Infinito

Infinito

Infinito age of aquarius« C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’etica; parlo dell’Infinito. » (Jorge Luis Borges)

L’infinito (dal latino finitus, cioè “limitato” con prefisso negativo in-, e solitamente denotato dal simbolo , talvolta detto lemniscata) in filosofia è la qualità di ciò che non ha limiti o che non può avere una conclusione perché appunto infinito, senza-fine. Nella concezione cristiana il concetto coniato nell’ambito del pensiero greco trova la sua coincidenza con Dio stesso quale essere infinito. 

Il simbolo matematico di infinito venne utilizzato per la prima volta in epoca moderna da John Wallis nel 1655. «Wallis potrebbe avere anche pensato che il doppio occhiello di quel simbolo potesse rimandare immediatamente all’infinito, perché tale doppio occhiello può essere percorso senza fine»

Infinito analemmaLa quarta ipotesi, che si ritiene la più probabile, è che il simbolo a otto rovesciato non sia altro che la derivazione e la raffigurazione dell’Analemma cioè la figura che si crea nel cielo se si fotografa il sole alla stessa ora, nel solito punto, nei diversi giorni dell’anno. A causa dell’inclinazione della terra e della sua orbita ovulare, il sole crea una figura nel cielo che non è sfuggita agli antichi astronomi. Il Sole crea una figura, un percorso nel cielo, per poi ritornare nel solito punto; per cui il simbolo è andato a significare “L’andare e venire del tempo” ed in definitiva il simbolo dell’infinito. Un simbolo raffigurato spesso anche nelle chiese romaniche.

Da Plotino (Enneadi, 253 d.C.), invece, il pensiero greco si apre agli influssi provenienti da regioni culturali fino ad allora inusitate: le culture indiana e mediorientali e la tradizione ebraica costituiscono per il filosofo di origine egiziana uno stimolo non tanto a difendere ad ogni costo il modello culturale classico platonico e aristotelico, quanto a tentare di razionalizzare gli aspetti più influenti di quelle culture entro gli schemi linguistici dei due grandi maestri. Uno degli effetti di questa operazione è l’inclusione del concetto di infinito negli schemi della metafisica di carattere religioso allora in voga nelle comunità intellettuali alessandrina e siriana: diventando proprietà del principio divino, il concetto di infinito si carica di connotazioni filosofico-trascendenti che allargheranno il dibattito successivo verso esiti del tutto divergenti rispetto alla sua forma iniziale. Ciò si può misurare fin dal XII secolo, con l’anonimo Liber XXIV philosophorum e la famosa definizione di Dio come “sfera infinita” in esso contenuta. Con questo viraggio semantico operato dalla cultura tardo-ellenistica di tradizione neoplatonica, il problema diventa non più quello di conciliare l’idea di infinito coi limiti di un universo finito qual era quello classico e tolemaico, ma di superare il modello argomentativo logico aristotelico con l’uso esplicativo della metafora come veicolo per giustificare i principi della fede con gli strumenti della razionalità umana.

Infinito 3La svolta della modernità filosofica appare, attraverso il pensiero di Nicola Cusano (De docta ignorantia, 1440), come la ricerca di una conciliazione tra finito e infinito, tra uomo e Dio: la teoria della coincidentia oppositorum consiste infatti nella trasformazione dell’infinito in una dimensione assoluta che fa da sfondo all’indeterminata possibilità dell’uomo di accrescere la sua conoscenza. L’uomo non raggiungerà mai la comprensione dell’assoluto, ma la sua dignità (e in questo valore si rifletterà tutta la cultura rinascimentale) consiste proprio nel potenzialmente infinito progredire dello spirito. Sulla stessa lunghezza d’onda si muove Giordano Bruno; ma la novità del filosofo italiano consiste nel radicalizzare in senso naturalistico-panteista gli sviluppi metafisici e matematici del concetto di infinito. Nei suoi celebri dialoghi cosmologici, Bruno elabora una concezione dell’infinito come Universo che può essere considerata – in parallelo alla nascita della teoria copernicana – “l’atto di nascita” dell’astronomia moderna.

Uroboro

Infinito ensoL’Enso ha molte similitudini con l’Uroboro un antico simbolo che raffigura un serpente o un drago che inghiotte la propria coda formando un cerchio.
Rappresenta (similmente alla Fenice) auto-riflessività o ciclicità, in particolare nel senso di qualcosa in continua auto-rigenerazione, l’eterno ritorno, e cicli che iniziano di nuovo non appena finiscono.

Può anche rappresentare l’idea di primordiale unità relativa a qualcosa di già esistente fin dall’inizio con la forza o la qualità che non può essere spenta. L’Uroboro è importante nel simbolismo religioso e mitologico, ma è stato anche frequentemente utilizzato nelle illustrazioni alchemiche, dove simboleggia la natura circolare dell’opera dell’alchimista. E’ inoltre spesso associato con lo gnosticismo e l’ermetismo.
Carl Jung ha interpretato l’Uroboro come un archetipo importante per la psiche umana. Lo psicologo junghiano Erich Neumann lo descrive come una rappresentazione del pre-ego, quando l’Io è ancora contenuto nell’inconscio ed è quindi totalmente indifferenziato.

Infinito uroboroE’ interessante notare che questa simbologia era presente anche in altre culture: a sinistra vediamo un esempio azteco, mentre nel testo Hieroglyphica di Orapollo riferendosi all’equivalente geroglifico egiziano si trova questa descrizione:

Quando vogliono scrivere il Mondo, pingono un Serpente che divora la sua coda, figurato di varie squame, per le quali figurano le Stelle del Mondo“.

Pare che l’Uroboro si ispiri alla forma della Via Lattea, dal momento che in alcuni antichi testi era considerata un enorme serpente di luce che risiedeva nel cielo e circondava tutta la Terra.

LO ZERO E L’INFINITO

Infinito 2Ogni numero nasce dall’Uno e questo deriva dallo Zero. In questo c’è un grande sacro mistero: Dio è rappresentato da ciò che non ha né inizio né fine; e proprio come lo zero non accresce né diminuisce un altro numero al quale venga sommato o dal quale venga sottratto, così Egli né cresce né diminuisce”.

Da un manoscritto del Monastero di Salem (XII sec)

Lo Zero è un concetto matematico che, assieme al suo complementare l’Infinito, apre le porte alle realtà oltre l’ordinario, è una chiave per avvicinarsi a comprendere il Mistero dell’Esistenza. Essendo lo Zero un concetto sfuggente ( Che cosa è il nulla? L’assenza di qualcosa è qualcosa oppure no? ) non a caso è stato introdotto nella Matematica occidentale con grande ritardo. I Greci ed i Romani non avevano assegnato un valore numerico al nulla, in quanto se il “niente” è qualcosa che non esiste, come potrebbe esistere un numero che lo rappresenti?

Infinito 001Zero” di Marion Drennen, Quantum Connections | Un quadro basato sulle proporzioni auree che nell’estremità in basso a sinistra vuole rappresentare l’emersione dal vuoto quantistico.

Infinito 002I Babilonesi dovettero inventare lo zero, utilizzando come simbolo dei cunei inclinati, per evitare la confusione nella notazione dei numeri. Prima dello zero usavano degli spazi vuoti per separare le cifre e per indicare le centinaia e le migliaia, ma il sistema era soggetto a facili errori (immaginate, infatti, di scrivere 61, 601 e 6001 usando degli spazi vuoti: 61 6 1 6 1). Anche i Maya introdussero lo zero ( spesso usando la forma di una conchiglia ) proprio per indicare lo spazio vuoto. Nel “Popol Vuh” (un’antica raccolta di miti Maya) lo Zero viene\ fatto corrispondere al momento del sacrificio divino, forse legato al ciclo cultuale agreste del mais, il cui seme muore per poter germogliare, inteso come momento di transizione tra una vita e l’altra, da uno stato all’altro di esistenza.

La popolazione che però ci ha lasciato come eredità lo zero è stata la terza a scoprire tale numero e cioè quella Indiana. Il più antico esempio documentato di uso dello zero in India risale al 485 d.C., in un testo cosmologico giainista. I matematici indiani fecero un salto di qualità che non era avvenuto nell’antica Babilonia o in America Centrale e cioè usare lo zero non solo in modo posizionale ma facendolo diventare una cifra vera e propria. L’astronomo indiano Brahmagputa (nel 628 d.C.) definì lo zero come il risultato che si ottiene sottraendo un numero da se stesso e definì l’infinito come il numero che si ottiene dividendo per zero qualsiasi altro numero! In India lo zero (sunya – lett. vuoto – o sunya-bindu, il punto zero) acquisì significati metafisici e semantici, che spaziavano dal nulla all’atmosfera, dalla volta del cielo alla completezza, dall’immensità dello spazio al vuoto. Il bindu (punto) era il Nulla che poteva generare qualsiasi cosa ed era, infatti, utilizzato negli schemi meditativi tantrici, gli Yantra.

Gli Arabi appresero dagli Indiani il sistema di numerazione posizionale decimale e, nel Medioevo, lo trasmisero agli europei durante il Medioevo (ed ecco perché i nostri numeri sono detti “arabi”). Gli Arabi chiamavano lo zero sifr, lett. vuoto, ma nelle traduzioni latine venne indicato, per assonanza, con zephirum, cioè zefiro (il vento di ponente). Da zephirum si ebbe il veneziano zevero e quindi zero. Fu i particolare Leonardo Fibonacci (1170-1250), matematico pisano della corte di Federico II di Svevia, a far conoscere la numerazione posizionale in Europa.

Infinito 003Numerali indiani e arabi con in fondo lo zero, rappresentato con un circoletto o un punto.

Lo Zero è un numero impegnativo, crea difficoltà anche nella scelta se inserirlo o meno tra i numeri naturali (1, 2, 3, 4, 5,ecc…), argomento controverso tra i matematici in quanto rappresentando il nulla escluderlo dai numeri naturali significherebbe non avere un simbolo che indichi l’assenza di oggetti in un insieme, allo stesso tempo includerlo va contro il semplice presupposto dei numeri naturali come indicatori di una quantità di oggetti… affascinante dilemma che introduce alla “Mistica dello Zero”!

Dividere lo 0 per un numero qualsiasi, diverso da zero, è facile: il risultato è zero. Ad esempio, 0 : 5 = 0, perché 5 x 0 = 0. Ma dividere un numero per zero non sembra possibile, perché come si potrebbe moltiplicare quel risultato per zero ed ottenere il numero di partenza? Per convenzione abbiamo allora che n : 0 =, in pratica il risultato tende ad infinito, sebbene non lo raggiunga mai.

E cosa si può dire di 0 : 0? In effetti adesso non mancherebbero le soluzioni, poiché qualsiasi numero andrebbe bene come risultato. Infatti 0 : 0 = 5 perché “cinque per zero fa zero”, oppure 0 : 0 = 302 perché “trecentodue per zero fa ancora zero”!

Moltiplicare un numero per zero ci offre lo zero, dividerlo per zero ci offre l’infinito!

Lo zero rappresenta il Nulla e allo stesso tempo crea l’Infinito!

E’ qualcosa di straordinario che richiama molto il concetto di Vuoto Quantomeccanico.

Un simbolo del Vuoto Generatore, che richiama molto il simbolo dello Zero è l’Uovo. In molti miti e cosmogonie abbiamo l’Uovo come rappresentazione della matrice primordiale da cui sorge l’Esistenza (ad es. nel mito indù dell’uovo cosmico Hiranyagarbha, “grembo d’oro”, ma anche in miti egizi, cinesi, greci, celti ed africani). L’Uovo racchiude in sé il mistero biologico dell’origine ed il segreto dell’essere; rappresenta un nulla latente che produce qualcosa di vitale, alla stessa stregua dello Zero, che apparentemente significa “niente” ma da cui si origina il Tutto (l’Uno e ogni altra cifra)!

Trenta raggi convergono nel mozzo, ma è il vuoto del mozzo l’essenziale della ruota.

I vasi sono fatti di argilla, ma è il vuoto interno che fa l’essenza del vaso.

Mura con finestre e porte formano una casa, ma è il vuoto di essi che ne fa l’essenza.

In genere: l’essere serve come mezzo utile, nel non essere sta l’essenza.”

Tao Te Ching, Lao Tzu

L’Infinito è complementare allo Zero. Matematicamente, come abbiamo visto, ne è il reciproco n : 0 = e n : = 0, inoltre come moltiplicando qualsiasi numero per zero si ottiene zero abbiamo che moltiplicare qualsiasi numero per infinito da infinito (n x 0 = 0 e n x = ).

N x 0= 0   N : 0= ∞   0 : N= 0    N x ∞= ∞    N : ∞= 0Infinito 005L’infinito concepito come potenziale, qualcosa a cui si tende ma che non si raggiunge mai, è il protagonista dei paradossi di Zenone di Elea (il più famoso è quello di “Achille e la tartaruga”, secondo cui il veloce Achille non potrà mai raggiungere una tartaruga partita prima di lui, perché una volta arrivato alla posizione dove quest’ultima si trovava, essa si è già mossa un po’ in avanti e così via, all’infinito). Alla fine dell’Ottocento, grazie a due matematici tedeschi, Richard Dedekind e Georg Cantor, venne stabilita l’esistenza dell’infinito in atto (cioè reale, fisico), addirittura Cantor riuscì a dimostrare che tale infinito non è unico, ma che esistono molteplici infiniti (la mente ordinaria non può che chiedersi: ma come è possibile?).

Per “giocare” matematicamente con l’infinito possiamo utilizzare le serie divergenti. Una serie divergente è una sommatoria che tende ad infinito quando il numero dei suoi termini tende all’infinito e questo causa dei paradossi interessanti, che mettono in crisi le menti più razionali, al punto che il matematico Niels Henrik Abel ha detto: “Le serie divergenti sono un’invenzione del diavolo, ed è una vergogna fondare su di esse qualsiasi dimostrazione”.

Prendiamo in considerazione la seguente serie: S = 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – …

Da questa segue che: – S = – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + ….

Disponiamo le due serie nel seguente modo:

S = 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – …

S = – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – …

Sottraendo la riga inferiore da quella superiore, otteniamo: S – (– S) = 2S = 1 cioè S = 1⁄2

Possiamo adesso riscrivere la serie come: S = (1 – 1) + (1 – 1) + (1 – 1) + … e in questo caso S = 0 oppure come: S = 1 + (– 1 + 1) + (– 1 + 1) + … che fa 1, quindi in questo caso S = 1.

In base al modo in cui viene manipolata algebricamente, la serie può quindi valere: 1, 0 oppure 1⁄2

Il matematico tedesco Georg Cantor (1845-1918) abbracciò l’idea dell’infinito attuale e stabilì che vi erano differenti tipi di infiniti, uno più grande dell’altro, a cui dette il nome di numeri transinfiniti. Secondo Cantor vi erano infiniti insieme infiniti e al di là di essi l’Assoluto, per sua natura indefinibile. E’ interessante sottolineare che mentre la comunità dei matematici si scontrava con le idee di Cantor, chi gli prestò attenzione fu la Chiesa, infatti il papa Leone XIII (ispiratore di un’apertura verso la scienza) scorgeva in queste idee una possibilità di contemplazione di Dio.

Dr. Nicola Saltarelli – www.olosintesi.it | Licenza Creative Commons BY-SA 3.0 | Codice Dispensa: “S-NUM” 1.0

Link: Scienze Noetiche – Noetica

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