Giainismo

Giainismo

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Giainismo 33Il giainismo (o Jainismo) è un’antica religione; inizialmente documentata come una fede a sé stante, è soprattutto una filosofia in quanto non implica divinità definite. È basata sugli insegnamenti di Mahavira (559-527 a.C.), un asceta di nobile estrazione che indicava la via alla perfezione umana sulla base della nonviolenza. Secondo la sua dottrina, la filosofia giainista diventa un modo di vivere e un modo di comprendere e codificare le verità eterne e universali che occasionalmente si erano manifestate all’umanità e che più tardi riapparirono negli insegnamenti degli uomini che avevano raggiunto l’illuminazione o onniscienza (Keval Gnan). I fedeli ritengono che nella parte dell’universo in cui ci troviamo e nel presente ciclo temporale, la filosofia sia stata comunicata all’umanità da un mitico maestro, Rishabha. Prove risalenti alla civiltà della valle dell’Indo (ca. 3000-1500 a.C.) sembrano attestarne l’esistenza, grazie a sigilli e artefatti dissepolti sin dalla scoperta di questa civiltà nel 1921.

DOTTRINA

Il giainismo insegna che ogni singolo essere vivente, dal moscerino all’uomo, è un’anima eterna e indipendente, responsabile dei propri atti. I giainisti ritengono che il loro credo insegni all’individuo come vivere, pensare e agire in modo tale da rispettare e onorare la natura spirituale di ogni essere vivente, al meglio delle proprie capacità.

Dio è concepito come l’insieme dei tratti immutabili dell’anima pura, come Signore fra le anime poiché rappresenta l’infinita conoscenza, percezione, coscienza e felicità (Ananta Gnana, Darshan, Chaitanya, e Sukh). L’universo stesso è eterno, non avendo né inizio né fine (per questo motivo, si ritiene che il giainismo sia una via religiosa che non include la concezione di un dio creatore). Le figure principali sono i Tirthankara. Il giainismo ha due principali varianti: il digambara e il shvetambara. I fedeli credono in principi quali l’ahimsa, l’ascetismo, il karma, il saṃsāra e il jīva. Esistono molte scritture sacre redatte in un periodo di tempo molto lungo. Molti seguaci ritengono che il testo religioso principale sia il Tattvartha sutra, o Libro delle realtà, scritto 18 secoli fa dal monaco e intellettuale Umasvati.

Predicando un’assoluta non-violenza, il giainismo prevede una forma estrema di vegetarianesimo: la dieta del fedele esclude anche molti vegetali e persino l’acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. È fatto divieto di mangiare, bere e viaggiare dopo il tramonto ed è invece necessario alzarsi prima dell’alba, poiché la luce del sole (e quindi del mondo) deve cogliere l’uomo sveglio e vigile.

Con i suoi 8-10 milioni di fedeli, il giainismo è una delle più piccole fra le maggiori religioni mondiali. Vi sono 6000 monache e 2500 monaci, molti dei quali fanno riferimento alla corrente shvetambar. Malgrado il numero esiguo rispetto al totale della popolazione, in India i giainisti si mettono in evidenza e molti di loro occupano posizioni importanti nel mondo degli affari e in quello della scienza. Godono anche di una certa importanza nella cultura indiana, avendo contribuito in modo significativo allo sviluppo della filosofia, dell’arte, dell’architettura, della scienza e della politica dell’intero paese (lo stesso Gandhi ne risentì in qualche modo). Fra i templi (derasar) più belli e importanti vi sono il Dilwara presso il monte Abu e il Bhagwan Adinath derasar, quest’ultimo di recente costruzione e situato nella città di Vataman.

Il giainismo è molto praticato nella regione del Punjab, specialmente nella città di Ludhiana. C’erano molti giainisti anche nella città di Lahore (la capitale storica del Punjab), i quali, con la divisione fra India e Pakistan nel 1947, hanno preferito emigrare nella sezione indiana della regione.

Digambar e Shvetambar

Le due principali ramificazioni del giainismo ebbero origine 200 anni dopo la morte di Mahavira. Bhadrabahu, capo dei monaci, previde un periodo di carestia e condusse circa 12.000 fedeli nell’India meridionale. Venti anni più tardi, questi fecero ritorno e scoprirono che i giainisti che non avevano voluto lasciare la loro terra avevano creato la setta shvetambar. Fu così che i seguaci di Bhadrabahu furono noti come digambar.

La Cosmologia

Secondo il credo giainista, l’universo non venne mai creato, né cesserà mai di esistere. È eterno ma non immodificabile, poiché passa attraverso una serie infinita di alternanze o oscillazioni. Ognuna di queste oscillazioni verso il basso o verso l’alto viene divisa in sei epoche del mondo (yugas). L’epoca attuale è la quinta di una di queste “oscillazioni”, che è un movimento verso il basso. Queste epoche o “oscillazioni” sono note come “AARO” ovvero “Pehelo Aaro” o Prima Epoca, “Beejo Aaro” o Seconda Epoca, e così via. L’ultima è la “Chhatho Aaro” o Sesta Epoca. Tutte queste epoche hanno una durata fissa di migliaia di anni.

Quando questa raggiungerà il suo punto più basso, anche il giainismo stesso verrà perso nella sua interezza. Quindi, nel corso della prossima oscillazione verso l’alto, la religione giainista verrà riscoperta e reintrodotta da nuovi capi chiamati Tirthankaras (letteralmente “creatori di passaggi” o “cercatori di guadi”), solo per essere persa nuovamente alla fine della prossima oscillazione verso il basso, e così via.

In ognuna di queste alternanze temporali incredibilmente lunghe, ci sono sempre ventiquattro Tirthankara. Nell’epoca attuale, il ventitreesimo Tirthankar fu Parshva, un asceta e insegnante, le cui date tradizionali di nascita e morte sono 877-777 a.C., ovvero 250 anni prima della morte dell’ultimo Tirthankar, Mahavira nel 527 a.C. I giainisti lo considerano, come tutti gli altri Tirthankar, come un riformatore che invocò un ritorno a credenze e pratiche in linea con la filosofia eterna e universale sulla quale si dice sia basata la fede.

Il ventiquattresimo e ultimo Tirthankar di questa epoca è noto con il titolo di Mahāvīr, il Grande Eroe (599-527 a.C.). Anch’egli fu un insegnante asceta vagabondo che tentò di richiamare i giainiti alla pratica rigorosa della loro antica fede.

I giainiti credono che la realtà sia composta da due principi eterni, jīva e ajiva. Jiva consiste di un numero infinito di unità spirituali identiche; ajiva (ovvero, non-jīva) è la materia in tutte le sue forme e le condizioni in cui la materia esiste: tempo, spazio e movimento.

Jīva e ajiva sono eterni; sono sempre esistiti ed esisteranno per sempre. Il mondo intero è fatto da jīva intrappolati nell’ajiva; ci sono jīva nelle rocce, nelle piante, negli insetti, negli animali, negli esseri umani, negli spiriti, eccetera.

Qualsiasi contatto tra jīva e ajiva causa la sofferenza del primo. Quindi i giainisti credono che l’esistenza in questo mondo significhi inevitabilmente sofferenza. Né le riforme sociali né quelle dei singoli individui possono impedire la sofferenza. In ogni essere umano è intrappolato un jīva, e il jīva soffre a causa del contatto con l’ajiva. L’unico modo che ha il jīva per sfuggire alla sofferenza è fuggire completamente dalla condizione umana, dall’esistenza umana.

Karma e transmigrazione tengono il jīva intrappolato nell’ajiva. Ottenere la liberazione dalla condizione umana è difficile. I giainisti credono che il jīva continui a soffrire durante tutte le sue vite o reincarnazioni, che sono in numero indefinito. Essi credono che ogni azione che una persona compie, sia buona che cattiva, apra i canali dei sensi (vista, udito, tatto, gusto e olfatto), attraverso i quali il karma, una sostanza invisibile, filtra e aderisce al jīva, determinando le condizioni per la prossima reincarnazione.

Conseguenza delle azioni cattive è un karma pesante, che schiaccia il jīva, costringendolo a entrare nella sua nuova vita ad un livello più basso nella scala dell’esistenza. D’altra parte, conseguenza delle buone azioni è un karma leggero, che permette al jīva di innalzarsi nella vita successiva ad un livello superiore, dove c’è meno sofferenza da sopportare. Comunque, le buone azioni da sole non possono mai portare alla liberazione.

Giainismo 04La strada per il mokṣa (rilascio o liberazione) è il ritiro dal mondo. Il karma è il meccanismo di causa/effetto per virtù del quale tutte le azioni hanno delle conseguenze inevitabili. Il karma opera per mantenere il jīva incatenato in una serie di vite nelle quali il jīva soffre più o meno grandemente. Quindi la via per la fuga coinvolge lo sfuggire al karma, la distruzione di tutto il karma e l’evitare il nuovo karma.

Quindi, alla morte, senza essere gravati dal karma, il jīva si innalzerà, libero da tutto l’ajiva, libero dalla condizione umana, libero da future incarnazioni. Salirà fino alla cima dell’universo, in un luogo o stato chiamato Siddhashila, dove il jīva, identico agli altri jīva puri, sperimenterà la sua vera natura in eterna immobilità, isolamento e non-coinvolgimento. Sarà totalmente libero. Il modo per eliminare il vecchio karma consiste nel ritirarsi il più possibile da tutti i coinvolgimenti del mondo, e chiudere i canali dei sensi e della mente per impedire alla materia karmica di entrare a aderire al jīva.

S. Vernon McCasland, Grace E. Cairns e David C. Yu descrivono la cosmologia giainista nel seguente modo:

Nella tradizione giainista, il primo insegnante della religione, Rishabha, visse nel terzo periodo di Avasarpini, durante il quale metà delle cose del ciclo del mondo stanno peggiorando. Dal momento in cui si iniziò a trovare il male, si sentì la necessità di un insegnante chiamato un Tirthankara perché le persone potessero far fronte ai problemi della vita. Nel quarto periodo, i mali proliferarono così tanto che altri ventitré Tirthankara arrivarono al mondo per insegnare alle persone come combattere il male e raggiungere il mokṣa. L’età contemporanea, parte del quinto periodo, è “interamente malvagia”. Ora, gli uomini non vivono più di 125 anni, ma la sesta epoca sarà persino peggiore. ‘La durata della vita dell’uomo sarà solo tra i sedici e i venti anni e la sua altezza sarà ridotta a quella di un nano… Ma poi il lento movimento verso l’alto della seconda metà del ciclo del mondo, Utsarpini, comincerà. Ci sarà un pronto miglioramento finché, nella sesta era, i bisogni dell’uomo saranno soddisfatti da alberi desiderosi, e l’altezza dell’uomo sarà di sei miglia, e il male sarà per sempre sconosciuto.’ Comunque, alla fine le cose degenereranno nuovamente, con una ripetizione di Avasarpini; Usarpini ritornerà ancora una volta, in un ciclo eterno, secondo la cosmologia giainista.“(McCasland, Cairns, and Yu, Religions of the World, New York: Random House, 1969: pages 485-486)

Idee E Pratiche

Da un lato, ci sono i monaci, che praticano un rigido ascetismo e si sforzano perché questa loro nascita sia l’ultima. Da un altro lato, ci sono le persone laiche, che perseguono pratiche meno rigorose, sforzandosi di ottenere fede razionale e di fare buone azioni in questa nascita. A causa delle rigorose etiche radicate nel giainismo, il laicato deve scegliere una professione e uno stile di vita che non coinvolga violenza verso se stessi e verso gli altri esseri umani.

Nel loro sforzo per ottenere il più alto e più esaltato stato di beatificazione (Siddhatva), che è la liberazione permanente del jiva dal completo coinvolgimento nell’esistenza mondana, i giainisti credono che nessuno spirito o essere divino possa assisterli in alcun modo. I giainisti pensano che gli dei non possano aiutare il jiva ad ottenere la liberazione. Questa deve essere raggiunta dagli individui attraverso i loro stessi sforzi. Infatti, neppure gli angeli possono raggiungere la loro liberazione finché non siano reincarnati come umani e intraprendano le difficili azioni di rimuovere il karma.

Il codice etico del giainismo è considerato in modo molto serio. Riassunto nei Cinque Giuramenti, seguiti sia dalle persone laiche che dai monaci. Questi sono:

Non violenza (ahinsa, o ahimsa)

Verità (satya)

Non furto (asteya)

Castità (brahmacharya)

Non possesso o Non possessività (aparigrah)

Per le persone laiche, ‘castità’ significa confinare l’esperienza sessuale al rapporto matrimoniale. Per i monaci e le suore, ciò significa totale celibato. La Nonviolenza coinvolge l’essere rigorosamente vegetariani. Ci si aspetta che il giainista segua i principi della non-violenza in tutti i suoi pensieri, parole e azioni. Esistono alcuni giainisti che indossano maschere su bocca e naso per evitare ogni possibilità di respirare minuscoli insetti.

Il Mahatma Gandhi fu profondamente influenzato dall’enfasi giainista su uno stile di vita pacifico, che non danneggia nessuno; integrò nella sua personale filosofia uno stile di vita che è comune alla filosofia giainista.

I rituali giainisti per il matrimonio ed altri riti familiari sono distintamente e unicamente indiani. I giainisti hanno edificato templi in cui sono venerate immagini dei loro Tirthankara. I rituali giainisti sono elaborati e includono offerte di oggetti simbolici, con lodi cantate ai Tirthankara.

Giainismo Symbol Giainismo JainismI giainisti hanno pochi simboli fondamentali. Un simbolo giainista comprende una ruota sul palmo della mano. Quello più sacro è una semplice svastica spoglia.

 

 

Principi Morali Giainisti

Secondo la mitologia giainista, il giainismo fu fondato da Rishabh Dev, una divinità minore nel Rig Veda. Conseguentemente fu allargato da una linea di altri 23 insegnanti. L’ultimo e il 24° era Vardhaman un contemporaneo vicino a Buddha. Vardhaman è chiamato anche Signore Mahavir dai giainisti e Indù allo stesso modo. Mahavir significa il grande coraggioso, che aveva conquistato paura, lussuria, ira, ecc.

Il giainismo sviluppò una filosofia coerente che potrebbe mantenere le proprie scuole contro quelle induiste e conseguentemente contro l’indagine della moderna filosofia occidentale.

I principi morali giainisti sono perciò intrecciati con la religione, almeno non si può determinare dove finiscono gli uni e dove inizia l’altra. In secondo luogo, c’è stata così tanta reciproca influenza tra i principi morali induisti e quelli giainisti che è difficile determinare dove gli uni siano stati influenzati dagli altri. Perciò ogni discussione sui principi morali senza la religione è difficile: infatti di seguito vi è solo un tentativo di segregarli.

Ajiva

Ajiva è il secondo principio giainista, secondo cui la materia è rappresentata sotto la forma di tempo, spazio e movimento.

Teoria Della Servitù

Questa è in realtà una riaffermazione della Legge del Karma, che attraversa tutte le religioni e la filosofia indiane. Sono diverse solo le interpretazioni dettagliate. Il giainismo tratta tutto come un oggetto costituito da essenze diverse. Anche il tempo e lo spazio sono essenze, così come la forza dell’anima e della vita. Gli oggetti animati contengono Jiva, una piccola forza, diversa dall’atma anima, che è perfetta in modo intrinseco. Ed ha infinite potenzialità all’interno. La servitù nella filosofia indiana significa le catene del ciclo nascita/morte/nascita. Il Karma, la totalità della vita passata di un’anima, ne determina lo status contemporaneo. Questa posizione è accettata da tutte le filosofie indiane. Il giainismo considera l’anima con le sue passioni delle forze karmiche, come l’organizzatore del corpo e della mente, è la causa efficace. La sostanza è la causa materiale. La servitù è causata da passioni che sono ira, orgoglio, infatuazione, e avidità. [Le filosofie induiste riconoscono i piaceri sensuali sfrenati come un’altra sorgente di passione].

Liberazione

La servitù, naturalmente, porta ai metodi per liberarsene. Le passioni, benché naturali, nascono dall’ignoranza della reale natura dell’anima e del mondo fisico. L’ignoranza può essere rimossa con l’attento studio degli insegnamenti dei maestri liberati. Fin qui non viene fatta menzione di alcuna religione.

Una fede deve essere fondata nel maestro basandosi sulla sua etica, stato di liberazione, consistenza interna, e un certo livello minimo di ragione e logica. I giainisti considerano i loro 24 Tirthankars come anime liberate che si qualificano come maestri efficienti (essi non contestano il diritto degli altri di accettare qualsiasi maestro e venire comunque liberati dalla servitù, ma in questo caso non saranno considerati giainisti). Le tre gemme del giainismo sono la giusta fede, la giusta conoscenza e la giusta condotta. Queste sono state interpretate nel seguente modo:

Giusta Fede E Giusta Conoscenza

Si può ricercare qualsiasi campo della conoscenza, se si crede che lo stesso sia buono per sé e per l’umanità nel suo complesso: per ciò si deve avere la giusta conoscenza. Sicuramente, se si vuol essere astronomi, la teologia non è la conoscenza giusta. Allora qualunque campo si scelga, occorre accettarne la disciplina.

Buona Condotta

La buona condotta viene definita, sinteticamente, come il fare ciò che è di beneficio agli altri e l’astenersi da ciò che danneggia. Per ottenere ciò si deve

Prestare i cinque grandi giuramenti

Praticare estrema attenzione nelle azioni quotidiane, al fine di evitare di recare danno a qualsiasi vita

Tenere a freno pensieri, parole e azioni fisiche

Praticare dieci tipi di Dharma, e precisamente perdono, umiltà, chiarezza (ovvero assenza di inganno), sincerità, pulizia, autolimitazione, austerità, autosacrificio, distacco dai beni materiali (il che non significa impedirsi di goderne), celibato.

Meditare sulla verità

Vincere tutti i dolori e i disagi che nascono da fame, sete, caldo, freddo, ecc. attraverso la forza

Raggiungere equanimità, purezza, grazia assoluta e condotta perfetta.

Tutto questo deve essere praticato secondo la propria capacità e volontà, che devono essere rafforzate.

I Cinque Grandi Giuramenti

Questi giuramenti sono comunemente accettati da tutte le religioni indiane. Il Buddhismo li racchiude nel Panch Sheela, ma i giainisti cercano di praticarli molto più rigorosamente degli altri.

Giainismo 001Ahimsa o il non recare danno alla vita: non danneggiare tutti i tipi di vita, umana, animale o qualsiasi altro essere che abita corpi viventi. I santi giainisti scoprirono che inalando distruggono la vita degli organismi che si trovano nell’aria. Essi filtrano quell’aria tramite un pezzo di stoffa. Naturalmente i laici lo troverebbero difficile, e ne sono esentati. Questo atteggiamento è basato sull’idea della potenziale uguaglianza di tutte le anime. La non-violenza deve essere praticata nelle azioni e nelle parole.

Sincerità: questa ha due forme, cioè dire sempre la verità, e condannare sempre la falsità. Questo precetto è praticato molto rigorosamente dai giainisti: la verità può essere sgradita, perciò è consentito non dire una verità che ha delle probabilità di portare discordia, ma la menzogna non può essere sostitutiva di una verità sgradevole.

Non rubare: non prendere ciò che per diritto non ti appartiene. I giainisti credono che la proprietà e la ricchezza contribuiscono al benessere, e derubare un uomo della sua ricchezza potrebbe significare derubarlo della sua vita o della dignità di vivere.

Celibato: il pensiero religioso indiano interpreta il celibato come astinenza dall’auto-indulgenza di ogni tipo. Questo principio è praticato in ogni forma; anche un discorso vanitoso viola il celibato. Celibato NON significa astinenza dal sesso regolare.

Distacco: significa liberarsi dalla schiavitù dell’abietta dipendenza dai piaceri sensuali. Tali piaceri non sono banditi, solo la schiavitù ad essi lo è.

Tali pratiche portano ad ottenere infinita sapienza, potere e beatitudine.

Preghiera Giainista

Ogni giorno i giainisti chinano la testa e recitano la loro preghiera universale, il Namokar-mantra. Ogni buon lavoro e evento inizia con questa preghiera di saluto e venerazione.

Namo Arihantanam: – Mi inchino agli Arahanta (gli esseri umani perfetti).

Namo Siddhanam: – Mi inchino ai Siddha (anime liberate dal corpo).

Namo Aayariyanam: – Mi inchino agli Acharya (maestri e capi della congregazione).

Namo Uvajjhayanam: – Mi inchino agli Upadhyaya (i maestri spirituali).

Namo Loe Savva Sahunam: – Mi inchino ai Sadhu (tutti i praticanti spirituali dell’universo) .

Eso Pancha Namokaro: – Recito cinque volte questo mantra,

Savva Pavappanasano: – Distrugge tutti i peccati e gli ostacoli,

Mangalanam cha Savvesim: – E di tutte le preghiere fortunate,

Padhamam Havai Mangalam: – È la prima e la più importante.

Questi cinque saluti sono capaci di distruggere tutti i peccati e questa è la prima felicità tra tutte le forme di felicità.

Nella preghiera precedente, i giainisti salutano la virtù dei loro cinque benevolenti; non pregano un particolare Tirthankar o monaco per nome, e non chiedono favori o benefici materiali. Salutandoli, i giainisti ricevono l’ispirazione dai cinque benevolenti per il giusto cammino di vera felicità e libertà totale dalla miseria della vita.

Epistemologia Giainista

Ahimsa (più accuratamente traslitterato dal Sanscrito come “Ahinsa”) non è solo il fondamento della moralità giainista, ma anche della sua epistemologia; il giainismo asserisce che l’assolutismo (in particolare l’assolutismo morale) porta al fanatismo e alla violenza, perciò l’epistemologia giainista eleva la tolleranza tra i propri valori, sostenendo che nessuna singola verità possiede tutta la verità. ankantavada mdash; letteralmente Conclusività non-singolare o Non-limitatezza da una cosa sola; è la convinzione che ogni affermazione di verità è parzialmente basata su osservazioni empiriche, e quindi naturalmente limitata e distorta.

Storia

Birthplace of Mahavir(Originator of Jainism) the Ashoka PillarVaishali, antica città situata nello stato di Bihar, dove nel 599 a.C. nacque Mahavira, il fondatore del giainismo

Nel corso del primo millennio avanti Cristo, nelle zone eurasiatiche in cui maturarono le grandi religioni rivelate della storia, fiorirono un insieme di nuove intuizioni mistiche. Nella penisola indiana, in particolare, nacquero due dottrine eterodosse rispetto alla tradizione precedente dei Veda e delle Upaniṣad: quella del Giainismo e quella del Buddhismo. Le dottrine del giainismo non furono il frutto di una rivelazione vera e propria, come nel caso del Buddhismo, ma di un’attività di scuola e di una precedente tradizione di cui è difficile tracciare la storia dalle origini. La tradizione mitica della setta fa risalire a un antico veggente, Aristanemi, la prima formulazione delle idee fondamentali del Giainismo, che vennero riprese da Pārśva ed elaborate in forma definitiva da Vardhamana, detto il Mahāvīra (Grande Eroe), ultimo di una serie di 24 maestri (Tīrthakara) noti anche come Arihant o Jina (Vittoriosi). Il Giainismo fu, contemporaneamente al Buddhismo, il più importante movimento riformatore che si separò dal corpo centrale dell’Induismo, sebbene alcuni studiosi collochino questa religione addirittura nel periodo pre-vedico.

Il Giainismo E Le Altre Religioni Del Sud Dell’asia

È stato suggerito che fu la pervasiva influenza della cultura e della filosofia giainista nell’antico Bihar a dare origine al buddhismo; i buddhisti sostengono da sempre che quando Buddha e Mahavira erano in vita, il giainismo era già una religione e una cultura antica e profondamente radicata nella regione.

Il giainismo come religione si è diffusa in tempi diversi in tutto il Sud dell’Asia, compreso Afghanistan, Nepal, Burma, Bangladesh, e Sri Lanka. Inoltre, è praticato da seguaci in molte città metropolitane come Delhi, Mumbai, Kolkata e Chennai. La religione è presente anche in altre importanti città dell’India, Ahmedabad, Bangalore, Hyderabad.

La filosofia e la cultura giainista sono state un’importante forza culturale, filosofica, sociale e politica sin dall’alba della civiltà nel Sud dell’Asia, e la sua antica influenza è stata individuata oltre i confini dell'”India” moderna, nelle regioni mediorientali e mediterranee. Il giainismo è attualmente una religione che sta raccogliendo proseliti anche negli Stati Uniti (le prime significative conversioni di occidentali alla religione di Mahavira ebbero luogo a Londra agli inizi del Novecento e diedero luogo alla prima, minuscola formazione giainista anglosassone, chiamata “Mahavira Brotherhood”)

Nell’arco di alcune migliaia di anni, l’influenza giainista sulla filosofia e la religione hindu è stata considerevole, mentre l’influenza hindu sul culto e i rituali nei templi giainisti può essere osservata in alcune sette.

Il Giainismo Nella Letteratura

La religione giainista è menzionata nel celebre romanzo di Philip Roth, Pastorale americana. Le idee e la pratica giainista sono presentate dall’autore attraverso il filtro rappresentato dal punto di vista di un personaggio appartenente all’alta borghesia americana, che esprime tutto il proprio scetticismo. L’effetto prodotto sul lettore dal giainismo è grandemente rafforzato dal fatto che l’autore lo immerge nella più squallida realtà urbana statunitense.

Il primo capitolo del libro “Nove vite” di William Dalrymple (ed. italiana Adelphi 2011, titolo originale: Nine Lives – In search of the Sacred in Modern India) è dedicato al racconto di una monaca jainista, Prasannamati Mataji.

Note

 Carlo Tullio-Altan, Le grandi religioni a confronto. L’età della globalizzazione, Feltrinelli 2002

Bibliografia

Carlo Della Casa. Il giainismo. Torino, Bollati Boringhieri, 1993. ISBN 88-339-0721-X.

Paul Dundas. Il jainismo. Roma, Castelvecchi, 2005. ISBN 88-7615-070-6.

Michele Moramarco, Mahavira Brotherhood, un’esperienza jaina in Occidente (in AA.VV., Contributi alla storia dell’Orientalismo, Bologna, Clueb, 1985)

Voci correlate

Gomateshwara Mitezza Nonviolenza Religioni indiane

Fonte: Giain – Wikipedia

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