SIMBOLISMO DELLA FENICE
La fenice (dal greco antico Φοῖνιξ?, “phoînix” latinizzato in phoenix, phoenicis, ossia “rosso porpora”), spesso indicata anche con gli epiteti “araba fenice” e “uccello di fuoco”, è un uccello mitologico presente nel folklore di vari popoli considerato in grado di controllare il fuoco e di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Infatti il motto della fenice è “Post fata resurgo” (“dopo la morte torno ad alzarmi“). Figura archetipica simbolica (mitologema), è presente all’interno dell’inconscio collettivo del pianeta Terra, pertanto vi sono controparti della Fenice in praticamente tutte le culture. La prima rappresentazione conosciuta di una fenice risale a circa 7000-8000 anni fa ed è stata scoperta a Hongjiang, nella provincia di Hunan, nel sito archeologico di Gaomiao. Gli studiosi hanno osservato degli analoghi della fenice in una varietà di culture. Questi analoghi includono il Garuḍa indù (गरुड) e il bherunda (भेरुण्ड), l’uccello di fuoco Russo (жар-птица), il Simurg persiano (سیمرغ), il paskunji georgiano (ფასკუნჯი), l’anqa arabo (عنقاء), il Konrul turco, chiamato anche Zümrüdü Anka (“anqa smeraldo”), il Me byi karmo tibetano, il Fenghuang cinese (鳳凰) e lo Zhuque (朱雀).
Mattonella ornamentale con rappresentazione di “bonghwang” rinvenuta nella tomba di Dengxian nella provincia di Henan, Cina.
«Un uccello mitologico, che non muore mai, la fenice vola lontano, avanti a noi, osservando con occhi acuti il paesaggio circostante e lo spazio distante. Rappresenta la nostra capacità visiva, di raccogliere informazioni sensorie sull’ambiente che ci circonda e sugli eventi che si dipanano al suo interno. La fenice, con la sua bellezza assoluta, crea un’incredibile esaltazione unita al sogno dell’immortalità.» (“The Feng Shui Handbook”, feng shui Master Lam Kam Chuen)
Le rappresentazioni della fenice cinese risalgono a settemila anni fa, spesso come amuleti di giada, essendo un portafortuna per le tribù della Cina orientale. Forse è ispirato a un animale preistorico cinese simile a uno struzzo. Durante la dinastia Han (2200 anni fa), il Fenghuang era usato come simbolo del Sud, rappresentato da maschio, Feng, e femmina, Huang, uno di fronte all’altra. Era anche simbolo dell’imperatrice nella coppia imperiale, mentre il drago rappresentava l’imperatore. Per questo motivo i due animali erano raffigurati nelle celebrazioni di nozze come buon auspicio per la relazione coniugale, un’altra metafora di yin e yang. Inoltre, nelle decorazioni delle case, stava a significare che le persone che vivevano in quell’edificio erano leali ed oneste poiché la fenice vive in posti dove non c’è corruzione.
I cinesi hanno un gruppo di cinque creature magiche (detti i “quattro Spiritualmente-dotàti“) che presiedono i destini della Cina, e rappresentano le forze primordiali degli animali piumati, corazzati, pelosi e con squame. Questi cinque animali sacri sono: Bai Hu (la tigre bianca) o Ki-Lin (l’unicorno) per l’Ovest; Xuan Wu (la tartaruga o il serpente) per il Nord; Long (il drago) per l’Est; e, per il Sud, Feng (la Fenice) — detto anche Fêng-Huang, Fung-hwang o Fum-hwang.
Il Fenghuang rappresentava il potere e la prosperità, ed era un attributo esclusivo dell’imperatore e dell’imperatrice, che erano gli unici in tutta la Cina ad essere autorizzati a portare il suo simbolo. Era la personificazione delle forze primordiali dei Cieli, e talvolta veniva rappresentata con la testa e la cresta di fagiano, e la coda di pavone (ma siccome i cinesi desideravano dare al Feng i più begli attributi di tutti gli animali, lo raffiguravano con la fronte della gru, il becco dell’uccello selvatico, la gola della rondine, il collo del serpente, il guscio della testuggine, le strisce del drago e la coda di un pesce).
Nel becco portava due pergamene o una scatola quadrata che conteneva i Testi Sacri, e recava iscritte nel corpo le Cinque Virtù Cardinali. Si dice inoltre che la sua canzone contenesse le cinque note della scala musicale cinese, e che la sua coda includesse i cinque colori fondamentali (blu, rosso, giallo, bianco e nero), e che il suo corpo fosse una mistura dei sei corpi celesti (la testa simboleggiava il cielo; gli occhi, il sole; la schiena, la luna; le ali, il vento; i piedi, la terra; e la coda, i pianeti).
La Fenghuang, dalla sfera del fuoco, era chiamata “l’imperatrice del cielo” e quindi dei volatili; essa è definita come “l’uccello scarlatto”, nata dal fuoco e rinata, ogni volta, dalla “collina del falò del sole” e vive nel regno dei saggi, situato ad est della Cina. Beve acqua purissima e si ciba di bambù. Ogni volta che canta, tutti i galli del mondo l’accompagnano nella sua canzone di cinque note. Appare soltanto in tempi di pace e prosperità, e scompare nei tempi bui; essa si posa unicamente sopra ad un albero immacolato come la “Dryandra Cordifolia” (Wutong, l’albero sacro), presso una sorgente d’acqua nascosta ed introvabile per gli uomini poveri di spirito. Diversamente dal Benu, il Feng può essere maschio o femmina, e vivere in coppia — coppia che rappresenta la felicità della coppia di sposi. Al concepimento, è il Feng a consegnare l’anima del nascituro nel grembo della madre.
Lo Zhuque
L’Uccello Vermiglio (Zhuque 朱雀) è uno dei Quattro Simboli delle costellazioni cinesi. Secondo il Wu Xing, il sistema taoista di cinque elementi, esso rappresenta l’elemento del fuoco, la direzione del sud e corrispondentemente la stagione estiva. Pertanto è chiamato talvolta Uccello Vermiglio del sud (南方朱雀, Nán Fāng Zhū Què). È noto come Zhu Que in cinese, Suzaku in giapponese, Jujak in coreano e Chu Tước in vietnamita. È descritto come un uccello rosso che assomiglia ad un fagiano con un piumaggio di cinque colori ed è perennemente coperto di fiamme. È rappresentato nel Santuario di Jonangu nella parte meridionale di Kyoto. Anche nell’astronomia occidentale è presente una costellazione chiamata “Fenice” (Link), costellazione dell’Emisfero Sud vicino a Tucana (il Tucano) e Sculptor. Fu così chiamata da Johann Bayer nel 1603, ed è costituita da 11 stelle.
In Giappone la Fenice figura col nome di Fenikusu (フェニクス) trascrizione di phoenix, fushichou (ふしちょう『不死鳥).
Houou è il nome della costellazione della fenice. Karura è invece una trascrizione (con adattamento) del nome sanscrito Garuḍa: è un’enorme aquila sputa fuoco dalle piume dorate e gemme magiche che ne coronano la testa, ed annuncia l’arrivo di una nuova era.
Garuda, Vahana of Vishnu.
Nella cultura induista e buddista, la Fenice si chiama Garuḍa. Ha ali e becco d’aquila, un corpo umano, la faccia bianca, ali scarlatte e un corpo d’oro. È uno dei supremi veggenti d’infinita coscienza. Narra la leggenda indù che Kadru, madre di tutti i serpenti, combatté con la madre di Garuda, imprigionandola. Garuda andò quindi a recuperare del Soma, che lo rese immortale, per liberare sua madre da Kadru. Visnù, colpito da ciò, lo scelse come avatar (l’incarnazione terrestre) o destriero. Comunque, Garuda mantenne un grande odio verso i Nāga (la famiglia dei serpenti e dei draghi), e ne ammazzava uno al giorno per pranzo. Poi però un principe buddista gli insegnò l’astinenza, e Garuda riportò in vita le ossa di molti dei serpenti che aveva ucciso.
Persia
Mosaico del mitico uccello Huma sul portale della Madrasa Nadir Divan-Begi a Bukhara, Uzbekistan.
L’Huma (persiano: هما), anche Homa, è un uccello mitologico delle leggende e favole iraniane, e prosegue come motivo comune nella poesia sufi e diwan. Sebbene ci siano molte leggende sulla creatura, comune a tutte è che si dice che l’uccello non si poggi mai al suolo, e invece trascorra tutta la sua vita volando invisibilmente alto sopra la terra.
In diverse varianti dei miti Huma, si dice che l’uccello sia simile ad una fenice, che si consuma nel fuoco dopo alcune centinaia di anni, solo per risorgere dalle sue ceneri. Si dice che l’uccello Huma abbia sia la natura maschile che quella femminile in un solo corpo (ciò ricorda il Fenghuang cinese), ciascuna natura con un’ala e una zampa. L’Huma è considerato compassionevole e un “uccello della fortuna” poiché si dice che la sua ombra (o il suo tocco) sia di buon auspicio. Nella tradizione sufi, catturare l’Huma va oltre persino l’immaginazione più sfrenata, ma intravederne uno scorcio o anche solo un’ombra renderà sicuramente felici per il resto della vita. Si ritiene inoltre che l’Huma non possa essere catturato vivo e che la persona che uccide un Huma morirà entro quaranta giorni.
l’Uccello di Fuoco nel Folklore Slavo
Illustrazione di Ivan Bilibin a una fiaba russa sull’Uccello di fuoco, 1899.
Nella mitologia e nel folclore slavo, l’Uccello di fuoco (russo: жар-пти́ца, romanizzato: zhar-ptitsa; ucraino: жар-пти́ця, zhar-ptytsia; serbo-croato: žar-ptica, жар-птица; bulgaro: Жар-птица, romanizzato: Zhar-ptitsa; macedone: Жар-птица, romanizzato: Žar-ptica; polacco: Żar-ptak, raramente anche ptak-żar; ceco: Pták Ohnivák; slovacco: Vták Ohnivák; sloveno: Rajska/zlata-ptica) è un uccello magico e profetico proveniente da una terra lontana, rappresentato come luminoso o fiammeggiante, che è sia una benedizione che un presagio di sventura per colui che lo cattura.
L’Uccello di fuoco è descritto in uno dei testi raccolti da Alexander Afanasyev come avente “piume dorate, mentre i suoi occhi erano come cristalli orientali“. Altre fonti ritraggono un grande uccello con piumaggio maestoso che brilla intensamente emettendo luce rossa, arancione e gialla, come un falò che è appena oltre la sua massima intensità. Le piume non cessano di brillare se rimosse, e una piuma può illuminare una grande stanza se non viene nascosta. Nell’iconografia successiva, la forma dell’Uccello di fuoco è solitamente quella di un piccolo falco color fuoco, completo di una cresta sulla testa e piume della coda con “occhi” brillanti.
Ungheria
Un paio di dischi decorativi in argento per capelli con motivo del mitico uccello Turul da un cimitero ungherese del X secolo (trovato a Rakamaz, Ungheria) Museo Jósa András a Nyíregyháza, Ungheria.
Il Turul è un uccello mitologico legato alle leggende sull’origine dei Magiari. Il Turul è immaginato come un falco di enormi dimensioni. La parola deriva dal turco (togrul o turgul significa falco pellegrino). Nell’ungherese odierno falco si dice sólyom, ma ci sono altre tre parole che in passato denotavano diversi tipi di falchi: kerecsen (falco sacro), zongor e turul.
Due sono gli episodi significativi dell’epopea ungherese in cui il Turul ha un ruolo chiave. Una prima volta è un Turul ad apparire in sogno ad Emese, la madre del principe Álmos. Il Turul, dopo averla fecondata, le avrebbe annunciato che il figlio sarebbe stato il fondatore di una grande dinastia. Una seconda volta è un Turul ad apparire in sogno ai capi delle 7 tribù ungheresi. In questo caso i Turul mettono in fuga le aquile che stanno attaccando i cavalli delle tribù. Il significato attribuito ai sogni fu che era necessario migrare verso nuove terre. Una volta in movimento, i Turul indicarono loro la strada, guidandoli verso la Pannonia che sarebbe divenuta la culla dell’Ungheria.
Tra le numerose statue di Turul presenti sul territorio ungherese la più imponente è visibile presso Tatabánya. Eretta nel 1907, sembra che sia la più grande statua raffigurante un volatile in Europa: l’apertura alare della statua è di oltre 15 metri.
Medio Oriente
Dettaglio di ”Zal e il Simurgh sul monte Qaf”, Scuola di Tabriz.
Il Simurgh, anche noto con i nomi di Simurgh, Semuru o Senmurv (in persiano سیمرغ, Sīmurgh), era secondo la mitologia persiana, l’uccello che viveva – come tramandano anche i racconti metafisici di Sohravardi – sull’albero dei semi, l’Albero Tūbā, da cui erano generate le sementi di tutte le piante selvatiche, posizionato accanto all’albero dell’immortalità (secondo alcuni studiosi, l’albero era invece l’albero della scienza, paragonato a Yggdrasill delle leggende scandinave).
Il suo nome deriva dall’avestico Saena Meregha (Saena=Aquila Meregha=Uccello), attraverso il medio-persiano sēnmurw dal più antico sēnmuruγ, attestato anche nel medio-persiano Pāzand come sīna-mrū. Il termine medio-persiano deriva a sua volta dall’avestico mərəγō Saēnō “l’uccello Saēna”, originariamente un rapace, come un’aquila, un falcone o uno sparviero, come è possibile dedurre dal sanscrito śyenaḥ (“rapace, aquila, uccello predatore”) che appare anche come una figura divina.
«O meraviglia! La prima apparizione di Simurgh si ebbe in Cina nel profondo della notte. Esattamente nel centro di quel paese cadde una sua piuma, e questo bastò per seminare lo scompiglio in tutti i reami della terra. Ogni uomo si fece di lei un’immagine particolare e conformò la sua azione a quanto di essa poté cogliere. Quella piuma è ora conservata nei dipinti cinesi, e da questo il detto: “Cerca la sapienza, financo in Cina!“» (Farid al-Din ‘Attar, “Il Verbo degli uccelli”)
Nella tradizione Sufi, il Simurgh raffigura Dio, ma anche l’anima capace di guardare come l’Essere Divino. Tale idea si trova nel poema persiano del XIII secolo “Il Verbo degli uccelli”, di Farid al-Din ‘Attar, che narra di come tutti gli uccelli della terra decisero di andare in cerca del Simurgh; dopo aver sorvolato le otto vallate della Ricerca, dell’Amore, della Conoscenza, dell’Indipendenza, dell’Unificazione, dello Stupore, dell’Abbandono e dell’Annientamento, rimasero solo in trenta per cercare la creatura, il cui nome significa proprio trenta (Sīmurgh: sī-murgh: trenta uccelli), ma si accorsero che l’asprezza del viaggio li aveva purificati, trasformando loro stessi in Simurgh: «C’erano due Simurgh, e tuttavia ce n’era uno solo; e tuttavia erano due». Il senso anagogico è che, con l’unione, si giunge al Tutto (3×10) e così a Dio, somma di tutti gli esseri.
In arabo il Simurgh è noto come ʿAnqāʾ. Altre fonti gli attribuiscono caratteristiche simili a quelle dell’Anqā, l’Araba Fenice, che guarisce le pene dell’anima con il solo moto delle ali. Poteva vivere 1700 anni, ma si dava fuoco quando nascevano piccoli del sesso opposto.
Una leggenda del Kashmir racconta di un re che catturò un Simurgh per ascoltarne il leggendario canto, ma l’uccello si rifiutò di cantare; la moglie del re quindi, ricordando che un Simurgh canta solo quando vede un proprio simile, mise uno specchio davanti alla gabbia, ma il Simurgh, contemplandosi, cantò una melodia tristissima e morì.
Nelle leggende ebraiche, la Fenice viene chiamata ha-chôl (עוף החול) o Milcham.
Una leggenda ebraica narra che Eva mangiò il frutto proibito, divenne gelosa dell’immortalità e della purezza delle altre creature del Giardino dell’Eden e così convinse tutti gli animali a mangiare a loro volta il frutto proibito, affinché seguissero la sua stessa sorte. Tutti gli animali cedettero, tranne la Fenice, che Dio ricompensò ponendola in una città fortificata dove avrebbe potuto vivere in pace per 1000 anni. Alla fine di ogni periodo di 1000 anni, l’uccello bruciava e risorgeva da un uovo che veniva trovato nelle sue ceneri.
C’è chi ritiene che i Padri della Chiesa accolsero la tradizione ebraica e fecero della fenice il simbolo della resurrezione della carne. In realtà le citazioni cristiane più antiche, a partire dalla “Lettera a Corinzi” di papa Clemente I e dal “De ave phoenice” di Lattanzio dimostrano ampiamente di derivare da Erodoto, Plinio e Ovidio, i cui racconti furono adattati al pensiero cristiano. A partire da quell’epoca, la fenice entra nell’iconografia delle catacombe e poi ricorre sempre più frequentemente nell’arte cristiana.
Antico Egitto
Uccello Benu affresco dalla tomba di Iry-nefer a Deir el-Medina.
Nella Religione egizia la Fenice prende il nome di Benu (anche, più raramente, Bennu) e viene considerata una vera e propria divinità; l’uccello mitologico consacrato al dio Ra è simbolo della nascita e della resurrezione dopo la morte e quindi della vita eterna. Ad esso sono associate quattro piramidi dell’antico Egitto. La Piramide di Cheope, dove il sole sorge e tramonta, Sahura, splendente come lo spirito Fenice, Neferikare, dello spirito Fenice, Reneferef, divina come gli spiriti Fenice.
Secondo la mitologia egizia, Bennu era un essere auto-creato che si diceva avesse avuto un ruolo nella creazione del mondo. Si diceva che fosse il Ba (personalità componente dell’anima) della divinità solare Ra e che avesse abilitato le azioni creative di Atum. Si diceva che la divinità avesse volato sulle acque di Nun che esistevano prima della creazione, atterrando su una roccia ed emettendo un richiamo che determinò la natura della creazione. Nella “Formula 17” del “Libro dei morti “:
«Io sono Ra alla sua prima apparizione che governa ciò che ha fatto. E’ il cominciare di Ra quando sorge in Het-nen-nesut come l’essere che si è dato la forma, quando Shu ha sollevato il cielo tenendosi sull’altura di Kemenu…
…Io sono questo grande Bennu che è in On»
Alcuni dei titoli del Bennu erano “Colui che è venuto in esistenza da sé stesso” e “Signore dei giubilei”; quest’ultimo epiteto si riferisce alla credenza che il Bennu si rinnovasse periodicamente come si pensava facesse il sole.
Rappresentazione e culto
Inizialmente era rappresentato come una cutrettola, uccello della famiglia dei passeracei. Le opere d’arte del Nuovo Regno mostrano Bennu come un enorme airone cenerino con un lungo becco e una cresta a due piume. A volte Bennu è raffigurato appollaiato su una pietra Benben (che rappresenta Ra e il nome della pietra al vertice di una piramide) o su un salice (che rappresenta Osiride). Era anche un simbolo di rinascita e, pertanto, associato a Osiride. A causa del legame con Osiride, a volte Bennu indossa la corona Atef, invece del disco solare.
Le raffigurazioni di questa divinità sono presenti molto spesso nel “Libro dei morti” e nelle pitture parietali. Era il signore della cerimonia Heb-Sed reale, poiché simbolo della rinascita e del rinnovamento, come Khepri, il Sole, che all’alba rinasce e si rinnova.
Secondo Barry Kemp la relazione tra il Benben, il Benu e il sole potrebbe essere basata su di un’allitterazione tipicamente egizia: il sole nascente, weben, proiettava i suoi raggi sul Benben, sul quale viveva il Benu. La linea 600 dei “Testi delle piramidi” recita di Atum: “…tu che sorgi, come il benben, nella Dimora del Benu in Eliopoli…” (Hart, p. 16).
Si suppone che il nome Benu possa derivare da wbn verbo egizio che significa “sorgere nello splendore” o “splendere”: infatti, nelle raffigurazioni trovate sul “Libro dei morti “o in molti affreschi esso sembra sorgere dalle acque. I “Testi delle Piramidi”, che risalgono all’Antico Regno, si riferiscono al ‘bnw’ come simbolo di Atum, e potrebbe essere stata la forma originale del Bennu. E come l’airone, che s’ergeva solitario sulla sommità delle piccole isole di roccia che sbucavano dall’acqua dopo la periodica inondazione del Nilo che ogni anno fecondava la terra col suo limo, il ritorno della Fenice annunciava un nuovo periodo di ricchezza e fertilità. Non a caso era considerata la manifestazione dell’Osiride risorto, e veniva spesso raffigurata appollaiata sul Salice, albero sacro ad Osiride. Per questa stessa ragione venne riconosciuta quale personificazione della forza vitale, e come narra il mito della creazione, fu la prima forma di vita ad apparire sulla collina primordiale che all’origine dei tempi sorse dal Caos acquatico.
Si dice infatti che il Bennu abbia creato sé stesso dal fuoco che ardeva sulla sommità del sacro salice di Eliopoli. Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole “precedente” è tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta. Da qui l’appellativo “semper eadem“: sempre la medesima.
Era sempre un maschio e viveva in prossimità di una sorgente d’acqua fresca all’interno di una piccola oasi nel deserto d’Arabia, un luogo appartato, nascosto e introvabile. Ogni mattina all’alba faceva il bagno nell’acqua e cantava una canzone così meravigliosa che il dio del sole arrestava la sua barca (o il suo carro, nella mitologia greca) per ascoltarla.
Talvolta visitava Eliopoli (la città del sole, di cui era l’uccello sacro) e si posava sulla pietra ben-ben: l’obelisco all’interno del santuario della città (nota originariamente col nome di “Innu”, che significa “la città dell’obelisco”, da cui il nome biblico On).
Significato esoterico
Il mito del Bennu è un’allegoria della morte e resurrezione nello spirito che è parte del processo di formazione dell’Adepto. Non a caso il bennu si posa sul vertice della piramide, struttura in cui può avere luogo questo processo. Inoltre è proprio dal vertice del Pyramidion che si sprigiona l’emissione di Energia Intelligente che viene chiamata dai cristiani Spirito Santo.
Spirito Santo che secondo la tradizione ebraico-cristiana può manifestarsi come un fuoco che discende dal cielo o che avvolge il corpo delle entità in comunione con la Divinità.
“Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio”. (Esodo 3:1-6)
“Io continuai a guardare e vidi collocare dei troni, e un vegliardo sedersi. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano simili a lana pura; fiamme di fuoco erano il suo trono, che aveva ruote di fuoco ardente. Un fiume di fuoco scaturiva e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano, diecimila miriadi gli stavano davanti. Si tenne il giudizio e i libri furono aperti”. (Daniele 7:9-10)
“Giovanni rispose, dicendo a tutti: Io vi battezzo in acqua; ma viene colui che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio dei calzari. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. (Luca 3:16 – La Nuova Riveduta 1994)
“Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo. Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempì tutta la casa dove essi erano seduti. Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi”. (Atti 2:1-4 – La Nuova Riveduta 1994).
Fuoco che è elemento centrale nel mito della Fenice.
Fenice Simbolo di Morte e Resurrezione
La fenice è un uccello immortale che si rigenera ciclicamente o rinasce in altra maniera. Associata al Sole, una fenice ottiene nuova vita risorgendo dalle ceneri del suo predecessore. Alcune leggende dicono che muore in uno spettacolo di fiamme e combustione, mentre in altre semplicemente muore e si decompone prima di rinascere.
Il discorso classico sull’argomento della fenice attribuisce una potenziale origine della fenice all’antico Egitto. Secondo una versione del mito, la principale, l’araba fenice è divenuto il simbolo della morte e risurrezione; si dice infatti “come l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri“. Dopo aver vissuto per 500 anni, la Fenice sentiva sopraggiungere la propria morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.
Qui accatastava le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo, grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole appiccassero l’incendio e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme.
Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo) che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova fenice nell’arco di tre giorni, dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Eliopoli e si posava sopra l’albero sacro; per altro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio.
La fenice è talvolta raffigurata nella letteratura antica e medievale e nell’arte medievale come dotata di un alone, che sottolinea la connessione dell’uccello con il Sole. Nelle più antiche immagini di fenici registrate, questi nimbi hanno spesso sette raggi, come Helios (la personificazione greca del Sole).
Dettaglio di un pavimento a mosaico della seconda metà del III secolo da Daphne sobborgo di Antiochia sull’Oronte, museo del Louvre.
Nel tempo, il motivo della fenice si diffuse e acquisì una serie di nuove associazioni; Erodoto, Lucano, Plinio il Vecchio, Papa Clemente I, Lattanzio, Ovidio e Isidoro di Siviglia sono tra coloro che contribuirono alla rivisitazione e alla trasmissione del motivo della fenice. Nel corso del tempo, estendendosi oltre le sue origini, la fenice potrebbe in vari modi “simboleggiare il rinnovamento in generale così come il sole, il tempo, l’Impero romano, la metempsicosi, la consacrazione, la resurrezione, la vita nel Paradiso celeste, Cristo, Maria, la verginità, l’uomo eccezionale e certi aspetti della vita cristiana“. Alcuni studiosi hanno affermato che il poema “De ave Phoenice” potrebbe presentare il motivo mitologico della fenice come simbolo della resurrezione di Cristo.
Storicamente parlando, uno dei primi resoconti dettagliati che abbiamo è quello del V secolo a.C dello storico greco Erodoto:
«[Gli egiziani] hanno anche un altro uccello sacro chiamato fenice che io stesso non ho mai visto, se non in immagini. In effetti è una grande rarità, persino in Egitto, arrivando lì solo (secondo i resoconti della gente di Eliopoli) una volta ogni cinquecento anni, quando la vecchia fenice muore. Le sue dimensioni e il suo aspetto, se sono come le immagini, sono i seguenti: il piumaggio è in parte rosso, in parte dorato, mentre la corporatura e le dimensioni generali sono quasi esattamente quelle dell’aquila. Raccontano una storia su ciò che fa questo uccello, che non mi sembra credibile: che arriva dall’Arabia e porta l’uccello genitore, tutto ricoperto di mirra, al tempio del Sole, e lì seppellisce il corpo. Per portarlo, dicono, prima forma una palla di mirra grande quanto riesce a trasportare; poi svuota la palla e ci mette dentro il genitore, dopodiché ricopre l’apertura con mirra fresca, e la palla è quindi esattamente dello stesso peso di prima; quindi la porta in Egitto, intonacata come ho detto, e la deposita nel tempio del Sole. Questa è la storia che raccontano delle azioni di questo uccello.»
Ovidio, ne “Le metamorfosi”, ci narra della fenice, uccello che, giunto alla veneranda età di 500 anni, termine ultimo della vita concessagli, depone le sue membra in un nido di incenso e cannella costruito in cima ad una palma o a una quercia e spira. Dal suo corpo nasce poi un’altra fenice che, divenuta adulta, trasporta il nido nel tempio di Iperione, il Titano padre del dio Sole. Ovidio dice:
«… si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s’abbandona sopra morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall’albero il nido (la sua propria culla e il sepolcro del genitore) e lo porta alla città di Eliopoli in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole.»
Tacito arricchisce la storia, scrivendo che la giovane fenice solleva il corpo del proprio genitore morto fino a farlo bruciare nell’altare del Sole. Altri scrittori descrivono come la fenice morta si trasformi in un uovo, prima di essere portata verso il Sole.
Secondo la “Storia Naturale” di Plinio il Vecchio:
“aquilae narratur magnitudine, auri fulgore circa colla, cetero purpureus, caeruleam roseis caudam pinnis distinguentibus, cristis fauces, caputque plumeo apice honestante”.
“La storia è che è grande come un’aquila, e ha un bagliore d’oro intorno al collo e tutto il resto è viola, ma la coda è blu punteggiata da piume color rosa e la gola punteggiata da ciuffi, e una cresta piumata che adorna la sua testa”. (Plinio il Vecchio, “Naturalis historia” (X: 2) tradotto da Harris Rackham, 1940, LCL: 353, pp. 292–294)
Secondo la poesia di Claudiano “La Fenice“:
“arcanum radiant oculi iubar. igneus ora
cingit honos. rutilo cognatum vertice sidus
attollit cristatus apex tenebrasque serena
luce secat. Tyrio pinguntur crura veneno.
antevolant Zephyros pinnae, quas caerulus ambit
flore color sparsoque super ditescit in auro”.
(Claudian, “Phoenix“, ll. 17–22)
“Un fuoco misterioso sprizza dal suo occhio,
e un’aureola fiammeggiante arricchisce la sua testa. La sua cresta
splende con la luce del sole e infrange l’oscurità con la sua calma brillantezza. Le sue gambe sono di porpora di Tiro; più veloci di quelle degli Zefiri sono le sue ali
di un blu simile a un fiore, punteggiate di oro intenso”.
Tradotto da Henry Maurice Platnauer, 1922, LCL: 136, pp. 224–225.
Nella letteratura apocrifa dell’apocalisse ritroviamo una descrizione della sacra fenice. In un antico testo attribuito a Baruc (I secolo d.C.) egli narra di una sua visione in cui un angelo lo portava in volo alla prima nascita della fenice dal sole, dal quale percorre ogni mattino il tragitto dall’alba al tramonto.
«Ed ecco che un uccello si mise a correre davanti al sole, ed era immenso come nove montagne, io dissi all’angelo: “Cos’è quel maestoso uccello?” Lui rispose: “E il guardiano della terra abitata“. Io dissi: “Signore, come compie il ruolo di guardiano della terra abitata? Narrami“. L’angelo mi disse: “Questo uccello corre a fianco del sole e, allargando le ali, ne riceve i raggi infuocati; se non li intercettasse la razza umana, ne alcuna specie di animale potrebbe vivere […]“. La leggendaria fenice, portava iscritte sulle sue ali, nella sua maestosa ed imponente apertura alare, le lettere dorate. L’angelo mi disse: “leggi le iscrizioni sulle sue ali”. Ed io lessi ed esse dicevano: “Non mi genera ne la terra ne il cielo, sono le ali di fuoco solare che mi generano“. E dissi: “Signore, che cosa è questo uccello e come si chiama?“. L’angelo rispose: “Fenice è il suo nome“.
Nel tempo, il motivo e il concetto della fenice si sono ampliati dalle loro origini nell’antico folklore greco. Ad esempio, il motivo classico della fenice continua nel manoscritto gnostico “Sull’origine del mondo” dalla collezione dei codici di Nag Hammâdi in Egitto, generalmente datato al IV secolo:
«Così quando Sophia Zoe vide che i governanti delle tenebre avevano lanciato una maledizione sulle sue controparti, si indignò. E uscendo dal primo cielo con pieno potere, scacciò quei governanti dai loro cieli e li gettò nel mondo peccaminoso, così che lì potessero dimorare, sotto forma di spiriti maligni sulla Terra.
[…], così che nel loro mondo potesse trascorrere i mille anni in paradiso, una creatura vivente dotata di anima chiamata “fenice”. Uccide se stessa e si riporta in vita come testimone del giudizio contro di loro, perché hanno fatto torto ad Adamo e alla sua razza, fino al compimento dell’Era. Ci sono […] tre uomini, e anche i loro posteri, fino al compimento del mondo: lo spirito dotato di eternità, il dotato di anima, e l’appartenente alla Terra. Allo stesso modo, ci sono tre fenici in paradiso: la prima è immortale, la seconda vive 1.000 anni; per quanto riguarda la terza, è scritto nel libro sacro che viene consumata. Così, anche, ci sono tre battesimi: il primo è spirituale, il secondo è di fuoco, il terzo è di acqua. Proprio come la fenice appare come testimone riguardo agli angeli, così è il caso dell’Idra d’acqua in Egitto, che è stato testimone di coloro che si immergono nel battesimo di un vero uomo. I due tori in Egitto possiedono un mistero, il Sole e la Luna, essendo testimoni di Sabaoth: vale a dire, che su di loro Sophia ha ricevuto l’universo; dal giorno in cui ha creato il Sole e la Luna, ha posto un sigillo sul suo cielo, per l’eternità. E il verme che è nato dalla fenice è un essere umano allo stesso modo. È scritto a riguardo: “l’uomo giusto fiorirà come una fenice”. E la fenice appare prima in uno stato vivente, e muore, e risorge, essendo un segno di ciò che è diventato evidente al compimento dell’Era.»
“De ave phoenice” è un poema attribuito allo scrittore apologista del cristianesimo delle origini Lattanzio. Il poema non è apertamente cristiano; gli studiosi sottolineano certi aspetti del testo per sostenere la loro opinione che l’autore intendesse un’interpretazione cristiana della fenice. Essi interpretano il motivo mitologico della fenice come simbolo di Cristo e della sua resurrezione.
C’è un poema in inglese antico, “The Phoenix“, basato in una certa misura sull’opera di Lattanzio. Entrambi i poemi si aprono con una descrizione del Giardino Orientale (paradiso) come dimora della fenice:
“Est locus in primo felix oriente remotus
Qua patet aeterni maxima porta poli,
Nec tamen aestivos hiemisve propinquus ad ortus
Sed qua Sol uerno fundit ab axe diem“
“Là giace un luogo lontano, sul confine orientale del mondo,
Un luogo benedetto, dove il grande portale dei cieli eterni è aperto.
Il luogo giace vicino al sorgere del sole in estate o in inverno
Ma vicino al punto in cui riversa luce dal suo carro in primavera”.
L’anonimo “Exeter Book” in inglese antico del X secolo contiene un poema allitterativo del IX secolo di 677 versi costituito da una parafrasi e un’abbreviazione da Lattanzio, seguito da una spiegazione della Fenice come allegoria della resurrezione di Cristo.
“Þisses fugles gecynd fela gelices
bi þam gecornum Cristes þegnum;
beacnað in burgum hu hi beorhtne gefean
þurh fæder fultum on þas frecnan tid
healdaþ under heofonum ond him heanna blæd
in þam uplican eðle gestrynaþ”.
Nella versione originale in inglese antico.
“La natura di questo uccello è molto simile
agli scelti servi di Cristo;
indica agli uomini come una gioia luminosa
attraverso l’aiuto del Padre in questo tempo pericoloso
sotto al cielo possono possedere, e un’esaltata felicità
nel paese celeste possono ottenere”.
Nella traduzione dall’inglese moderno (1842).
“Il Fisiologo”, primo bestiario cristiano, cita il favoloso uccello:
« C’è in India un uccello chiamato fenice. Ogni cinquecento anni se ne va verso gli alberi del Libano e riempie le sue ali di aromi e fa un segno al sacerdote ad Eliopoli […]. L’uccello entra in Eliopoli pieno di aromi e il sacerdote, avvertito, va a caricare l’altare di tralci di vite; l’uccello sale sull’altare, si accende il fuoco e brucia. Il giorno dopo il sacerdote cercando nell’altare trova nella cenere un verme; il secondo giorno lo trova trasformato in un uccellino; il terzo giorno lo trova diventato un uccello adulto; esso saluta il sacerdote e se ne va alla sua dimora…
Se dunque questo uccello ha il potere di uccidersi e di darsi la vita, perché mai gli insensati Ebrei si indignano con Cristo quando dice: «Ho il potere di deporre la mia anima, e il potere di riprenderla? (Giov 10;17-18)» La fenice è un’immagine del nostro Salvatore. Egli, infatti, disceso dai cieli, ha dispiegato le sue due ali e le ha portate con profumi cioè per dispiegare parole celesti, affinché anche noi spieghiamo le mani e facciamo salire un profumo spirituale grazie ai buoni comportamenti.»
(“Fisiologo Greco”, trad. M. Sanson)
Come l’airone che spiccava il volo sembrava mimare il sorgere del sole dall’acqua, la Fenice venne associata col sole e rappresentava il ba (“l’anima”) del dio del sole Ra, di cui era l’emblema, tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra.
Quale simbolo del sole che sorge e tramonta, la Fenice presiedeva al giubileo regale. Ed essendo colei che ri-sorge per prima, venne associata al pianeta Venere, che appunto veniva chiamato “la stella della nave del Bennu-Asar“, e menzionata quale Stella del Mattino nell’invocazione:
«Io sono il Bennu, l’anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch’io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino.»
Approfondimento: Congiunzione Inferiore di Venere col Sole simbolo di Morte e Risurrezione
I NUMERI DELLA FENICE
La prima menzione chiara della fenice nell’antica letteratura greca si verifica in un frammento dei “Precetti di Chirone“, attribuito al poeta greco del VIII secolo a.C. Esiodo. Nel frammento, il saggio centauro Chirone racconta al giovane eroe Achille quanto segue, descrivendo la durata della vita della fenice come 972 volte la durata di quella di un umano longevo:
“Un corvo cinguettante vive ora nove generazioni di uomini anziani,
ma la vita di un cervo è quattro volte quella di un corvo,
e la vita di un corvo imperiale rende vecchi tre cervi,
laddove la fenice sopravvive a nove corvi imperiali,
ma noi, le Ninfe dai capelli fluenti
figlie di Zeus detentore dell’aegis,
sopravviviamo a dieci fenici”.
9
9×4=36
36×3=108
108×9= 972
972×10=9720
L’aforisma di Esiodo cela un significato nascosto o esoterico, infatti risolvendo i rapporti fra la durata delle vite dei vari esseri citatati in esso si ricavano una serie di numeri legati a quella Matematica o Numerologia, arcana o esoterica. In particolare i numeri 9,36,108 sono legati al 432, il numero chiave del Ciclo di Precessione degli Equinozi, detto anche il “Numero della Fenice”.
432 Il Numero della Fenice
Nella cosmogonia egizia Atum uscendo dal suo Uovo Cosmico, prese forma ed emerse dall’Oceano d’Energia su una Collina primordiale, a forma di piramide, sulla cui cima era posta la pietra piramidale detta Benben direttamente associata ad Atum-Râ, su cui si posava il Bennu, la Fenice, le cui apparizioni e scomparse erano legate ai cicli planetari di distruzione e rinascita delle epoche del mondo.
Quando re Zozer consulta il suo visir e architetto Imhotep per conoscere l’ubicazione delle sorgenti del Nilo, questi va a consultare alla Casa della Via i Libri Sacri. Il Saggio Khaefsnofru, grande sacerdote di Ptah, per la costruzione della piramide di Cheope, dopo aver consultato nella Casa della Vita il Libro della Fondazione dei Templi dichiara:
«La piramide sarà costruita in maniera tale che,
se un cerchio possiede una circonferenza uguale al perimetro di base della piramide,
il raggio di questo cerchio costituirà la misura della sua altezza.
Il monumento sarà posto sotto la protezione di Horus, signore di Khem.»
Diametro Cerchio = 2R = Circonferenza/π
Semidiametro = Altezza della Piramide = R
La Grande Piramide è inscritta in una semisfera di raggio R che coincide con l’altezza H della piramide stessa.
Circonferenza=2π×R =perimetro quadrato di base=2×π×280=1760 CR
Perimetro di base 4×L=4×440=1760 CR (cubiti reali)
L’area della base della piramide è di 193.600 cubiti quadrati (440×440).
L’area della sezione verticale per π è uguale all’area della base: 61.600×π=193.600
L’architetto che progettò la Piramide volle concretare la quadratura del cerchio, il passaggio dall’Idea alla Forma.
I sacerdoti egizi insegnarono a Erodoto, che il rapporto tra il lato di base e l’altezza è tale che il quadrato costruito sull’altezza verticale equivale esattamente alla superficie di ciascuna delle facce triangolari. Inoltre, il rapporto fra la superficie di base e quella laterale è uguale a quello fra la superficie laterale e quella totale.
Se si effettua la sezione verticale passante per il vertice, si ottiene un Triangolo isoscele con angolo di base 51°51’ che rapportato al Quadrato di base fornisce ancora la relazione:
Come il rapporto Diametro Cerchio vale 1/π, così il rapporto Triangolo (simbolo della Divinità, il mondo delle idee, 3) su Quadrato (simbolo del mondo materiale, il mondo della forma, 4) vale ancora 1/π.
Lo stesso rapporto costruttivo viene riscontrato nell’America Centrale, in Messico,con la Piramide del Sole di Teotihuacán, con un’altezza dimezzata rispetto alla piramide egizia.
Teotihuacán la Città degli Dei era nota perché coloro che ivi erano sepolti si trasformavano in dei. Le piramidi divengono metafisicamente il luogo dove avveniva la trasformazione da uomini a dei, prerogativa questa di tutti i sistemi iniziatici e misterici del passato. Come a Giza anche a Teotihuacán erano state erette tre grandi piramidi. La Piramide di Quetzalcóatl, la Piramide del Sole e la Piramide della Luna. (Fonte:“Egitto misterico”Istituto Cintamani)
La Piramide Cela la Scala Planetaria
Secondo i calcoli di Livio Catullo Stecchini, professore americano di Storia della Scienza ed esperto di misure antiche, l’Egitto aveva una conoscenza astronomica e matematica fuori del comune. A proposito delle dimensioni della Grande Piramide in relazione al pianeta Terra afferma:
“L’idea di fondo della Grande Piramide era che doveva essere una rappresentazione dell’emisfero settentrionale della terra, una semisfera proiettata su superfici piatte come si fa in cartografia…
La Grande Piramide era una proiezione su quattro superfici triangolari. L’apice rappresentava il polo e il perimetro, l’equatore. Questo è il motivo per cui il perimetro è in rapporto di 2 π rispetto all’altezza. La Grande Piramide rappresenta l’emisfero settentrionale in una scala 1:43200”. (Stecchini “Secrets of the Pyramid“)
Non può ancora essere una coincidenza se in una scala 1:43200 la Grande Piramide serve da modello, da proiezione cartografica dell’emisfero settentrionale o boreale della Terra.
Il perimetro della Grande Piramide è pari a 1:43200 della circonferenza equatoriale terrestre e altrettanto si dica dell’altezza della costruzione che risulta 1:43200 del raggio polare della Terra.
La Grande Piramide rappresentazione dell’emisfero settentrionale.
L’articolo “Il progetto musicale di Gizah” di Adriano Forgione, riporta la nuova teoria del ricercatore statunitense Edward Nightingale, secondo il quale il complesso monumentale di Giza includerebbe, nei suoi rapporti geometrici, un codice musicale. Questa codificazione adombra le relazioni del mondo naturale. In particolar modo, tralasciando qui osservazioni complesse, Nightingale individua nelle piramidi il numero 432 che, come è noto, è una frequenza originaria, su cui erano accordati il La di Mozart e di Verdi, prima che, nella seconda metà del XIX secolo, si decidesse di innalzare gli accordi fino al La di 440 Hz. Anche i flauti dei nativi americani si basano su accordi di 432 Hz; la nota La di tale frequenza è il suono sacro del OM.
La proporzione 432 soggiace a vari fenomeni naturali: 432 al quadrato dà la velocità della luce (186,624 miglia il secondo). Inoltre: ” Uno degli ammassi di stelle più vicini alla Terra è quello delle Pleiadi, le Sette sorelle; le ultime misurazioni indicano 432 anni luce di distanza. Il raggio del nostro Sole è di 432.000 miglia di diametro. La Luna è di 2.160 miglia in diametro, metà di 4.320. Infine la Precessione del Grande anno è di 25.920 anni, ossia 432 per 60″. Ora, in un individuo sano, il cuore batte mediamente 60 volte in un minuto, 3.600 volte all’ora, 43.200 volte nelle dodici ore. (Fonti: G. Conte “Il sonno degli dei” A. Forgione “Il progetto musicale di Gizah”)
Nulla è casuale in questo monumento, perché il numero 432 e tutti i suoi multipli sono i numeri della Fenice, il Bennu, la chiave dei cicli di creazione e di distruzione del nostro sistema solare secondo l’astronomia arcaica.
LA TETRADE CELA LA LEGGE DEL CICLO
“La Grande Madre o lo Spazio Stellare, sta col 31415, la sintesi, la Legione dei Costruttori unificata nel Primogenito, nel Verbo, pronta a partorirli i valorosi figli del 432 o il Ciclo del tempo di 4.320.000 anni, il Maha Yuga”. (“Stanze di Dzyan”)
Nella tradizione egizia il numero chiave per comprendere il ciclo precessionale era il 432 il numero della fenice, da esso era prodotta una ripartizione del ciclo di 25920 anni in 12 periodi di 2160 anni associati alle costellazioni dello zodiaco, ognuno di essi era poi diviso in 30° di 72 anni ciascuno, legati alla ripartizione del cerchio in 360°.
Nei testi “Cosmologia Fisica e Metafisica” e “Antiche Conoscenze perdute” viene descritto con dovizia di particolari il legame fra la precessione, i multipli del numero 12 ed il loro rapporto con il sistema di calcolo sessagesimale derivato dai 360° della Circonferenza. Tale cifra è codificata in molti miti e tradizioni: infatti la precessione degli equinozi, lungi dall’indicare soltanto il passaggio da un’era astrologica ad un’altra, si collega a cambiamenti cosmici di notevole incidenza sul destino della Terra e di chi la abita.
Spostamenti del Sole Equinoziale
Lo spostamento di 1° avviene nell’arco di 72 anni
360° dell’orizzonte celeste / 12 costellazioni = 30° per ogni costellazione
72 anni x 30° = 2160 anni impiegati dal Sole equinoziale per attraversare una costellazione
2160 anni x 12 costellazioni = 25920 anni impiegati dal Sole per attraversare tutte le costellazione e completare un intero ciclo precessionale.
Per chiarire il concetto ai meno esperti dell’argomento; se durante lo scorso equinozio di primavera del 2014 ci fossimo trovati ad osservare il cielo durante il sorgere del Sole, quest’ultimo nel levarsi avrebbe occupato la porzione di cielo appartenente alla costellazione dell’acquario, ben visibile all’orizzonte poco prima dell’albeggiare. Se potessimo osservare la medesima scena durante l’equinozio di primavera tra 2160 anni (nel 4174 d.C.) non vedremmo più la costellazione dell’acquario nella zona del cielo dove sorge il Sole, ma quella del capricorno. Dopo altri 2160 anni (nel 6334 d.C.) quella del sagittario. Mentre dopo 25920 anni a partire dal 2014 (nel 27934 d.C.) troveremmo nuovamente la costellazione dell’acquario. Dopo 25920 anni un grande ciclo precessionale sarà concluso e ne comincerà un altro. Il numero precessionale fondamentale 72, i suoi multipli e gli altri numeri chiave sono stati inseriti all’interno delle mitologie di tutto il mondo.
Numeri 54 72 108 nella Precessione
Il 108 che nasce dal 12x9 e che con tutti i suoi multipli e sottomultipli (in particolare 108:2:2=27, 108:3=36, 108:2=54, 108×2=216, 108x2x2=432, 108x2x3=648) compare in continuazione da un estremo all’altro del continente euroasiatico:
Angkor Watt in Cambogia ha 54 torri, ogni viale che porta alle 5 porte ha infatti 108 statue di divinità Deva e Asura in due file di 54; ognuna regge un serpente Naga. Le totali 540 statue richiamano il fenomeno della precessione.
Nel tempio di Borobodur si trovano 72 stupa e il tempio di Baalbek, in Fenicia, aveva 54 colonne; nella città santa di Lashanmjh in Tibet, c’erano 108 templi; 108 cappelle del tempio di Padmasambhava, i mattoni dell’altare del fuoco indiano sono 10.800, il re sumero Enlil regalò 108 aromi ad Aadamu; il ciclo temporale indiano, Manvantara, è di 64.800 anni (108×600); il ciclo di Kalga corrisponde a 4320 milioni di anni; la durata del regno antidiluviano nella mitologia babilonese è di 432.000 anni, quella sumera di 108.000, i rosari buddista e indù hanno 108 grani, i libri sacri tibetani del Khagiur sono composti da 108 volumi, il Rig Veda ha 10.800 versetti, con 40 sillabe per versetto, per un totale di 432.000 sillabe e menziona la “ruota dai 12 raggi” alla quale sono legati i 720 figli di Agni; il Valhalla delle saghe nordiche ha 540 porte, da ciascuna delle quali escono 800 guerrieri, per un totale di 432.000.
Il 72 adombra gli anni che il Sole impiega per percorrere un grado nel suo moto precessionale: lo si rintraccia anche nel Vangelo di Luca, dove si racconta: “Dopo questo, il Signore designò altri 72 discepoli e li inviò a due a due innanzi a sé, in ogni città o luogo dove egli stesso voleva andare”.
La Cabala parla di 72 angeli, le triadi cinesi si basano sul numero 72. Nel Vangelo Manicheo, il mito dell’anima, cap. 11, è scritto: “per ogni cielo fece dodici porte con portici alti e ampi. Poi in ogni porta mise sei Architravi, in ognuno degli architravi trenta angoli, e dodici pietre in ogni angolo”.
Le 12 porte moltiplicate per i 6 architravi originano 72 che, moltiplicato per 30 angoli, fornisce il numero 2.160. Quest’ultimo, ripetuto 12 volte fornisce il periodo della precessione: 25.920.
Presso gli Yezidi i 72 Adami vissuti, ognuno 10.000 anni per un totale di 720.000, con alcuni intervalli (ognuno di 10.000 anni) senza forme di vita, forniscono la cifra di 1.440.000 che si collega al fenomeno della precessione.
Il libro VIII della “Repubblica” di Platone include un’allegoria del matrimonio incentrata sul numero 60 elevato alla quarta = 12960000 e sui suoi divisori.
La Tetrade cela la Legge del Ciclo
25920÷432=60 60= numero di Anu il Cielo, unità di misura del tempo.
432×60= 25.920= Anno precessionale platonico.
Dividendo il cerchio celeste di 360° per 5,cioè il numero dei figli generati dalla dea Nut, si ottengono 72 gradi, numero che coincide con quello dei congiurati che uccisero Osiride.
25920÷72=360 = un ciclo completo 360°
432×5= 2160 anni= il Sole sorge nella successiva casa zodiacale
4320:60 = 2160:30 = 72 numero dei congiurati che uccisero Osiride, la Luce
Moltiplicando il numero dei congiurati “72” o anni impiegati dal sole equinoziale per completare uno spostamento precessionale di un grado, per i 30 gradi di ogni settore zodiacale si ottengono gli anni corrispondenti ad un segno zodiacale, o ad un’era di 72×30=2160 anni, che diventano 4320 anni per due costellazioni zodiacali.
72 x 30°= 2160 Gli anni di un segno zodiacale
12 x 2160= 25.920 Gli anni di un’era zodiacale
25.920÷2160= 12 = i dodici segni dello Zodiaco
25920÷72= 360° = un ciclo completo 360°
I segni zodiacali sono 12, in media ognuno di essi occupa un settore lungo l’Eclittica pari a: 360°÷12=30°=1800’=108000”.
La Tetrade cela il calcolo segreto dei Cicli o degli anni che compongono i Quattro Yuga
1.Satya Yuga “Numero base” x 4
2.Treta Yuga “Numero base” x 3
3.Dvapara Yuga “Numero base” x 2
4.Kali Yuga “Numero base” x 1
Fra i Caldei (Babilonesi) 120 “Saros” valevano 432.000 anni.
Numero base = 432×1.000 = 432.000 anni.
Maha Yuga = “Numero base”x10 = 4.320.000
1000 + 1000 Maha Yuga formano un Kalpa: un Giorno e una Notte, o 24 Ore di Brahma.
La fine del mondo si compie dopo 72 milioni di Maha Yuga, o 100 Anni di Brahma, Così, un’età di Brahma, o 100 dei suoi Anni Divini, equivalgono a 311.040.000.000.000 dei nostri anni mortali. 72×432= 31104
Ciascun Yuga è preceduto da un periodo di transizione chiamato, nei Purana, Sandhya o crepuscolo, ed è seguito da un altro periodo di eguale durata chiamato Sandhyansa o porzione del crepuscolo. Ciascun periodo equivale a un decimo dello Yuga. Il cerchio celeste, simbolo della vita ciclica, è formato da 360°, aggiungendo i due periodi di transizione: 360+36+36=432.
FONTI
Phoenix (mythology) – Wikipedia (Link)
Fenice – Wikipedia (Link)
La fenice e la precessione degli equinozi – Esonet (Link)
La Fenice – Il Viandante (Link)