviluppo di una moderna auto-comprensione induista e nella formulazione della visione occidentale dell’induismo”. Al centro della sua filosofia c’è l’idea che il divino esista in tutti gli esseri, che tutti gli esseri umani possono raggiungere l’unione con questa “divinità innata”, e che vedere questo divino come l’essenza degli altri favorirà l’amore e l’armonia sociale. Secondo Vivekananda esiste un’unità essenziale nell’induismo, che sta alla base della diversità delle sue molteplici forme. Secondo Flood, la visione dell’induismo di Vivekananda è la più comune tra gli indù di oggi. Questo monismo, secondo Flood, è alla base delle Upanishad, della teosofia nella successiva tradizione Vedanta e nel moderno neo-induismo.

Buddismo

Secondo il Canone Pāli, sia il pluralismo (nānatta) che il monismo (ekatta) sono visioni speculative. Un commentario Theravada rileva che il primo è simile o associato al nichilismo (ucchēdavāda), e il secondo è simile o associato all’eternalismo (sassatavada).

Nella scuola Madhyamaka del Buddismo Mahayana, la natura ultima del mondo è descritta come Śūnyatā o “vuoto”, che è inseparabile sia dall’apparenza interiore che esteriore, e che include tutti gli oggetti sensoriali e mentali. Questa sembra essere una posizione monista, ma le visioni del Madhyamaka – comprese varianti come il rangtong e il shentong – si asterranno dall’affermare una qualche Entità Ultima come effettivamente esistente. Invece de-costruiscono qualsiasi affermazione dettagliata o concettuale sull’esistenza ultima in quanto risulta in conseguenze assurde. Anche la visione Yogacara, una scuola minoritaria ora presente solo tra i Mahayana, rifiuta il monismo.

Livelli di Verità

All’interno del Buddismo si può trovare una ricca varietà di modelli filosofici e pedagogici. Varie scuole di Buddismo discernono livelli di verità:

-La dottrina delle Due Verità del Madhyamaka

-Le Tre Nature dello Yogacara

Funzione-Essenza, o relativo-Assoluto nel Buddismo cinese e coreano

La formula Trikaya, composta da:

Il Dharmakāya o corpo della Verità che incarna il principio stesso dell’illuminazione e non conosce limiti o confini;

Il Sambhogakāya o corpo di godimento reciproco che è un corpo di beatitudine o manifestazione di chiara luce;

Il Nirmāṇakāya o corpo creato che si manifesta nel tempo e nello spazio.

I Prajnaparamita-sutras e il Madhyamaka sottolineano la non dualità di forma e vuoto: “la forma è vuoto, il vuoto è forma“, come dice il sutra del cuore. Nel buddismo cinese ciò significava che la realtà ultima non è un regno trascendentale, ma uguale al mondo quotidiano della realtà relativa. Questa idea si adattava alla cultura cinese, che enfatizzava il mondo e la società mondani. Ma ciò non dice come l’assoluto sia presente nel mondo relativo:

Negare la dualità di samsara e nirvana, come fa la Perfezione della Saggezza, o dimostrare logicamente l’errore della concettualizzazione dicotomizzante, come fa Nagarjuna, non significa affrontare la questione della relazione tra samsara e nirvana – o, in termini più filosofici, , tra realtà fenomenica e realtà ultima […] Qual è allora il rapporto tra questi due ambiti?(Liang-Chieh 1986, pag.9)

A questa domanda viene data risposta in schemi come i Cinque Gradi di Tozan, le Immagini del Pastore del Bue e le Quattro vie della conoscenza di Hakuin.

Sikhismo

Il Sikhismo è conforme al concetto di Monismo Assoluto. La filosofia Sikh sostiene che tutto ciò che i nostri sensi comprendono è un’illusione; Dio è la realtà ultima. Le forme soggette al tempo passeranno. Soltanto la Realtà di Dio è eterna e permanente. Il pensiero è che l’Atma (anima) nasce da, ed è un riflesso di, ParamAtma (Anima Suprema), e “si fonderà nuovamente in esso”, nelle parole del quinto guru dei sikh, Guru Arjan, “proprio come l’acqua si fonde di nuovo nell’acqua“.

ਜਿਉ ਜਲ ਮਹਿ ਜਲੁ ਆਇ ਖਟਾਨਾ ॥

Jio Jal Mehi Jal Aae Khattaanaa ||

Come l’acqua va a mescolarsi con l’acqua,

ਤਿਉ ਜੋਤੀ ਸੰਗਿ ਜੋਤਿ ਸਮਾਨਾ ॥

Thio Jothee Sang Joth Samaanaa ||

La sua luce si fonde con la Luce.

Dio e l’Anima sono fondamentalmente la stessa cosa; identica allo stesso modo del Fuoco e delle sue scintille. “Atam meh Ram, Ram meh Atam” che significa “La realtà Ultima ed Eterna risiede nell’Anima e l’Anima è contenuta in Lui”. Come da un ruscello nascono milioni di onde e tuttavia le onde, fatte d’acqua, diventano di nuovo acqua; allo stesso modo tutte le anime sono scaturite dall’Essere Universale e in esso si fonderanno nuovamente.

Fedi Abramitiche

Ebraismo

Il pensiero ebraico considera Dio come separato da tutte le cose fisiche e create, e come esistente al di fuori del tempo. [per una discussione sul risultante paradosso vedi il Tzimtzum][vedi anche Teologia negativa]

Secondo Maimonide, Dio è un essere incorporeo che ha causato tutte le altre esistenze. Secondo Maimonide, riconoscere la corporeità a Dio equivale a riconoscere la complessità a Dio, il che è una contraddizione per Dio come Causa Prima e costituisce eresia. Mentre i mistici chassidici consideravano l’esistenza del mondo fisico una contraddizione con la semplicità di Dio, Maimonide non vedeva alcuna contraddizione.

Secondo il pensiero chassidico (in particolare come proposto dal fondatore di Chabad nel XVIII-XIX secolo, Shneur Zalman di Liadi), Dio è ritenuto immanente nella creazione per due ragioni interconnesse:

-Una credenza ebraica molto forte è che “[l]a forza vitale divina che porta [l’universo] all’esistenza deve essere costantemente presente… se questa forza vitale abbandonasse [l’universo] anche per un breve momento, ritornerebbe allo stato di nulla assoluto, come prima della creazione…»

-Allo stesso tempo, il giudaismo ritiene assiomatico che Dio sia un’unità assoluta e che sia perfettamente semplice, quindi, se il suo potere di sostegno è nella natura, allora anche la sua essenza è nella natura.

Gaon di Vilna fu molto contrario a questa filosofia, poiché sentiva che avrebbe portato al panteismo e all’eresia. Secondo alcuni questa è la ragione principale per il bando del Chasidismo da parte di Gaon.

Cristianesimo

Distinzione creatore-creatura

Nel cristianesimo viene sostenuto che Dio ha creato l’universo ex nihilo e non a partire dalla propria sostanza, così che il creatore non va confuso con la creazione, ma anzi la trascende. Esiste un movimento di “panenteismo cristiano”.(Vedi Antropologia biblica)

Rifiuto del dualismo radicale

In “De libero arbitrio voluntatis“, Agostino sostiene, nel contesto del problema del male, che il male non è l’opposto del bene, ma piuttosto semplicemente l’assenza del bene, qualcosa che non ha esistenza in sé. Allo stesso modo, C.S. Lewis ha descritto il male come un “parassita” nel “Mere Christianity“, poiché considerava il male come qualcosa che non può esistere senza il bene che gli fornisce l’esistenza. Lewis continuò a argomentare contro il dualismo sulla base dell’assolutismo morale e rifiutò la nozione dualistica secondo cui Dio e Satana sono opposti, sostenendo invece che Dio non ha eguali, quindi nessun opposto. Lewis considerava piuttosto Satana come l’opposto dell’arcangelo Michele. A causa di ciò, Lewis sosteneva piuttosto un tipo di dualismo più limitato. Altri teologi, come Greg Boyd, hanno argomentato in modo più profondo che gli autori biblici sostenevano un “dualismo limitato”, nel senso che Dio e Satana si impegnano in una vera battaglia, ma solo a causa del libero arbitrio dato da Dio, per la durata in cui Dio lo consente.

Theosis

Nel cattolicesimo romano e nell’ortodossia orientale, sebbene gli esseri umani non siano ontologicamente identici al Creatore, sono comunque capaci di unirsi alla sua natura divina tramite “theosis e, soprattutto, attraverso la devota ricezione della Santa Eucaristia. Questa è una unione soprannaturale, oltre e sopra a quella naturale, di cui san Giovanni della Croce dice: ”bisogna sapere che Dio dimora ed è presente sostanzialmente in ogni anima, anche in quella del più grande peccatore del mondo, e questa unione è naturale“. Juliana di Norwich, pur mantenendo la dualità ortodossa di Creatore e creatura, parla tuttavia di Dio come «vero Padre e vera Madre» di tutte le nature; quindi, li inabita sostanzialmente e quindi li preserva dall’annientamento, poiché senza questo sostegno interiore tutto cesserebbe di esistere.

Mormonismo

Anche la teologia dei Santi degli Ultimi Giorni (Mormonismo) esprime una forma di monismo dal duplice aspetto attraverso il materialismo e l’eternalismo, sostenendo che la creazione fu “ex materia” (in opposizione all’ex nihilo nel cristianesimo convenzionale), come espresso da Parley Pratt e ripreso dal fondatore del movimento Joseph Smith , senza fare distinzione tra lo spirituale e il materiale, essendo questi non solo similmente eterni, ma in definitiva due manifestazioni della stessa realtà o sostanza.

Parley Pratt implica un vitalismo abbinato all’adattamento evolutivo osservando che: “questi eterni e auto-esistenti elementi possiedono in se stessi certe proprietà o attributi intrinseci, in misura maggiore o minore; o, in altre parole, possiedono intelligenza, adattata alle loro diverse sfere“.

Il punto di vista di Parley Pratt è anche simile alla “Monadologia” di Gottfried Leibniz, secondo il quale “la realtà consiste di atomi mentali che sono centri viventi di forza“.

Brigham Young anticipa una proto-mentalità delle particelle elementari con la sua visione vitalista: “c’è vita in tutta la materia, attraverso la vasta estensione di tutte le eternità; è nella roccia, nella sabbia, nella polvere, nell’acqua, nell’aria, nel gas, e insomma in ogni descrizione e organizzazione della materia; sia essa solida, liquida o gassosa, particella che opera con particella”.

La concezione della materia della Chiesa dei santi è: “essenzialmente dinamica piuttosto che statica, se davvero non è una sorta di energia vivente, e, che è soggetta almeno al dominio dell’intelligenza“.

John A. Widstoe aveva una maggiormente vitalista, ma simile visione secondo cui: “La vita non è altro che materia in movimento; che, quindi, tutta la materia possiede un tipo di vita… La materia… [è] intelligenza… quindi tutto nell’universo è vivo“. Tuttavia, Widstoe si oppose apertamente all’affermazione della fede nel Panpsichismo.

Islam

Tawḥīd

Nella cultura islamica, il Tawhid (in arabo ﺗﻮﺣﻴﺪ‘unicità’) è il principio alla base del concetto dell’unità e unicità di Dio (Allāh).

La frase che compone il primo dei Pilastri dell’Islam, la shahāda (lā ilāha illā Allāh – non vi è divinità all’infuori di Allāh), è di fatto un’enunciazione del tawḥīd, completata poi dall’affermazione della fede nella missione profetica di Maometto affidatagli da Dio (wa Muhammad rasūl Allāh – e Muhammad è il Profeta di Allāh). La shahada è molto importante.

Nel tawḥīd è enunciata la fede che Dio sia Eterno, Unico (“senza Compagno“, “non fu generato e non ha generato“, afferma la dottrina islamica sulla scorta della Sūrat al-Ikhlāṣ, numerata come 112ª, del Corano), Creatore ex nihilo di ogni cosa che, senza di lui, non può assolutamente sopravvivere. Implicitamente afferma che Allah è l’Essere Supremo, Onnipotente, Onnisciente, Misericordioso, Giusto, Generoso.

Corano

Vincent Cornell sostiene che il Corano fornisca un’immagine monista di Dio descrivendo la realtà come un Tutto unificato, dove Dio è un unico concetto che descrive o a cui ascrivere tutte le cose esistenti. Ma sostiene che le scritture religiose abramitiche, in particolare il Corano, vedono la Creazione e Dio come due esistenze separate. Viene spiegato che tutto è stato creato da Dio ed è sotto il suo controllo, ma allo stesso tempo distingue la creazione come dipendente dall’esistenza di Dio.

Sufismo

Alcuni mistici Sufi sostengono il monismo. Uno dei più notevoli fu il poeta persiano del XIII secolo Rumi (1207–73) che nel suo poema didattico “Masnavi” sposò il monismo. Rumi dice nel Masnavi: “Nel negozio per l’Unità (wahdat); tutto ciò che vedi lì, tranne l’Uno, è un idolo“.

Altri mistici sufi, tuttavia, come Ahmad Sirhindi, sostenevano il monoteismo dualistico (la separazione di Dio e dell’Universo).

Il più influente dei monisti islamici fu il filosofo sufi Ibn Arabi (1165–1240). Sviluppò il concetto di “unità dell’essere” (arabo: waḥdat al-wujūd), che alcuni sostengono sia una filosofia monistica. Nato ad “al-Andalus”, ha avuto un enorme impatto sul mondo musulmano, dove fu incoronato “il grande Maestro”. Nei secoli successivi alla sua morte, le sue idee divennero sempre più controverse. Ahmad Sirhindi criticò la comprensione monistica della “unità dell’essere“, sostenendo la dualisticamente compatibile “unità della testimonianza” (arabo: wahdat ash-shuhud), che mantiene la separazione tra creatore e creazione. Successivamente, Shah Waliullah Dehlawi conciliò le due idee sostenendo che le loro differenze sono differenze semantiche, sostenendo che l’esistenza universale (che è diversa nella creazione da quella del creatore) e l’essenza divina sono diverse e che l’esistenza universale emana (in senso non platonico) dall’essenza divina e che la relazione tra loro è simile alla relazione che sussiste tra il numero quattro e un numero che è pari.

Sciismo

La dottrina Sciita del “waḥdat al-wujūd” gode di un notevole seguito nella filosofia razionalista dello sciismo Duodecimano, il cui sostenitore moderno più famoso è Ruhollah Khomeini.

Fede baháʼí

Sebbene gli insegnamenti della fede baháʼí (Link) abbiano una forte enfasi sulle questioni sociali ed etiche, esistono numerosi testi fondamentali che sono stati descritti come mistici. Alcuni di questi includono affermazioni di natura monista (ad esempio”Le sette valli” e le “parole celate“). Le differenze tra le visioni dualista e monista sono riconciliate dall’insegnamento secondo cui questi punti di vista opposti sono causati da differenze negli osservatori stessi, non in ciò che viene osservato. Questa non è una posizione di “verità superiore/verità inferiore”. Dio è inconoscibile. Per l’uomo è impossibile acquisire una qualsiasi conoscenza diretta di Dio o l’Assoluto, perché qualsiasi conoscenza che si abbia è relativa.

Nondualismo

Il Nondualismo è distinto dal monismo. Sebbene entrambe le filosofie sfidino la comprensione convenzionale del dualismo, lo affrontano in modo diverso. Il nondualismo enfatizza l’unità nella diversità. Al contrario, il monismo presuppone che la realtà sia in definitiva fondata su una sostanza o principio singolare, riducendo la molteplicità dell’esistenza a un fondamento singolare. La distinzione sta nel loro approccio al rapporto tra “i molti e l’uno”.

Mentre tradizioni come l’Advaita Vedānta dell’Induismo e lo Dzogchen del Buddismo sono classificate come nondualismo assoluto e sono generalmente considerate distinte dal monismo, alcune forme di nondualismo qualificato sono anche classificate come monismo non-duale. Queste includono Vishishtadvaita Vedanta, Achintya Bheda Abheda, Kashmir Shaivism, e Neo-Advaita.

Atharva Veda

Una pagina dell’Atharva Veda Samhita, la parte del suo testo più antica.

L’Atharvaveda o Atharva Veda (sanscrito: अथर्ववेद, “Atharvaveda”, da अथर्वन् “atharvāṇas” e वेद, “veda” che significa“conoscenza”) o Atharvana Veda (sanscrito: अथर्वण वेद, Atharvaṇaveda) è il quarto Veda ed è un’aggiunta tardiva alle scritture vediche dell’Induismo. L’Atharvaveda fu probabilmente compilato come Veda contemporaneamente al Samaveda e al Yajurveda, intorno al 1200 a.C. – 1000 a.C.

L’Atharvaveda è una raccolta di 20 libri, per un totale di 730 inni di circa 6.000 strofe. Il testo è, affermano Patrick Olivelle e altri studiosi, una raccolta storica di credenze e rituali che affrontano questioni pratiche della vita quotidiana della società vedica, e non è una raccolta liturgica in stile Yajurveda. L’Atharvaveda è talvolta definito il “Veda delle formule magiche”, un epiteto dichiarato errato da molti studiosi. Lo strato Samhita del testo rappresenta probabilmente una tradizione in via di sviluppo del II millennio a.C. di riti magico-religiosi per affrontare l’ansietà derivata dalla superstizione, incantesimi per rimuovere malattie ritenute causate da demoni, pozioni naturali e derivate da erbe come Medicina. In contrasto con la “religione ieratica” degli altri tre Veda, si dice che l’Atharvaveda rappresenti una “religione popolare”, che incorpora non solo formule magiche, ma anche rituali quotidiani di iniziazione all’apprendimento (upanayana), di matrimonio e di funerali. Nell’Atharvaveda sono inclusi anche rituali reali e i doveri dei sacerdoti di corte. Jan Gonda avverte che sarebbe errato etichettare l’Atharvaveda Samhita come una mera compilazione di formule magiche, stregoneria e magia. Sebbene tali versi siano effettivamente presenti nello strato Samhita, una parte significativa del testo Samhita sono inni per rituali domestici senza magia o incantesimi, ed alcuni versi sono speculazioni teosofiche come: “Tutti gli dei vedici sono Uno“. Insieme alla parte di testo Samhita, l’Atharvaveda include un testo Brahmana ed una parte finale del testo che copre speculazioni filosofiche. L’ultima parte del testo Atharvaveda comprende tre Upanishad primarie, influenti su varie scuole di filosofia indù. La Mundaka Upanishad, la Mandukya Upanishad e la Prashna Upanishad.

Il Caraṇavyuha, un testo sanscrito di epoca successiva, afferma che l’Atharvaveda aveva nove shakha, o scuole: paippalāda, stauda, mauda, śaunakīya, jājala, jalada, brahmavada, devadarśa e cāraṇavaidyā. Di queste, sono sopravvissute solo la recensione di Shaunakiya e i manoscritti della recensione di Paippalāda. Si credeva che manoscritti affidabili dell’edizione Paippalāda fossero andati perduti, ma una versione ben conservata fu scoperta in una raccolta di manoscritti di foglie di palma nell’Odisha nel 1957. L’edizione Paippalāda è la più antica. Le due recensioni differiscono per la loro organizzazione, oltre che per i contenuti. Ad esempio, la recensione del Libro 10 di Paippalada è più dettagliata e attentamente compilata senza commettere un solo errore, è più sviluppata e spicca nel descrivere il monismo, il concetto di “Unità del Brahman, di tutte le forme di vita e del mondo“.

Upanishad

L’Atharvaveda contiene tre Upanishad primarie incorporate al suo interno.

Mundaka Upanishad

La Mundaka Upanishad è una Upanishad in stile poetico con 64 versi, scritti sotto forma di mantra. Tuttavia questi mantra non vengono utilizzati nei rituali; servono piuttosto per l’insegnamento e la meditazione sulla conoscenza spirituale. Nella letteratura e nei commenti indiani dell’epoca antica e medievale, la Mundaka Upanishad è indicata come una delle Mantra Upanishad.

La Mundaka Upanishad contiene tre Mundakam (parti), ciascuna con due sezioni. Il primo Mundakam, afferma Roer, definisce le scienze della “Conoscenza Superiore” e della “Conoscenza Inferiore”, e poi asserisce che gli atti di oblazione e i doni pii sono insensati e non fanno nulla per ridurre l’infelicità nella vita attuale o in quella successiva, piuttosto è la conoscenza che libera le persone. Il secondo Mundakam descrive la natura del Brahman, l’Atman (Sé, Anima) e il percorso per conoscere il Brahman. Il terzo Mundakam continua la discussione e poi afferma che lo stato di conoscenza del Brahman è uno stato di libertà, impavidità, liberazione e beatitudine. La Mundaka Upanishad è uno dei testi che discutono la teoria del panteismo nelle scritture indù. Il testo, come altre Upanishad, discute anche di etica.

Primo Mundakam: La conoscenza superiore contro la conoscenza inferiore

Nel verso 1.1.3 della Mundaka Upanishad, Saunaka (un Grihastha) si avvicina ad Angiras (un insegnante) e chiede:

कस्मिन्नु भगवो विज्ञाते सर्वमिदं विज्ञातं भव तीति ॥ ३ ॥

Signore, cos’è ciò per cui, se conosciuto, tutto il resto diventa noto?

Mundaka Upanishad, 1.1.3 . (Tradotto da Max Müller)

Angiras rispose, afferma il versetto 1.1.4 della Mundaka Upanishad, classificando tutta la conoscenza in due: “conoscenza inferiore” (apara vidya) e “conoscenza superiore” (para vidya). La conoscenza superiore è il mezzo attraverso il quale si può comprendere l’imperituro (Aksara, Brahman). È la conoscenza del Brahman “Colui che non può essere visto, afferrato, non ha origine, varna, occhi, orecchie, mani o piedi; è l’eterno, onnipervadente, infinitesimale, imperituro, indistruttibile“.

Nel verso 1.1.7, l’Upanishad utilizza l’analogia di un ragno per illustrare la relazione tra gli aspetti manifesti e non manifesti dell’esistenza e per riconoscere l’imperituro come fonte ed essenza di tutto ciò che è:

Proprio come un ragno tira e trattiene (i fili della tela)

come le piante germogliano dalla terra, come i capelli crescono sul capo e sul corpo di un uomo che vive,

allo stesso modo tutto ciò che è qui nasce dall’incorruttibile.”

Mundaka Upanishad, 1.1.7 .

Secondo Mundakam: Brahman è il Sé interiore di tutte le cose.

La Mundaka Upanishad, nella prima sezione del secondo Mundakam, definisce ed espone la dottrina dell’Atman-Brahman. Afferma che proprio come un fuoco ardente crea mille scintille e fiamme guizzanti nella sua stessa forma, gli esseri provengono dal Brahman nella sua forma. Il Brahman è imperituro, senza corpo, è sia fuori che dentro, mai prodotto, senza mente, senza respiro, eppure da esso emerge il Sé interiore di tutte le cose. Da Brahman nasce il respiro, la mente, gli organi di senso, lo spazio, l’aria, la luce, l’acqua, la terra, tutto. La sezione espande questa idea come segue:

Il cielo è la sua testa, i suoi occhi il sole e la luna,

i quarti le sue orecchie, il suo discorso rivelato dai Veda,

il vento il suo respiro, il suo cuore l’universo,

dai suoi piedi venne la terra, egli è davvero il Sé interiore di tutte le cose.

Da lui viene il fuoco, essendo il sole il combustibile,

dal soma viene la pioggia, dalla terra le erbe,

il maschio versa il seme nella femmina,

così molti esseri sono generati dal Purusha.

Da lui provengono i versi Rig, i canti Saman, le formule Yajus, i riti Diksha,

tutti i sacrifici, tutte le cerimonie e tutti i doni,

anche l’anno, i sacrificatori, i mondi,

dove la luna splende luminosa, così come il sole.

Da lui nascono anche molteplici dei,

gli esseri celesti, gli uomini, il bestiame, gli uccelli,

il respiro, il riso, il cereale, la meditazione,

lo Shraddha (fede), il Satya (verità), il Brahmacharya e il Vidhi (legge)

Mundaka Upanishad, 2.1.4 – 2.1.7 .

La sezione prosegue affermando che Brahman è la causa delle montagne, dei fiumi di ogni tipo, delle piante, delle erbe e di tutti gli esseri viventi, ed è “il Sé interiore che dimora in tutti gli esseri”. Brahman è tutto, l’empirico e l’astratto, l’oggetto, il soggetto e l’azione (karma).

Questa è una forma di teoria del panteismo, che continua nella seconda sezione del secondo Mundakam delle Upanishad.

Secondo Mundakam: Om, Sé e Brahman

La Mundaka Upanishad, nel secondo Mundakam, insegna che la vera saggezza deriva dalla comprensione del sé e dalla realizzazione della propria unità con il Brahman. La vera saggezza si ottiene comprendendo se stessi. Afferma che Brahman è oltre la percezione sensoriale, è conosciuto attraverso l’intelletto purificato dalla conoscenza spirituale e dalla meditazione, non dalla semplice lettura dei Veda. Tale conoscenza, unita alla rinuncia e alla meditazione, conduce alla liberazione. Adi Shankara, nella sua recensione della Mundaka Upanishad, chiama la meditazione “Yoga“.

Nel verso 2.2.2, la Mundaka Upanishad afferma che l’Atman-Brahman è il reale. Nel verso 2.2.3 offre un ausilio al processo di meditazione, denominato Om (Aum). Il verso poetico è strutturato come una conversazione insegnante-allievo, in cui l’insegnante parla all’allievo come ad un amico, nel modo seguente:

Ciò che è fiammeggiante, che è più sottile del sottile,

su cui sono posti i mondi, e i loro abitanti –

Questo è l’indistruttibile Brahman.

È vita, è parola, è mente. Questo è il vero. È immortale.

È un bersaglio da penetrare. Penetralo, amico mio.

Prendendo come arco la grande arma delle Upanishad,

si dovrebbe porre su di esso una freccia affilata dalla meditazione,

Allungandolo con un pensiero rivolto all’essenza di Quello,

Penetra quell’Imperituro come (penetri) il bersaglio, amico mio.

Om è l’arco, la freccia è il Sé, Brahman il bersaglio,

dall’uomo non distratto esso è penetrato,

Si dovrebbe arrivare ad essere in Esso,

come la freccia diviene uno con il bersaglio

Mundaka Upanishad, 2.2.2 – 2.2.4 .

L’Upanishad, nel verso 2.2.8, afferma che l’uomo con la conoscenza del Sé e che è divenuto uno con Brahman, è liberato, non è influenzato dal karman, è libero dal dolore e dai dubbi su se stesso, è uno che vive nella beatitudine.

Terzo Mundakam: Raggiungere la più alta Unità in tutti gli esseri

Il terzo Mundakam inizia con l’allegoria dei due uccelli, come segue:

Due uccelli, amici inseparabili, si aggrappano allo stesso albero.

Uno di loro mangia il frutto dolce, l’altro guarda senza mangiare.

Sullo stesso albero l’uomo siede addolorato, annegato (nel dolore), disorientato, sentendosi impotente,

Ma quando vede l’altro Isa (signore) contento, conosce la sua gloria, il suo dolore svanisce.

Quando il veggente vede il geniale creatore e Isa come il Purusha che ha la sua fonte nel Brahman,

allora è saggio, si scrolla di dosso il bene e il male, immacolato raggiunge la più alta unità

Mundaka Upanishad, 3.1.1 – 3.1.2 .

Mathur afferma che questa metafora degli uccelli seduti sullo stesso albero si riferisce ad uno che è il sé empirico e all’altro come al sé eterno e trascendentale. È la conoscenza del sé eterno, dell’Atman-Brahman e della sua Unità con tutti gli altri, che libera. L’Upanishad afferma nel verso 3.1.4 che il Sé è la vita di tutte le cose, e c’è gioia in questo Sé (Ātman).

Questi primi versi del terzo Mundakam sono stati variamente interpretati. Per le scuole teiste dell’Induismo, l’Isa è Dio. Per le scuole non teiste dell’Induismo, l’Isa è il Sé. Il teosofo Charles Johnston spiega la visione teistica, non solo in termini di scuole di induismo, ma come un riflesso del teismo che si trova nel cristianesimo ed in altre scritture in tutto il mondo. Questi versi, afferma Johnston, descrivono il dolore che affoga coloro che non sono consapevoli o si sentono separati dal loro Signore. Il discepolo, quando comprende fermamente la sua individualità, raggiunge il significato oltre l’individualità, scopre il Signore, scopre la meravigliosa e complessa vita dell’Eterno Dio, afferma Johnston, e poi egli è sulla via della “luce delle luci”. Johnston cita Isaia e l’Apocalisse, così: “Il Signore sarà per te una luce eterna, e il tuo Dio la tua gloria“.

Il commento di Adi Shankara offre, come esempio, un’interpretazione alternativa. Shankara spiega la visione non dualistica come segue: “Attraverso la meditazione e i diversi percorsi dello Yoga, l’uomo trova l’altro, non soggetto alla schiavitù del Samsara, non influenzato dal dolore, dall’ignoranza, dal decadimento e dalla morte. Pensa così: Io sono l’atman , simile in tutto, insediato in ogni essere vivente e non l’altro; questo universo è mio, il signore di tutto; allora egli diventa assolto da ogni dolore, liberato interamente dall’oceano del dolore, cioè il suo scopo è raggiunto”. Questo è lo stato, afferma Shankara, libero dal dolore, in cui l’uomo raggiunge la Suprema Uguaglianza che è l’identità con il Brahman. L’Uguaglianza in questioni che coinvolgono la dualità è certamente inferiore a questa, afferma Shankara.

Māṇḍūkya Upaniṣad

La Māṇḍūkya Upaniṣad è una Upaniṣad appartenente all’Atharvaveda. Il nome deriverebbe dal fatto di essere stata rivelata dal dio Varuṇa sotto forma di rana (maṇḍūka).

Generalità

Sebbene molto breve, questa Upaniṣad presenta una delle teorie principali della filosofia indiana, la teoria degli stati molteplici dell’essere, stati che sono sia del Brahman, l’Assoluto, che dell’essere umano, e che trovano la loro simbolizzazione nel praṇava (o oṃkāra), ossia il mantra Oṃ.

Tradizionalmente si considera facente parte della Upaniṣad anche una parte del commento (il primo capitolo) che il filosofo indiano Gauḍapāda (VIII secolo d.C.) scrisse sull’opera, la Gauḍapādakārikā, per cui questo corpo unico risulta costituito dai 12 sūtra della Māṇḍūkya Upaniṣad propriamente detta, più 29 kārikā di Gauḍapāda. L’opera è così anche nota col nome di Māṇḍūkyakārikā.

Suddivisione e contenuti

La Māṇḍūkya Upaniṣad è usualmente suddivisa in quattro parti:

parte I: sūtra 1-6 (kārikā 1-9), ove si parla dei primi tre stati del Brahman

parte II: sūtra 7 (kārikā 10-18), ove si parla del quarto stato

parte III: sūtra 8-11 (kārikā 19-23), ove si parla dell’oṃkāra

parte IV: sūtra 12 (kārikā 24-29), ove si torna sul quarto stato in relazione all’ātman.

Alcune edizioni non prevedono la suddivisione in parti: in queste si ha soltanto l’indicazione del sūtra (da 1 a 12), e della kārikā (da 1 a 29).

I Temi

I quattro stati dell’essere

«Om. Om è tutto questo. Di ciò [si dà ora] una chiara spiegazione: [ciò] che è il passato, il presente e il futuro è soltanto l’oṁkāra. E ciò che oltrepassa il triplice tempo è ancora la sillaba Om.» (Māṇḍūkya Upaniṣad I-1, traduzione di Raphael, 2010, Op. cit.)

Il divenire, con la successione temporale passato-presente-futuro, è rappresentato dalla sillaba Oṃ, ma anche ciò che trascende il divenire è ancora Oṃ. Come questo mantra sillabico possa contemporaneamente rappresentare l’esistente e l’essere, verrà spiegato nella III parte. Di seguito la upaniṣad sancisce invece l’identità Brahman-ātman: «Invero, tutto ciò è Brahman. Questo ātman è Brahman e l’ātman ha quattro piedi-quarti.» (Māṇḍūkya Upaniṣad I-2, traduzione di Rapahel, 2010, Op. cit.)

La upaniṣad prosegue quindi spiegando che nell’individuo questo ātman si presenta concretizzandosi in quattro parti (catuṣpāt, “quattro piedi”), rappresentando nel contempo, i livelli della gnosi. Esse sono:

Vaiśvānara: la cui sede si trova nello stato di veglia (jāgarita-sthāna: in cui si ha conoscenza degli oggetti esterni)

Taijasa: la cui sede si trova nello stato di sonno con sogni (svapna (“sogno”): in cui si ha conoscenza degli oggetti interni)

Prājña: la cui sede si trova nello stato di sonno profondo (suṣpita: in cui la conoscenza è sperimentata come beatitudine)

Turīya: al di fuori di ogni sede, perché totale trascendenza (simbolo, sintesi e superamento dei tre stati), il quarto stato [cathurta (“quarto”), (“quarto” o anche “che consiste di quattro parti”): conoscenza-non conoscenza].

Più che stati dell’individuo, questi sono stati, e stadi, della sua coscienza: e mentre passando dal primo all’ultimo la consapevolezza del mondo fenomenico diminuisce, l’ātman prende coscienza di sé come Assoluto.

La discesa del Brahman

I quattro stati del singolo sono, come lascia intuire il secondo sūtra, anche stati del Brahman, sussistendo l’identità brahman-ātman: «Il brahman, uscendo dalla sua assolutezza per una sorta di gioco (māyā), si attua estrovertendosi in quattro diversi livelli macrocosmici: l’essere come causa […], il Verbo […], le energie formatrici […], il mondo materiale.» (Pio Filippani-Ronconi, 2007, Op. cit.)

Va osservato che la upaniṣad non spiega né perché né come ciò avvenga, né tanto meno māyā è termine che compaia nei sūtra. È Gauḍapāda, il cui commento è ben posteriore alla stesura della upaniṣad, che fornisce l’interpretazione in questi termini, utilizzando anche altri vocaboli che sono tipici del Advaita Vedānta, del quale fu un precursore, nonché del Sāṃkhya e dello Yoga: «L’origine concerne tutte le entità essenziali: questo è indubbio. Il prāṇa genera tutto, il Puruṣa [irradia] separatamente i raggi di coscienza (jīva).» (Gauḍapādakārikā, I-6, traduzione di Raphael, 2010, Op. cit.)

Dunque l’individuo, perché possa tornare al brahman, deve percorrere in senso inverso gli stadi coi quali il brahman stesso si è concretizzato. Così lo studioso Raphael: «Il movimento crea le forme ai vari livelli esistenziali (Brahmā) e lo stesso movimento lo riporta allo stato indifferenziato (Śiva).» (Raphael, 2010, Op. cit.)

Il quarto stato

L’ultimo stato è quello nel quale cessa ogni dualità, per cui di esso non si può dire né che è conoscenza né che è non-conoscenza: il quarto stato è uno stato indifferenziato nel quale il mutare tipico del mondo esperibile trova finalmente pace; è al di là del tempo e dello spazio; è ātman; è brahman nirguṇa (il brahman senza attributi, senza qualità), è “calma assoluta” (śiva); il solo che abbia realtà, che sia senza agire.

Oṃ

La Māṇḍūkya Upaniṣad propone un metodo per accedere al quarto stato: la recitazione consapevole del mantra Oṃ.

Questo Oṃ può essere inteso come composto (“con misure”, mātrā: vedi il sūtra III-8), oppure non composto (“senza misura”, amātrā: vedi l’ultimo sūtra, il IV-12). Le misure corrispondono alle tre lettere “A”, “U”, “M”, la cui corretta pronuncia dà come suono l’Oṃ. Questo suono, inteso come unico, monosillabico, senza parti, non misurabile, è il quarto stato. E così Gauḍapāda commenta l’ultimo sūtra: «Colui il quale riconosca la lettera oṃ come senza parti e allo stesso tempo pieno di parti, costui è veramente un saggio, non una persona qualunque.» (Gauḍapādakārikā, IV-29, traduzione di Filippani Ronconi, 2007, Op. cit.)

Le tre lettere sono simboli sonori dei primi tre stati, come spiegano i sūtra III-8:11, per cui si ha la seguente corrispondenza:

lettera A: stato di veglia

lettera U: stato di sonno con sogni

lettera M: stato di sonno profondo

Suono Oṃ: quarto stato

Testo completo del Atharvaveda in inglese (Link).

DEISMOIl Deismo è la posizione filosofica e la teologia razionalistica che generalmente rifiuta la Rivelazione come fonte della conoscenza divina e afferma che la ragione empirica e l’osservazione del mondo naturale sono esclusivamente logiche, affidabili e sufficienti per determinare l’esistenza di un Essere Supremo come creatore dell’universo. In parole povere, il deismo è la fede nell’esistenza di Dio (spesso, ma non necessariamente, un Dio che non interviene nell’universo dopo averlo creato), basata esclusivamente sul pensiero razionale senza alcun affidamento sulle religioni rivelate o sulle autorità religiose. Il deismo enfatizza il concetto di “teologia naturale”, cioè l’esistenza di Dio è rivelata attraverso la natura.

A partire dal XVII secolo e durante l’Illuminismo, soprattutto nell’Inghilterra, in Francia e nel Nord America del XVIII secolo, vari filosofi e teologi occidentali formularono un rifiuto critico dei numerosi testi religiosi appartenenti alle numerose religioni organizzate, e iniziarono fare appello solo alle verità che sentivano potessero essere stabilite dalla ragione come fonte esclusiva della conoscenza divina. Tali filosofi e teologi erano chiamati “Deisti”, e la posizione filosofico/teologica che sostenevano è chiamata “Deismo”.

Kant nella “Critica della ragion pura diede una definizione dei due termini di deismo e teismo che precedentemente erano sinonimi (come si nota nel “Dizionario filosofico” del deista Voltaire, “nell’Emilio” di Rousseau e ne “Il buon senso dell’ateismo” di d’Holbach); scrive Kant: «Colui che ammette solo una teologia trascendentale vien detto deista, e teista invece colui che ammette anche una teologia naturale. Il primo concede che noi possiamo conoscere, con la nostra pura ragione, l’esistenza di un essere originario, ma ritiene che il concetto che ne abbiamo sia puramente trascendentale: che sia cioè soltanto di un essere, la cui realtà è totale, ma non ulteriormente determinabile. Il secondo sostiene che la ragione è in grado di determinare ulteriormente tale suo oggetto in base all’analogia con la natura: e cioè di determinarlo come un essere, che in forza di intelletto e di libertà contiene in sé il principio originario di tutte le altre cose».

Il deismo come movimento filosofico e intellettuale distinto declinò verso la fine del XVIII secolo ma ebbe una rinascita all’inizio del XIX secolo. Alcuni dei suoi principi continuarono come parte di altri movimenti intellettuali e spirituali, come l’Unitarianismo, e il deismo continua ad avere sostenitori a tutt’oggi, anche con moderne varianti come il deismo cristiano e il pandeismo. Approfondimento (Wikipedia)

Lista di deisti

Questo è un elenco parziale di persone che sono state classificate come deisti, la fede in una divinità basata solo sulla religione naturale o la fede nelle verità religiose scoperte dalle persone attraverso un processo di ragionamento, indipendente da qualsiasi rivelazione attraverso le scritture o i profeti. Sono stati selezionati per la loro influenza sul deismo o per la loro notabilità in altre aree. (Lista di deisti)

VITALISMO

Il Vitalismo è una corrente di pensiero che esalta la vita intesa principalmente come forza vitale energetica e fenomeno spirituale, al di là del suo aspetto biologico materiale. Il vitalismo ritiene che i fenomeni della vita, costituiti da una “forza” particolare, non siano riconducibili interamente a fenomeni chimici, ed in particolare che vi è una netta demarcazione tra l’organico e l’inorganico, che la vita sulla terra ha avuto un’origine divina e non solo da un’evoluzione risalente a circa 3800 milioni di anni fa, come sostengono i biologi contemporanei. Il vitalismo invoca un principio vitale, quell’elemento viene spesso definito “scintilla vitale”, “energia”, “Slancio vitale ” (termine coniato dal vitalista Henri Bergson), “forza vitale” o “vis vitalis”, che alcuni equiparano all’anima.

Pur con radici antiche, il vitalismo si è sviluppato come sistema teorico tra la metà del Settecento e la metà dell’Ottocento. Si tratta di una concezione ereditata in gran parte dal neoplatonismo e dalla filosofia rinascimentale, secondo cui le idee platoniche, oltre a trascendere il mondo, sono anche immanenti alla natura, diventando la ragione costitutiva dei singoli organismi e di tutto ciò che esiste. Il cosmo, in quest’ottica, risulta animato da un principio intelligente, veicolato in esso da una comune e universale Anima del mondo. Se Leibniz proseguì sulla stessa lunghezza d’onda, attribuendo vita e capacità di pensiero anche alla materia inerte, schierandosi così contro il meccanicismo di Cartesio e degli empiristi, Schelling vedeva invece nel vitalismo una concezione irrazionale e perciò da scartare, in quanto affine al noumeno kantiano, preferendo piuttosto parlare di evoluzionismo finalistico: questo era da lui concepito agli antipodi sia del vitalismo, ma anche del determinismo meccanico, che è incapace di cogliere la profonda unità che pervade la natura, riducendola ad un assemblaggio di singole parti.

Filosofie mediche

Il Vitalismo ha una lunga storia nelle filosofie mediche: molte pratiche di guarigione tradizionali postulavano che la malattia derivasse da uno squilibrio nelle forze vitali. Un esempio di una concezione simile in Africa è il concetto yoruba di “ase”. Nella tradizione europea fondata da Ippocrate, queste forze vitali erano associate ai quattro temperamenti e umori. Molteplici tradizioni asiatiche postulano uno squilibrio o un blocco del “qi” o del “prana”. Tra le tradizioni non territorializzate come le religioni e le arti, forme di vitalismo continuano ad esistere come posizioni filosofiche o come principi commemorativi.

Le terapie di medicina complementare e alternativa includono terapie energetiche, associate al vitalismo, in particolare le terapie del biocampo come il tocco terapeutico, il Reiki, il qi esterno, la guarigione dei chakra e la terapia SHEN. In queste terapie il campo dienergia sottile” di un paziente viene manipolato da un professionista. Si ritiene che l’energia sottile esista oltre l’energia elettromagnetica prodotta dal cuore e dal cervello. Beverly Rubik descrive il biocampo come un “campo EM complesso, dinamico, estremamente debole all’interno e attorno al corpo umano…“.

Il fondatore dell’omeopatia, Samuel Hahnemann, promosse una visione immateriale e vitalistica della malattia: “…sono esclusivamente disturbi spirituali (dinamici) del potere spirituale (il principio vitale) che anima il corpo umano“. La visione della malattia come disturbo dinamico della forza vitale dinamica e immateriale, viene insegnata in molte scuole omeopatiche e costituisce un principio fondamentale per molti omeopati praticanti contemporanei.

Secondo il paleontologo, teologo e filosofo gesuita Teilhard de Chardin, che studiando la storia dell’evoluzione della Terra elaborò la cosiddetta legge di complessità e coscienza, esiste all’interno della materia una tendenza a diventare maggiormente complessa e al tempo stesso ad accrescere una propria coscienza, passando dallo stato inanimato a quello via via più evoluto. La coscienza sarebbe dunque il fine nascosto a cui tendono le leggi della natura, e potrebbe essere in grado di spiegarle. Il biologo e filosofo Hans Driesch ricorse al termine aristotelicoentelechia per designare questa forza vitale in grado di strutturare la materia organica secondo leggi immateriali.

Legge di complessità e coscienza

La Legge di Complessità e Coscienza è la tendenza che, secondo il pensiero di Pierre Teilhard de Chardin, esiste all’interno della materia a diventare maggiormente complessa e allo stesso tempo ad accrescere la coscienza.

La legge fu dapprima formulata dal gesuita e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin. Teilhard sostiene che la tendenza della materia a rendersi sempre più complessa si può osservare nella storia dell’evoluzione della Terra. La materia diventa più complessa passando dallo stato inanimato, alla vita delle piante, alla vita degli animali, alla vita dell’uomo. Si potrebbe anche dire dalla geosfera, alla biosfera, alla noosfera della quale fanno parte gli esseri umani in quanto sono dotati di coscienza in grado di riflettere su sé stessa. Al procedere dell’evoluzione attraverso la geosfera, la biosfera e la noosfera, la materia aumenta in modo continuo sia la complessità che la coscienza.

Per Teilhard de Chardin, la legge di complessità e coscienza si estrinseca anche attualmente nella forma della socializzazione dell’umanità. La superficie chiusa e circolare della Terra contribuisce ad aumentare la compressione (socializzazione) dell’umanità. A mano a mano che gli esseri umani accrescono la vicinanza e il contatto fra di loro, i loro modi di interazione diventano progressivamente più complessi in forma di reti sociali meglio organizzate in grado di contribuire ad un aumento complessivo della coscienza, ovvero della noosfera. Teilhard de Chardin immagina anche una soglia critica, che chiama Punto Omega, che costituisce il punto più alto di complessità (socializzazione), e quindi di coscienza, che l’umanità può raggiungere. A questo punto la coscienza travalica lo spazio e il tempo e si colloca su un altro e più elevato piano dell’esistenza dal quale non può più tornare indietro.

«Più un essere è complesso, in base alla nostra Scala di Complessità, più esso è centrato su se stesso e per questo diventa più consapevole. In altre parole, più elevato è il grado di complessità in un essere vivente, maggiore è la sua coscienza; e viceversa. Le due proprietà variano in parallelo e in modo simultaneo. Se vogliamo rappresentarle in forma di diagramma, esse sono equivalenti e intercambiabili». (Pierre Teilhard de Chardin “The Future of Man”)

PANPSICHISMO

Il Panpsichismo o pampsichismo (dal Greco pan, “tutto”; psychē, “anima”) è un concetto appartenente all’ambito filosofico, secondo il quale tutti gli enti, viventi e non viventi, posseggono delle capacità psichiche, come ad esempio la capacità di pensare in modo cosciente. Il termine panpsichismo deriva dal greco “pan” (πᾶν: “tutto”) e “psiche” (ψυχή: “anima, mente”). “Psiche” deriva dalla parola greca ψύχω (psukhō, “io soffio”) e può significare vita, anima, mente, spirito, cuore o “soffio vitale”. Hanno compreso concetti panpsichici nelle loro dottrine Talete, Platone, Telesio, Campanella, Giordano Bruno, Patrizi, Leibniz e Maupertuis.

Storia

Il panpsichismo è concezione tipica in particolare della filosofia rinascimentale, influenzata dal neoplatonismo, secondo cui le idee platoniche, oltre a trascendere il mondo, sono anche immanenti alla natura, diventando la ragione costitutiva dei singoli organismi e di tutto ciò che esiste. Il cosmo risulta così animato da un principio intelligente, veicolato in esso da una comune e universale Anima del mondo.

Dopo che l’imperatore Giustiniano chiuse l’Accademia di Platone nel 529 d.C., il neoplatonismo declinò. Sebbene ci fossero teologi medievali, come Giovanni Scoto Eriugena, che azzardarono quello che potrebbe essere chiamato panpsichismo, esso non fu una tensione dominante nella teologia filosofica. Ma nel Rinascimento italiano, godette di una sorta di rinascita nel pensiero di figure come Gerolamo Cardano, Bernardino Telesio, Francesco Patrizi, Giordano Bruno, e Tommaso Campanella. Cardano sostenne l’idea che “l’anima” fosse una parte fondamentale del mondo e Patrizi introdusse il termine panpsichismo nel vocabolario filosofico. Secondo Bruno «Non c’è nulla che non possieda un’anima e che non abbia un principio vitale». Idee platoniche che ricordano “l’anima mundi” (Anima del mondo) riemersero anche nel lavoro di pensatori esoterici come Paracelso, Robert Fludd, e Cornelius Agrippa.

Nel XVII secolo vi furono due razionalisti, Baruch Spinoza e Gottfried Leibniz, che possono essere definiti panpsichisti. Nel monismo di Spinoza, l’unica sostanza infinita ed eterna è “Dio, o Natura” (Deus sive Natura), che ha gli aspetti di mente (pensiero) e materia (estensione). Leibniz prosegui nell’ottica neoplatonica, attribuendo capacità di pensiero alla materia. Egli concepì tutto l’universo come popolato da centri di energia o monadi, che sono dotate ognuna di proprie rappresentazioni personali, anche se spesso inconsce. Ogni monade è un’entelechia impermeabile e chiusa in se stessa, ma le sue rappresentazioni trovano corrispondenza con quelle altrui perché sono tutte coordinate da Dio, come tanti orologi sincronizzati tra loro, secondo un’armonia prestabilita. Le varie percezioni di ogni singola monade si combinano così fino a formare un quadro complessivo e unitario che è l’appercezione divina.

Leibniz si proponeva di correggere la concezione di Cartesio, che aveva postulato una rigida separazione tra res cogitans e res extensa, in base alla quale si avrebbe da una parte il pensiero (o la coscienza), e dall’altra la materia inerte, concepita in forma meccanica. Postulare due sostanze è per Leibniz una visione irrazionale, per rimediare alla quale si deve necessariamente supporre che pure la materia apparentemente inorganica abbia proprie percezioni.

Nel 19° secolo, il panpsichismo fu al suo apice. Filosofi come Arthur Schopenhauer, C.S. Peirce, Josiah Royce, William James, Eduard von Hartmann, F.C.S. Schiller, Ernst Haeckel, William Kingdon Clifford e Thomas Carlyle così come psicologi come Gustav Fechner, Wilhelm Wundt, Rudolf Hermann Lotze, promossero tutti idee panpsichiste.

Arthur Schopenhauer sosteneva una visione bilaterale della realtà sia come “volontà” che come “rappresentazione” (Vorstellung). Secondo Schopenhauer “Ogni mente ostensibile può essere attribuita alla materia, ma allo stesso modo tutta la materia può essere attribuita allo spirito“. Anche Giacomo Leopardi per certi versi fece riferimento al panpsichismo, dichiarando nello “Zibaldone” «Che la materia pensi, è un fatto».

Josiah Royce, il principale idealista assoluto americano, sosteneva che la realtà è un “sé del mondo”, un essere cosciente che comprende tutto, sebbene non attribuisse necessariamente proprietà mentali ai più piccoli costituenti dei “sistemi” mentalistici. Il filosofo pragmatista americano Charles Sanders Peirce sposò una sorta di monismo psico-fisico in cui l’universo è soffuso di mente, che egli ha associato alla spontaneità e alla libertà. Seguendo Pierce, anche William James abbracciò una forma di panpsichismo. Nei suoi appunti di letture, James ha scritto: «La nostra unica nozione intelligibile di un oggetto in sé è che dovrebbe essere un oggetto per se stesso, e questo ci porta al panpsichismo e alla convinzione che le nostre percezioni fisiche siano effetti su di noi di realtà “psichiche”». Il filosofo inglese Alfred Barratt, autore di “Physical Metempiric” (1883), è stato descritto come un sostenitore del panpsichismo.

Nel 1893 Paul Carus propose una filosofia simile al panpsichismo, il “panbiotismo”, secondo la quale “tutto è carico di vita; contiene vita; ha la capacità di vivere“.

Le opinioni moniste neutrali di Bertrand Russell tendevano al panpsichismo. Anche il fisico Arthur Eddington difese una forma di panpsichismo. Anche gli psicologi Gerard Heymans, James Ward e Charles Augustus Strong hanno approvato varianti del panpsichismo. L’antroposofia di Rudolf Steiner adottò il panpsichismo, credendo agli elementali.

Nel 1990, il fisico David Bohm pubblicò “Una nuova teoria della relazione tra mente e materia“, un articolo basato sulla sua interpretazione della meccanica quantistica. Il filosofo Paavo Pylkkänen ha descritto la visione di Bohm come una versione del panprotopsichismo.

Sviluppi Recenti

Galen Strawson

Recentemente Galen Strawson ha difeso la teoria panpsichista, indicando come proprio un’interpretazione materialista e riduzionista della filosofia della mente debba portare effettivamente ad una posizione assimilabile al panpsichismo. Questa opinione non è però condivisa da tutti gli studiosi, giacché teorie panpsichistiche si trovano in filosofi dichiaratamente contrari ad approcci materialistici e riduzionistici (es. Platone, Leibniz, ecc.).

Goff, Seager e Allen-Hermanson

Philip Goff, William Seager e Sean Allen-Hermanson, riprendendo e approfondendo delle tassonomie e riflessioni del filosofo australiano David Chalmers, descrivono le posizioni panpsichiste contemporanee in base ad alcuni assi concettuali fondamentali:

Panpsichismo costitutivo vs emergentista: il panpsichismo costitutivo afferma che la coscienza umana e animale non è un fenomeno mentale fondamentale e autonomo, ma si basa su altre forme fondamentali di coscienza; laddove invece il panpsichismo non costitutivo o emergentista afferma che la coscienza umana e animale sia un fenomeno fondamentale e autonomo rispetto ad altre altre forme fondamentali di coscienza, nonostante derivi in maniera causale da specifiche interazioni fra queste ultime.

Il panpsichismo costitutivo pone il problema della combinazione, che si articola in varie parti: il problema della somma dei soggetti (come soggetti coscienti fondamentali e distinti si combinino per formare una singola coscienza); il problema della tavolozza (come la variegatezza della coscienza umana derivi da un insieme potenzialmente piccolo di qualità mentali fondamentali); e il problema della discordanza strutturale (come spiegare la discordanza tra la struttura della coscienza umana e la struttura del cervello).

Il panpsichismo emergentista si distingue invece in stratificato, a seconda che preveda una coesistenza fra gli enti coscienziali inferiori e l’ente coscienziale superiore che da essi deriva, e in fusionista, a seconda che preveda una cessazione degli enti coscienziali inferiori nel momento del loro combinarsi in un ente superiore.

Cosmopsichismo vs micropsichismo: il cosmopsichismo è una forma di panpsichismo che afferma che la forma di coscienza costitutiva su cui le altre si fondano è la coscienza a livello cosmico; laddove invece il micropsichismo ravvede le forme fondamentali di coscienza nel micro-livello. In entrambi i casi non bisogna confondere la coscienza con le modalità umane di coscienza pensante (pancognitivismo), le forme di esperienza a livello microscopico o a livello cosmico potrebbero essere rudimentali o caotiche, semplicissime o incoerenti (panesperienzialismo).

Panpsichismo vs panprotopsichismo: il panprotopsichismo sostiene che la coscienza non è un ente fondamentale, né a livello micro né a livello macro; lo sono invece delle proprietà o entità che costituiscono la base per la coscienza, delle caratteristiche “protofenomeniche”.

Rupert Sheldrake

Secondo Rupert Sheldrake, la coscienza della materia si manifesterebbe attraverso campi magnetici ritmici e l’Universo sarebbe un tessuto vibrante di coscienza.

Tononi e Koch

Secondo Giulio Tononi e Christof Koch, la coscienza emerge in ogni sistema fisico integrato e differenziato, composto da numerose particelle interconnesse e distinte, come può essere il cervello, ma anche un vortice d’acqua o un cristallo. Più il sistema è complesso e organizzato, più è cosciente. È la cosiddetta teoria dell’informazione integrata.

Correlati al concetto di panpsichismo sono l’Animismo e lo Hylozoismo.

Animismo

L’animismo (dal latino: Anima che significa “respiro, spirito, vita”) è la credenza che oggetti, luoghi e creature possiedano tutti un’essenza spirituale distinta. L’animismo percepisce tutte le cose: animali, piante, rocce, fiumi, sistemi meteorologici, opera umana e in alcuni casi parole, come animate, dotate di libero arbitrio e Azione. Animismo è usato nell’antropologia della religione come termine per il sistema di credenze di molti popoli indigeni in contrasto con lo sviluppo relativamente più recente delle religioni organizzate. L’animismo è una credenza metafisica che si concentra sull’universo soprannaturale (al di là dei fondamenti e delle procedure logiche); in particolare, sul concetto di anima immateriale.

Sebbene ogni cultura abbia le proprie mitologie e rituali, si dice che l’animismo descriva il filo conduttore più comune e fondamentale delle prospettive “spirituali” o “soprannaturali” delle popolazioni indigene. La prospettiva animistica è così diffusa e inerente alla maggior parte dei popoli indigeni che spesso essi non hanno nemmeno una parola nella loro lingua che corrisponda ad “animismo” (o anche a “religione”).

Ilozoismo

Il termine ilozoismo (composto dal greco antico: ὕλη?, hýlē, “materia” e ζωή, zoé, “vita”) riguarda la dottrina che concepisce la materia come una forza dinamica vivente che ha in se stessa animazione, movimento e sensibilità senza alcun intervento di principi motori esterni.

Nella filosofia antica il termine appare affine a quello di «ilopsichismo» (da ὕλη “materia” e ψυχή “anima”) e di «panpsichismo» (da πᾶν “tutto” e ψυχή “anima”) che denotano però anche l’attribuzione della coscienza, e non solo della vita, alla materia: il concetto di “vita” (bios) infatti per i Greci coincideva con quello di psyché (anima) intesa quale sede delle emozioni, come appare nel primo ilozoista, Talete, che concepisce l’universo come “animato” (ἔμψυχος).

Il termine fu coniato dal filosofo inglese di impostazione platonica Ralph Cudworth (1617-1688) che lo riferì al pensiero materialista di Stratone di Lampsaco e di Spinoza.

Il termine fu usato anche da Kant, a proposito del giudizio teleologico, che lo intese come la dottrina che «fonda i fini della natura sull’analogo di una facoltà che agisce con intenzione, la vita della materia». Questa dottrina filosofica è presente nei filosofi presocratici, per i quali la sostanza primordiale è materiale e vivente, e negli stoici che teorizzano l’esistenza di un fuoco originario come principio animatore dell’universo.

All’ilozoismo possono riportarsi i filosofi della natura rinascimentali quali Bernardino Telesio, Giordano Bruno e Tommaso Campanella, che ritengono l’universo e tutti gli esseri come vitalizzati da una comune Anima del mondo. Nel XIX secolo l’ilozoismo ricomparve in alcuni autori materialisti che ritenevano animati gli atomi e l’etere, oltre che nell’ambito della cosiddetta “psicosofia” steineriana e teosofica.

PSICOLOGIA DELLA GESTALT

Il Triangolo di Kanizsa.

La Psicologia della Gestalt (dal tedesco Gestaltpsychologie, ‘psicologia della forma’ o ‘rappresentazione’) è una corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e dell’esperienza.

La parola Gestalt fu usata per la prima volta, come termine tecnico, da Ernst Mach. In seguito Edmund Husserl e Christian von Ehrenfels ripresero il termine da Mach nelle loro teorie psicologiche a fondamento filosofico. Deriva dal verbo gestalten, che significa “mettere in forma” o “dare una struttura significante”.

Fondatori della psicologia della Gestalt sono di solito considerati Max Wertheimer e i suoi allievi Kurt Koffka, Wolfgang Köhler, che sono stati certamente i principali promotori e teorizzatori scientifici di questa corrente di ricerca in psicologia. I loro studi psicologici si focalizzarono soprattutto sugli aspetti percettivi e del ragionamento/risoluzione di un problema. La Gestalt contribuì a sviluppare le indagini sull’apprendimento, sulla memoria, sul pensiero e nell’ambito della psicologia sociale.

L’idea portante dei fondatori della psicologia della Gestalt, cioè che l’insieme fosse differente, nuovo o altro (e non maggiore quantitativamente né migliore qualitativamente) rispetto alla somma delle singole parti, in qualche modo si opponeva al modello dello strutturalismo, diffusosi dalla fine dell’Ottocento, ed ai suoi principi fondamentali, quali l’elementarismo. Da qui la famosa massima: “Il tutto è diverso dalla somma delle sue parti” (Das Ganze unterscheidet sich von der Summe seiner Teile) per evitare l’equivoco con “Il Tutto è più che la somma delle sue parti” (Das Ganze ist mehr als die Summe seiner Teile).

Le teorie della Gestalt si rivelarono altamente innovative, in quanto rintracciarono le basi del comportamento nel modo in cui viene percepita la realtà, anziché per quella che è realmente; quindi il primo pilastro della teoria della Gestalt fu costruito sullo studio dei processi percettivi e in una percezione immediata del mondo fenomenico.

Il modello teorico della Gestalt riguardante l’apprendimento si oppose a quello comportamentista, secondo il quale gli animali risolvevano le problematiche con un criterio costituito da tentativi ed errori, proponendo invece un criterio di spiegazione formato dal pensiero, dalla comprensione e dall’intuizione.

Anche nel settore della psicologia sociale le teorie della Gestalt entrarono in conflitto con quelle comportamentiste, che prevedevano di spiegare il comportamento sociale solo in base alle gratificazioni sociali, quali l’elogio e l’approvazione, e proposero invece la teoria dell’attribuzione che metteva in risalto le sensazioni, le percezioni, gli obiettivi, le intenzioni, le convinzioni, le motivazioni e le credenze. Successivamente, importanti studi furono condotti da Lewin con la teoria del campo e Goldstein con una teoria della personalità secondo la quale l’intero organismo partecipa al suo comportamento.

In seguito, a partire dagli anni sessanta, la Gestalt soffrì per alcuni decenni della sua difficoltà a misurarsi con l’avanzato metodo sperimentale e gli approcci psicometrici utilizzabili dal nascente movimento cognitivista; il suo modello di teoria della mente si dimostrò dunque meno euristico di quello del cognitivismo, in tutti i settori che non fossero legati alla psicologia della percezione. Solo in quest’ultimo ambito, per via di alcune difficoltà a spiegare alcuni fenomeni percettivi in un’ottica strettamente cognitivista, la Gestalt ha recuperato un limitato interesse alla fine del XX secolo. Interessante appare infatti l’attenzione agli aspetti fenomenici della percezione, che il cognitivismo ha in parte trascurato nel suo programma di ricerca, anche se teorie sui campi elettrici del cervello hanno perso, col passare degli anni, la considerazione da parte dei fisiologi.

Elementi teorici

Per la psicologia della Gestalt non è corretto dividere l’esperienza umana nelle sue componenti elementari e occorre invece considerare l’intero come fenomeno sovraordinato rispetto alla somma dei suoi componenti: “Il Tutto è più dalla somma delle sue parti” (posizione del molarismo epistemologico o emergentismo) allo stesso modo in cui le caratteristiche di una società non corrispondono a quelle degli individui che la costituiscono. Quello che noi siamo e sentiamo, il nostro stesso comportamento, sono il risultato di una complessa organizzazione che guida anche i nostri processi di pensiero. La stessa percezione non è preceduta dalla sensazione ma è un processo immediato – influenzato dalle passate esperienze solo in quanto queste sono lo sfondo dell’esperienza attuale – che deriva dalla Gestalt, come combinazione delle diverse componenti di un’esperienza reale-attuale. La capacità di percepire un oggetto quindi deve essere rintracciata in una organizzazione precedentemente posseduta dal sistema nervoso e non da una banale immagine focalizzata dalla retina.

Per comprendere il mondo circostante si tende a identificarvi forme secondo schemi che ci sembrano adatti – scelti per imitazione, apprendimento e condivisione – e attraverso simili processi si organizzano sia la percezione che il pensiero e la sensazione; ciò avviene di solito del tutto inconsapevolmente.

Con particolare riferimento alle percezioni visive, le regole principali di organizzazione dei dati percepiti sono:

-buona forma (la struttura percepita è sempre la più semplice);

-prossimità (gli elementi sono raggruppati in funzione delle distanze);

-somiglianza (tendenza a raggruppare gli elementi simili);

-buona continuità (tutti gli elementi sono percepiti come appartenenti ad un insieme coerente e continuo);

-destino comune (se gli elementi sono in movimento, vengono raggruppati quelli con uno spostamento coerente);

-figura-sfondo (tutte le parti di una zona si possono interpretare sia come oggetto sia come sfondo);

-movimento indotto (uno schema di riferimento formato da alcune strutture che consente la percezione degli oggetti);

-pregnanza (nel caso gli stimoli siano ambigui, la percezione sarà buona in base alle informazioni prese dalla retina).

Queste regole sono utili per spiegare diverse illusioni ottiche.

Il cubo di Necker.

Olismo

L’Olismo (dal greco ὅλος hòlos, cioè «totale», «globale») è una posizione teorica secondo la quale le proprietà di un sistema non possono essere spiegate esclusivamente tramite le sue singole componenti, poiché la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore, o comunque differente, delle medesime parti prese singolarmente.

Secondo tale pensiero un essere vivente, in quanto tale, va considerato sempre come una complessa unità-totalità, non riducibile ad un semplice assemblaggio delle sue parti costituenti. A differenza di una macchina, dove sono le singole parti a formare e spiegare il Tutto in senso deterministico, è solo a partire da un principio superiore che nell’organismo vivo è possibile comprendere, secondo la visione olistica, lo sviluppo dei suoi aspetti secondari.

Per quanto in Occidente l’olismo venga formalmente teorizzato soltanto nel XVII secolo con il panteismo di Baruch Spinoza, e prima di lui da Giordano Bruno, esso si fonda sostanzialmente sulle concezioni filosofiche precedenti. Già rispetto al dualismo di Platone tra spirito e corpo, Aristotele aveva riunificato la forma e la materia in un tutt’uno chiamato «sinolo», fondando l’ordine della natura sull’unità per analogia. Col neoplatonismo di Plotino tale monismo venne esteso a livello macrocosmico, nell’ottica del quale ogni aspetto della realtà è reso vivo e interconnesso da una comune Anima del mondo, di cui la corrispondenza universale tra l’Uno e il molteplice si contrapponeva radicalmente all’atomismo meccanicistico.

Si trattava di una concezione, quella neoplatonica, affine alle filosofie orientali sorte sin dal XIII secolo a.C. . Le filosofie indiane sono infatti tutte di stampo olistico, e l’olismo è uno degli elementi di base di tutta la speculazione filosofica orientale, quale si ritrova anche in Cina nel taoismo, che si origina a partire dal VI secolo a.C. circa. Una sua esplicita definizione ebbe luogo invece in Occidente solamente dal XX secolo, basandosi su una tradizione riferibile appunto al neoplatonismo.

Tra i precursori, in qualche misura, anche Johann Wolfgang von Goethe, che convertì in forma scientifica le suggestioni mistico-olistiche del pensiero tardo-medievale, può essere considerato un pensatore olistico. Nella sua “Teoria dei colori, infatti, la luce bianca non viene ritenuta una mera somma delle frequenze elettromagnetiche dei suoi componenti (i differenti colori dell’iride), bensì un principio originario chiamato Urphänomen, secondo una visione olistica rivalutata in generale dal Romanticismo. Anche nel Faust del resto egli non manca di irridere le teorie meccaniciste della vita: «Per capire e descrivere una realtà vivente, si cerca sempre innanzitutto di trarne via lo spirito; allora si ha la mano piena di frammenti inerti, a cui manca solo – purtroppo – il nesso della vita. La chimica le dà il nome di “encheiresin naturae”: si burla di se stessa e nemmeno se ne avvede» (Goethe, Faust, vv. 1936-41).

Ra

«RA: Io sono Ra. Considera, se vuoi, che l’universo è infinito. Questo dev’essere ancora dimostrato o confutato, ma possiamo garantirvi che non esiste un limite ai vostri sé, alla vostra comprensione, a ciò che chiamereste il vostro viaggio di ricerca o le vostre percezioni della creazione.

Ciò che è infinito non può essere molti, perché la molti-plicità è un concetto finito. Per avere l’infinito dovete identificare o definire tale infinito come Unità; altrimenti, questo termine non ha alcun referente o significato. In un Infinito Creatore c’è solo unità. Voi avete osservato dei semplici esempi di unità. Avete osservato il prisma che mostra tutti i colori che originano dalla luce del sole. Questo è un esempio semplicistico di unità.

In realtà non esiste il giusto o lo sbagliato. Non esiste la polarità, dal momento che tutto sarà, come voi direste, riconciliato ad un certo punto della vostra danza attraverso il complesso mente/corpo/spirito che vi divertite a distorcere in vari modi in questo momento. Questa distorsione non sarebbe necessaria, ma viene scelta da ciascuno di voi come alternativa alla comprensione della completa unità di pensiero che lega ogni cosa. Non stiamo parlando di somiglianze o di similitudini. Voi siete ogni cosa, ogni essere, ogni emozione, ogni evento, ogni situazione. Voi siete unità. Voi siete infinito. Voi siete amore/luce, luce/amore. Voi siete. Questa è la Legge dell’Uno.»

«…Questa è l’idea di Larson della progressione di ciò che chiama spazio/tempo. Questo concetto è corretto?

Ra: Io sono Ra. Questo concetto è incorretto come lo è qualsiasi concetto dell’uno infinito intelligente. Questo concetto è corretto nel contesto di un particolare Logos, o Amore, o focalizzazione di questo Creatore che ha scelto le sue, diciamo, leggi naturali e modi di esprimerle matematicamente ed in altra maniera.

L’uno infinito intelligente indifferenziato, non polarizzato, pieno e intero, è il macrocosmo dell’essere ammantato di mistero. Siamo messaggeri della Legge dell’Uno. L’Unità, a questa approssimazione di comprensione, non può essere specificata da nessuna fisica, ma solo essere Infinito Intelligente attivato o potenziato grazie al catalizzatore del libero arbitrio. Questo può essere difficile da accettare. Tuttavia, le comprensioni che dobbiamo condividere iniziano e finiscono nel mistero.»

Apofatismo

L’Apofatismo (dal greco ἀπό, φημί che significa letteralmente «lontano dal dire», «non dire») è un metodo teologico secondo il quale la comprensione della natura di Dio non può essere espressa a parole. In quest’ottica, l’approccio più adeguato a Dio è quello che prevede il silenzio, la contemplazione e l’adorazione del mistero, prescindendo cioè da qualsivoglia processo di speculazione o indagine discorsiva dell’essere divino.

Nelle forme più radicali l’apofatismo può implicare non solo che non vi siano argomenti per descrivere appropriatamente Dio, ma che Egli sia del tutto inconoscibile dalla ragione, perché trascende le capacità cognitive umane e la stessa realtà fisica.

Questa posizione filosofica è l’esatto contrario del catafatismo della teologia affermativa, la quale prevede la conoscibilità di Dio attraverso l’uso della ragione o dell’intelletto.

La teologia negativa, tuttavia, che si serve di un tale metodo apofatico, ammette in parte la possibilità di un esercizio discorsivo e razionale per avvicinarsi a Dio, non dicendo cosa Egli è, ma dicendo dialetticamente cosa Egli non è. Essa culmina comunque nel silenzio.

Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno Tao,

il nome che si può pronunciare non è l’eterno nome.

Senza nome è l’origine del cielo e della terra.

Con un nome è la Madre di mille creature.

Lao Tsu

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